Al Museo Caffi l’antico «tennis» dei pellerossa

Reperti Le ragazze della squadra Lacrosse Milano Baggataway in visita in città per vedere il reperto portato dal Nordamerica da Costantino Beltrami nel 1823, ritenuto oggi la «racchetta» più antica per l’antico gioco dei nativi americani, sopravvissuta alla distruzione della loro civiltà a opera di coloni ed esercito americano.

L’emozione di impugnare una «mazza da lacrosse» pellerossa, vecchia di duecento anni. Le ragazze della squadra Lacrosse Milano Baggataway hanno potuto farlo al Museo Caffi, dove il direttore Marco Valle ha presentato loro il reperto portato dal Nordamerica da Costantino Beltrami nel 1823, ritenuto oggi la «mazza da lacrosse» più antica conosciuta, sopravvissuta alla distruzione delle civiltà indiane a opera di coloni ed esercito americano.

Le collezioni dell’esploratore bergamasco

La squadra è stata accolta anche dal conservatore Paolo Pantini e dalla vicepresidente degli Amici del Museo Lina Quirci, esperta del Beltrami. L’incontro al museo è stato un’idea che il direttore del Caffi ha accolto volentieri: «È un’occasione - ha affermato - per far conoscere ai giovani le nostre importanti collezioni etnologiche e per far conoscere l’esploratore Beltrami, del quale nel 2023 ricorrerà il 200° anniversario della scoperta delle sorgenti Nord del Mississippi. Il materiale nordamericano è molto prezioso e anche recentemente ci è stato richiesto per una mostra in Minnesota».

Il gioco, che gli indiani chiamavano «baggataway», era giocato con una palla un po’ più piccola di quella da tennis, che veniva raccolta e rilanciata attraverso bastoni che terminavano con un cestello di raccolta di lacci di cuoio intrecciati. Era un gioco rituale, che serviva anche ad appianare contese fra gruppi e che vedeva impegnate per gironi squadre formate da decine di giocatori, che si alternavano. Il cucchiaio dello sport contemporaneo, che ha preso il nome di «lacrosse», è più largo, fatto di cordicelle intrecciate e collegato a un bastone metallico e non più di legno. Un’evoluzione simile a quella delle racchette da tennis. Anche le regole sono state modificate, in Canada nell’Ottocento, ma i nativi considerano ancora il lacrosse/baggataway lo sport della nazione indiana. Oggi esso è giocato soprattutto in Nordamerica, ma il suo fascino ne fa uno sport emergente in tutto il mondo. «È stata una sorpresa - afferma la presidente della federazione nazionale, Nelya Ostafiychuk - scoprire in un museo etnografico una stecca da baggataway originale, nessuna di noi aveva idea che ne esistessero ancora. Ed è emozionante averla potuta impugnare!». A turno, munite di guanti di lattice, le ragazze hanno infatti potuto tenere con cautela il reperto.

Lo sport del nostro tempo

«Il lacrosse è uno sport ancora poco conosciuto in Italia - spiega la giocatrice Camilla Ciboldi -; ci sono una decina di squadre, solo due femminili, ma ci facciamo onore: entrambe le nazionali parteciperanno ai campionati del mondo». Si gioca sui campi da calcio, dieci giocatori più il portiere. Consiste nel lanciarsi la palla al volo, da recuperare solo con il cucchiaio con il quale termina la stecca, senza che tocchi terra. Il portiere usa una stecca un po’ più larga e può prendere la palla anche con la mano. La porta è quadrata, 180x180 centimetri. «Il lacrosse - spiega Nelya - è stato riconosciuto come sport olimpico», era nel programma dei Giochi di Saint Louis nel 1904 e a Londra 1908. Poi è stato presentato come evento dimostrativo ancora nel 1928, 1932, 1948 e 1984. «In Italia avremo il riconoscimento Coni attraverso la federazione dell’hockey. Siamo totalmente autofinanziati, le squadre sono quasi tutte nelle regioni del Nord. Entrando nel Coni, potremo anche farci conoscere nelle scuole e allargare la platea degli appassionati. È un gioco spettacolare, molto veloce, tutto si fa di corsa, compresi i cambi in campo». Si gioca in quattro tempi di un quarto d’ora, divisi da due minuti di pausa e con un intervallo di dieci minuti a metà partita. Casco, paradenti e mascherina per le giocatrici, anche protezioni più pesanti per i giocatori, essendo la versione maschile del gioco più «di contatto».

La squadra milanese, la prima femminile in Italia, è nata nel 2009, quando una studentessa, Silvia di Stefano, rientrata da uno scambio di studio negli Stati Uniti, dove era stata ospitata da una famiglia indiana che le aveva fatto conoscere il lacrosse, decise di raccogliere attorno a sé un gruppo per continuare a giocare. L’impronta multiculturale è caratteristica della squadra e anche la formazione attuale testimonia, con i cognomi, le diverse origini: Anastasia Ravelli, capitana; e poi Lavinia Johnson, Erica Bolinas, Kate Capundil…

© RIPRODUZIONE RISERVATA