Cannes, vince la storia d’amore di «Anora»

Cinema . Il film di Sean Baker si aggiudica a sorpresa la Palma d’oro. Niente da fare per gli italiani «Parthenope» e «Marcello mio». A mani vuote anche Coppola e Cronenberg. All’iraniano Rasoulof il Premio speciale della giuria.

Una commedia sentimentale fuori dai canoni si è aggiudicata la Palma d’oro del 77° Festival di Cannes. Un esito a sorpresa dopo 12 giorni di rassegna e 22 film in competizione: la giuria presieduta da Greta Gerwig ha attribuito il premio principale ad «Anora» del suo connazionale Sean Baker. Tra tanti film che affrontavano temi molto difficili o impegnati, i giurati hanno scelto la storia d’amore tra Ani, una prostituta di New York, e il figlio di un ricco oligarca russo che prende una piega pericolosa. Il regista statunitense (noto anche per «Prince of Broadway», «Starlet», «Tangerine», «Un sogno chiamato Florida») era già stato in competizione sulla Croisette con «Red Rocket» nel 2021, ma non era tra i pronosticati, seppure la sua pellicola avesse ricevuto una buona accoglienza.

Baker ha ricevuto la Palma dalle mani di George Lucas, che poco prima aveva ricevuto il premio alla carriera dall’amico di sempre Francis Ford Coppola, nel momento più emozionante della premiazione. Si è creato così un corto circuito inaspettato, dal momento che il regista di «Apocalypse Now» (Palma nel 1979) era anche in gara con «Megalopolis» e non ha ricevuto nulla: nel dubbio se prenderla come una consolazione o una beffa, Coppola si è prodigato in abbracci e parole di plauso a Lucas.

Gioia e delusione insieme per il favorito della vigilia, l’iraniano Mohammad Rasoulof che con «The Seed of the Sacred Fig» ha ottenuto soltanto il Premio speciale della giuria, che va a sommarsi a quelli della giuria ecumenica (che ha insignito pure Wim Wenders per l’insieme dell’opera) e della stampa internazionale Fipresci. Un film importante, un atto d’accusa contro il regime teocratico di Teheran che «ha preso in ostaggio i suoi cittadini« come ha ribadito il regista sul palco, con un finale tesissimo che ricorda il labirinto di «Shining».

Niente da fare per il cinema italiano, rimasto a mani vuote sia con «Parthenope» di Paolo Sorrentino sia con «Marcello mio» di Christophe Honoré con Chiara Mastroianni che si trasforma nel padre in un omaggio singolare e affezionato. Resta il premio per la regia nella sezione parallela «Un certain regard» per il western «I dannati» di Roberto Minervini, già apprezzato per i documentari come «Ferma il tuo cuore in affanno» (2013).

Nell’insieme il palmarès di Cannes ha valorizzato un cinema giovane, nell’età, negli stili e nelle tematiche, lasciando fuori film di grandi autori come l’inglese «Bird» di Andrea Arnold e il cinese «Caught by the Tides» di Jia Zhang-ke, oltre a Coppola o David Cronenberg. Non casuali le scelte un po’ mainstream per il miglior attore Jesse Plemons («Killers of the Flower Moon») in «Kinds of Kindness» di Yorgos Lanthimos, che sarà nelle sale dal 6 giugno, e la miglior sceneggiatura a Coralie Fargeat per «The Substance». Il body horror con Demi Moore e Margareth Qualley è più divertente che profondo, lavora sul corpo, l’invecchiare, l’immagine, il ruolo delle donne, ha dei meriti oltre a essere molto modaiolo e avrà probabilmente successo in sala.

Il Grand Prix, secondo per importanza, è meritatamente andato alla bella sorpresa della gara, il raffinato «All We Imagine As Light», secondo film dell’indiana Payal Kapadia, storia di tre donne tra città e villaggi, tra passato e futuro, tra grattacieli e scogliere sul mare, tra relazioni da lasciare alle spalle e altre da coltivare. «Non aspettate altri 30 anni a invitare un altro film indiano in competizione» ha detto la regista riferendosi alla lunga assenza del suo Paese da Cannes.

Ben attribuito anche il premio di miglior regista al portoghese Miguel Gomes per l’esotico «Grand Tour». Il lusitano ha ricordato i connazionali Manoel de Oliveira e Joao Cesar Monteiro per le loro opere e per avergli trasmesso l’amore per il cinema.

Tra le pellicole più applaudite e amate della competizione c’era il musical «Emilia Sanchez» di Jacques Audiard, che poteva puntare più in alto (il regista figlio d’arte vinse già con «Deephan» nel 2015) ma è stato l’unico a fare il bis, abbinando il premio della giuria e quello per le migliori attrici. In maniera inusuale la giuria ha laureato le bravissime quattro protagoniste, Karla Sofia Gascon, Zoe Saldana, Adriana Paz e Selene Gomez per l’interpretazione d’insieme. Un film ambientato in Messico che racconta il narcotraffico, la criminalità e la violenza nel Centro America seguendo un boss che finge di essere stato ucciso e diventa donna per cambiare identità, senza dirlo alla moglie e alla figlia.

Infine la Palma per il miglior cortometraggio all’ottimo croato «The Man Who Could Not Remain Silent» di Nebojša Slijepčević, che concentra in pochi minuti il senso della guerra degli anni ‘90 e rende onore alla dirittura morale di un uomo che si sacrificò per salvare un altro.

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