«Caterina Cornaro», un trionfo di fuoco d’arte e passione - Foto e video

FESTIVAL DONIZETTI. Tutto esaurito e applausi per l’opera che apre la stagione lirica. Gran contributo del cast vocale e dall’orchestra diretta con mano fluida da Frizza. La regia di Micheli incanta con suggestioni e sorprese.

Donizetti conferma la regola. Undici anni di Festival e ogni titolo nuovo, o dissepolto dalla storia, è una magnifica sorpresa. Difficile scegliere, perché tra «Rosmonda», «Ange de Nisida», «Enrico di Borgogna» e gli altri è una gara senza vincitori. Non fa eccezione «Caterina Cornaro», che la sera del 14 novembre ha meritatamente trionfato al teatro Donizetti, illuminato a festa, tra proiezioni colorate e giochi di luci a festa, al suono della sontuosa Introduzione e coro iniziale.

L’edizione critica

«Caterina» non è una novità, obietterà qualcuno. Nel 1995 Gianandrea Gavazzeni l’aveva riproposta con ostinazione e magistero da par suo. In questo caso l’edizione critica di Emanuela Di Cintio fa la differenza, e che differenza: il re a cui la giovane protagonista va sposa per cinica violenza politica viene avvelenato, lei resta incinta, il suo fidanzato Gerardo - che pure vive come lei la violenza rottura del fidanzamento (erano sulla soglia dell’altare, in piena festa), si vota all’ordine dei Cavalieri di Rodi, croce sul petto. Tutti elementi eliminati dalla censura partenopea, e Donizetti già malato non potè fare nulla né seguire la messa in scena Napoli, che (come da lui stesso previsto) determinarono un sonoro insuccesso.

Amore e potere

La «Caterina Cornaro» da sontuoso polittico di bella maniera, ma poco più, come apparse nel 1995 ha svelato un fuoco di arte e di passioni struggenti. Caterina è sorella di Lucia, violentata nel suo amore giovane per ragioni di cinico potere. E tutta la vicenda, tutta la musica, il secondo atto in particolare è un magnifico florilegio di musica, assiemi duetti, cori - in parte mai ascoltati - al livello delle più grandi capolavori di questi anni, da Linda di Chamounix a Maria di Rohan - e la narrazione drammaturgica divampa come un grande fuoco in pieno inverno, scalda e affascina nella sua semplicità e magia.

Voci e orchestra

Gran contributo è stato quello di un magnifico cast vocale, ottimamente scelto, e applaudito a lungo. Bravissima la duttile, nobilissima Caterina di Carmela Remigio, un canto recitazione di sospiri e luminose espansioni di patetica incisività. Tenore di forza, eroico e brillantissimo il Gerardo di Enea Scala. Voci, sorrette da una musica a tratti incredibile per ricchezza e di dettagli timbrici. Bassi di grande caratura erano quelli del bergamasco Fulvio Valenti, un Andrea Cornaro icastico e intenso, e il Lusignano nobile e profondo, ricco di accenti pastosi di Vito Priante , bravissimo nel ruolo di “cattivo” Riccardo Fassi. L’Orchestra Donizetti Opera diretta con mano fluida da Riccardo Frizza ha dato smalto e risalto alle nutrite sottigliezze e le non poche perle di una scrittura sinfonica di grande pregio. Molto efficace e spesso possente nelle espressioni in Coro dell’Accademia alla Scala istruito da Slavo Sgrò.

Tre Caterine distinte

L’intrigante regia di Francesco Micheli (dramaturg Alberto Mattioli) regala fiocchi di neve notturni, riflessi di laguna, architetture di palazzi rinascimentali grigie, e - colpo di teatro azzardato ma geniale - corsie di ospedale e sale operatorie d’oggi. Va detto che qualcuno infine non ha celato il proprio dissenso. L’idea di creare tre Caterine distinte, storica, quella narrata da Donizetti e Sacchero e una terza di «sogno», come la chiama lo stesso Micheli. La terza Caterina è ispirata dalla musica si fa strada tra le oppressioni storiche e della vicenda, rivendica il «diritto di essere felice e di amare». Assiste alla morte di suo marito imposto Lusignano, mentre proprio il primi fidanzato Gerardo cerca di salvarlo: l’uno è sul letto in sala operatoria l’altra armeggia col bisturi per cercare invano di salvarlo. Geniale ci sembra la scelta di alternare la corsia dell’ospedale, moderno (un presente storico sempre attuale, oggi e domani) con «didascalie slogan» che segnano snodi e sentimenti della povera protagonista.

Costumi e giochi di luci

La regia si avvaleva di magnifici costumi storici e stilizzati di Alessio Rosati; ad esempio il diabolico Mocenigo, ambasciatore della fosca Repubblica Serenissima mescolava ricami oro e sfondo nero, come un inquietante Mefistofele. Pregevoli i giochi di luci e le proiezioni di Alessandro Andreoli, che puntellavano l’alternarsi delle tre Caterine, pregnanti pungoli simbolici. Caterina è tornata, viva Caterina. Viva (sempre) Gaetano Donizetti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA