Cevoli a Treviglio racconta il mitico viaggio di Enea

LO SPETTACOLO. Paolo Cevoli porta al Teatro Nuovo di Treviglio il suo monologo. In chiave ironica parte dal poema di Virgilio per riscoprire le radici nazionali.

La Stagione di prosa del Teatro Nuovo di Treviglio prosegue martedì (sold out) e mercoledì 15 ottobre (pochi posti disponibili) con il monologo «Figli di Troia», con cui Paolo Cevoli porta in scena in modo divertente e ironico il mitico viaggio di Enea, che fugge da Troia in fiamme con il padre sulle spalle e il figlioletto per mano: il padre rappresenta le sue radici, mentre il figlio è la speranza di un futuro migliore.

Cevoli racconta alcuni episodi del poema virgiliano per permettere al pubblico di riscoprire le radici e i valori del popolo italiano, per poi evocare altri viaggi che hanno segnato la storia dell’umanità, da Cristoforo Colombo al principe vichingo Ragnar, dal viaggio nel bosco di Cappuccetto Rosso a quello oltreoceano del padre Luciano, emigrato negli anni ’50 in Australia. Originario di Riccione - dove i genitori gestivano un piccolo albergo a conduzione familiare -, Cevoli ha raggiunto la notorietà come comico e cabarettista grazie alla trasmissione «Zelig».

Da molti anni è protagonista di spettacoli teatrali di grande successo e nel 2014 è approdato anche al cinema con il film «Soldato semplice», una commedia all’italiana ambientata durante la Prima guerra mondiale, di cui è stato regista e interprete.

Cevoli, perché ha scelto per questo spettacolo il tema del viaggio e in che modo secondo lei il viaggio diventa metafora della vita?

«La vita è un viaggio, che inizia quando nasci e finisce quando muori. Ho usato il tema del viaggio perché volevo raccontare di Enea, che ne compie uno molto interessante. E durante lo spettacolo racconto le sue avventure».

«Mi colpisce Enea che durante il viaggio porta sulle spalle suo padre Anchise, perché senza le radici non possiamo costruire il futuro. Goethe diceva: “Quello che erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo”»

Tra i viaggi di cui parlerà c’è anche quello suo padre Luciano, emigrato in Australia negli anni ’50. È una figura di cui parla spesso e che ha segnato la sua vita e la sua formazione. Qual è stato il suo più grande insegnamento?

«Il mio babbo Luciano è un tema forte della mia vita, con lui avevo un rapporto difficile, bello ma anche faticoso. Lui non era uno che insegnava. Ricordo il giorno in cui ho finito la scuola elementare: mi ha messo in mano un piatto di tagliatelle al sugo e mi ha spinto in sala, a fare il cameriere. Un’esperienza che mi ha formato tantissimo».

Altro tema importante nel suo spettacolo è l’appartenenza, la riscoperta dei valori e delle proprie radici. Quanto sono importanti per lei le radici?

«Sono importantissime. Mi colpisce Enea che durante il viaggio porta sulle spalle suo padre Anchise, perché senza le radici non possiamo costruire il futuro. Goethe diceva: “Quello che erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo”».

Nel corso della sua carriera ha proposto spesso monologhi sulla sua infanzia in terra romagnola e sulla sua famiglia di origine, ricordando gli anni vissuti nella pensione gestita dai suoi genitori. Che posto ha la famiglia nella sua vita?

«Ho imparato tantissimo nella mia famiglia d’origine, i miei genitori sono stati una bella scuola, ma soprattutto ho potuto vedere con i miei occhi l’essenza dell’essere romagnoli».

Dopo essersi laureato in giurisprudenza ha svolto l’attività di gestore nell’ambito alberghiero, per poi cambiare completamente strada e diventare uno dei comici più amati dal pubblico italiano. Come è avvenuto questo cambiamento?

«Avevo aperto un locale a Bologna, si chiamava “Porto di mare” e lì venivano gli artisti dopo le serate a cenare. Una sera vennero Claudio Bisio e i comici di Zelig. Io ero in sala che sparavo delle cavolate come mio solito e Bisio mi disse: “Cevoli, tu hai il talento di essere un cretino, ma perché non vieni a lavorare in televisione: i cretini come te li cerchiamo come il pane”. E da lì ho iniziato».

«Fare del bene mi fa stare bene, per questo motivo quando posso cerco di aiutare le realtà che hanno più bisogno e a cui mi sono legato»

Tra i suoi tanti personaggi ce n’è uno che ha lasciato un ricordo particolare negli spettatori: Palmiro Cangini, assessore alle «attività varie ed eventuali» di Roncofritto Superiore, comune immaginario dell’entroterra romagnolo. Da dove è nata l’idea di questo personaggio?

«Il padre di un mio amico faceva l’assessore nel comune di Roncofreddo e io ricordo questi discorsi infiniti di cui alla fine non si capiva nulla».

É coinvolto in molte iniziative benefiche, come il Banco Alimentare e il Banco Farmaceutico. Cosa significa per lei questo impegno a favore degli altri?

«Fare del bene mi fa stare bene, per questo motivo quando posso cerco di aiutare le realtà che hanno più bisogno e a cui mi sono legato».

Info utili

Biglietti acquistabili presso la biglietteria del teatro oppure collegandosi al sito www.teatronuovotreviglio.it.

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