Cocciante: un’emozione guardare negli occhi chi ti ascolta

L’intervista Il cantante il 23 luglio in concerto in Fiera: «Ogni volta che salgo sul palcoscenico è come se fosse l’ultima volta: devo andare a fondo del mio sentire».

«Cocciante canta Cocciante», va da sé. Il cantautore arriva il 23 luglio a Bergamo, all’Arena estiva della Fiera, con l’Orchestra sinfonica Saverio Mercadante diretta dal Maestro Leonardo de Amicis (inizio ore 21.30; biglietti disponibili). «Sono solo otto date in città che hanno una storia dietro, delle vibrazioni che esistono. Ho scelto l’intimità del concerto, avrei potuto suonare in spazi più grandi, ma ho preferito privilegiare il rapporto col pubblico. Il fatto di mettermi a contatto con la gente, cosa che non facevo da molto tempo, mi dà un’emozione forte, un piacere immenso. Faccio un paragone: è come un attore che ha fatto tanto cinema, televisione, e poi decide di ritornare al teatro per rivivere il contatto ravvicinato con la platea. È bello avere questo tipo di contatto, voglio vedere negli occhi chi ascolta».

Lei ha avuto una carriera a doppio binario: cantautore negli anni Settanta e Ottanta, con tante canzoni che hanno segnato la storia della musica italiana, poi sono arrivate le opere popolari «Notre Dame de Paris», «Giulietta e Romeo», «Il Piccolo Principe», uscita solo in Francia. Come ha messo a braccetto la canzone d’autore e il teatro musicale?

«Direi che non sono mondi lontani. Al centro ci sono le canzoni, il modo di scriverle. Certo nel teatro musicale entri a contatto con una storia da raccontare. Prima raccontavo dei sentimenti, degli stati d’animo, dei momenti felici o infelici: le mie canzoni sono allegoriche, raccontano quello che c’è dentro di noi. In “Notre Dame de Paris” quel sentire esiste, ma si

«Torno da New York dove abbiamo rappresentato “Notre Dame de Paris”. Corro da una parte all’altra del mondo, ma mi piace. Sono un privilegiato: avere una carriera così non è scontato

confronta con una storia. Non credevo di saperlo fare, ho tentato e sono riuscito. Da piccolo ho sempre sentito l’Opera classica. Ho imparato a mettermi al posto di altri personaggi, nel ruolo, nella psicologia di uomini e donne. Forse questa attitudine ce l’avevo dentro e a un certo punto è uscita fuori. Ora mi alterno tra una cosa e l’altra. Torno da New York dove abbiamo rappresentato “Notre Dame de Paris” che portiamo in scena in tutto il mondo in otto lingue. Corro da una parte all’altra del mondo, ma mi piace. Sono un privilegiato: avere una carriera così non è scontato».

Nato a Saigon, ha vissuto in Italia, in Francia, e da vent’anni abita a Dublino, ha vissuto la multiculturalità in prima persone. Cosa le ha dato?

«Penso che sia stato importante per me, e sia importante per tutti non rimanere rinchiusi nella propria cultura. Bisogna aprirsi. Essere a contatto con tante realtà mi ha aiutato tantissimo. La mia lingua madre è il francese visto che sono nato in Vietnam quando era una colonia francese. Lì ho conosciuto la cultura musicale francese, i grandi autori come Jacques Brel, Brassens. Poi li ho mescolati con la musica italiana quando sono venuto a vivere qui e ho visto tanta televisione per apprendere. Dell’Oriente ho amato la raffinatezza, un certo modo di vivere. Tutto quanto si mescola in me. In effetti è difficile individuare la mia origine quando parlo. Quando mi dicono di dove sei, ripeto sempre la stessa cosa: sono il più francese degli italiani e il più italiano dei francesi. In Francia ho molto lavorato, senza abitarci, da 22 anni vivo in Irlanda. Io amo la mescolanza, credo che sia alla base della creazione. Mescolare consente di mettere insieme tante cose per crearne di nuove».

«La musica ha sempre dovuto proporre qualcosa di nuovo, per esistere e stare al passo dei tempi. E qualcosa di nuovo c’è anche oggi. È importante che la musica si rinnovi. Non tutto mi piace di quel che gira oggi, amo le proposte coraggiose»

Da cittadino del mondo cosa pensa dell’attuale scena musicale italiana?

«La musica ha sempre dovuto proporre qualcosa di nuovo, per esistere e stare al passo dei tempi. E qualcosa di nuovo c’è anche oggi. È importante che la musica si rinnovi. Non tutto mi piace di quel che gira oggi, amo le proposte coraggiose. I Måneskin, ad esempio, hanno rotto il contesto musicale di Sanremo. Un giovane per me ha il dovere di proporre qualcosa che non c’è stato prima, non deve seguire le mode, semmai imporre la sua. Io l’ho fatto con le canzoni, insieme a tanti colleghi dell’epoca».

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