Dargen D’Amico chiude Filagosto

Pensieri e parole Domenica 7 agosto il musicista milanese chiude la kermesse in via delle Industrie. Il suo tormentone, lanciato a Sanremo, ha conquistato in crescendo anche la stagione estiva.

Dargen D’Amico è stato per tanto tempo un «famoso sconosciuto», poi Sanremo l’ha abbracciato e la situazione è cambiata radicalmente. È lui che domenica 7 agosto sera chiude in bellezza il Filagosto di quest’anno, con un concerto che si annuncia ben affollato, in quel di Filago, nell’area di via delle Industrie al civico 1 (inizio ore 21.30; ingresso libero).

Dargen viene da altri mondi, allaccia al suo filo rap, indie, urban e trap. È stato veterano tra i rapper, più di vent’anni fa, nelle Sacre Scuole milanesi con Guè Pequeno e Jack La Furia, poi s’è ricavato un suo spazio fatto di canzoni, strofe, flow, pensieri e parole. Attraverso dieci album ha dato forma alla sua arte di «cantautore contemporaneo» che raccatta suggestioni da ogni stile. Intelligente, ironico, tagliente, ha preso la distanza dalla cupezza rabbiosa del rap e ha cominciato a spaziare nel mare nostrum dell’urban, un ambiente sonoro in cui tanti generi dialogano tra loro: il pop, il soul, lo stesso rap. Dargen da lì ha messo poi le mani nel mainstream, con successo, firmando «Chiamami per nome» di Fedez e Francesca Michielin e «Dieci» di Annalisa per due Festival fa. All’ultimo ha spopolato con «Dove si balla», un tormentone che ha conquistato il dopo Sanremo e ha allungato la stagione fino a quella estiva. Quell’invito a uscire di casa per ricominciare a vivere è stato preso alla lettera da un po’ tutti perché «ballare tra i rottami» è pur sempre qualcosa dopo due anni di isolamento. Per questo e non solo, «Dove si balla» è diventato il simbolo del ritorno alla vita, più di tante altre canzoni che hanno cavalcato un messaggio simile.

In tempi di lockdown, piace il ballabile

D’Amico ha operato una scelta precisa: nell’occasione è tornato alla cassa in quattro, metafora dell’uscita facile dall’immobilità che ci ha colto nel tempo pandemico. Ha segnato così il ritorno alla musica ballabile, non per questo leggera e senza pensieri. Inutile dire che Dargen oggi si ritrova a essere più pop che vent’anni fa, ma tant’è, se rifacesse l’hip hop sarebbe un revivalista. Meglio andare avanti e sperimentare una cifra stilistica che diventa sempre più libera, anche dal punto di vista autorale.

Va forte in rete il suo ultimo disco

La prova Dargen la dà nell’ultimo disco, «Nei sogni nessuno è monogamo», uscito a marzo a ridosso dell’ultimo Festival di Sanremo. In tutto dodici tracce, compreso il pezzo presentato all’Ariston, arrivato nono nella classifica generale, ma salutato da 15 milioni di stream in rete. Il decimo album raccoglie tutto l’estro musicale di Dargen, unisce tante influenze, tanti stili, recupera le suggestioni della canzone d’autore, ma ne sviluppa l’influenza attraverso una ricerca che attraversa tutta la musica, dalla classica all’elettronica, passando per il pop. Naturalmente al centro di tutto restano i testi sempre acuti, graffianti, pensati con estrema cura. Grazie ad essi il musicista milanese si conferma un outsider di lusso, capace di giocare con parole e figure retoriche trattate con folgorante sagacia. Il viaggio da «Musica senza musicisti», e dagli anni Novanta, fino al singolo «Ubriaco di te» continua e promette altre scoperte, pensate e ripensate in una chiave sempre originale. La dimostrazione sta anche nell’ultimo lavoro in cui l’artista descrive parte della sua vicenda artistica e personale in un gioco di autoanalisi catartico quanto basta per far pace con se stesso. Anche questa è la cifra di Dargen.

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