Ecco Peterzano, l’allievo maestro
Al via la mostra in Accademia Carrara

Dopo un’ampia e lunga preparazione, sia didattica che mediatica, ha «finalmente» aperto i battenti all’Accademia Carrara la mostra «Tiziano e Caravaggio in Peterzano». È arrivato il momento di verificare se il racconto espositivo corrisponde davvero alle ottime premesse.

«Una mostra coraggiosa» l’ha ben definita l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti alla presentazione di ieri, cui sono intervenuti anche il sindaco Giorgio Gori e i quattro curatori Simone Facchinetti, Francesco Frangi, Paolo Plebani e Cristina Rodeschini (tanti ma non troppi, perché una reale sintonia deve esserci stata visto che l’itinerario della mostra scorre fluido ed equilibrato nel succedersi di mutamenti anche importanti di temi e di contesti).

Coraggiosa, in effetti, la mostra lo è. Non solo perché accende lo spot su un «illustre sconosciuto» quale è Peterzano, dandogli tanta fiducia da metterlo a diretto confronto con i due grandi che finora lo hanno adombrato: Tiziano, il maestro, e Caravaggio, il giovane allievo. Ma anche perché, a dirla tutta, il «dovere morale» di riscoprire Peterzano a logica spettava a Venezia, la città dove è nato e dove si è formato, o a Milano dove la sua carriera è decollata e l’artista si è spento.

Sì, certo, la ricerca del nostro studioso Gianmario Petrò ha fugato ogni dubbio sulle origini bergamasche della famiglia (il trisnonno di Cornalita di S. Giovanni Bianco e il padre di Bergamo città, ma presto emigrato a Venezia). Ma di fatto Simone non ebbe nulla a che fare con Bergamo dove, non a caso, non è presente nessuna sua opera.

Eppure è Bergamo che si fa carico di strappare per la prima volta dall’ombra un artista fino a oggi sostanzialmente noto solo a una cerchia di addetti ai lavori, di restituire gli esiti degli ultimi decenni di scoperte e dunque di consentire al pubblico di conoscerne la storia e agli studiosi di provare finalmente a mettere in ordine le tessere sparse per il mondo, da Parigi a Copenhagen.

Forse un po’ di quel coraggio è venuto meno al fotofinish, perché di fatto a Caravaggio è dedicata a chiudere la mostra una sala autonoma, che «risparmia» a Peterzano il confronto diretto con l’allievo che ha superato, diciamo tranquillamente seminato per strada, il maestro.

Però questa è una mostra sincera, che vuole dimostrare come Peterzano sia stato dapprima allievo di tutto rispetto sulle orme dei grandi veneti Tiziano, Tintoretto, Veronese. E poi come abbia saputo costruirsi una sua dimensione, sia sviluppando delle autonome cifre linguistiche, sia come imprenditore che «ci ha visto lungo» individuando nella piazza milanese, che in quegli anni viveva un vuoto di grandi artisti, il posto giusto in cui aprire una bottega. Destreggiandosi poi con abilità anche tra i vincoli e le «censure» che, con il monitoraggio di un campione della Controriforma quale l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, erano sempre dietro l’angolo.

A proporre Peterzano come un genio incompreso che invece sta al passo con i giganti che lo circondano la mostra non ci prova neanche (e il pubblico non l’avrebbe accettato, perché che la sfida sia impari è cosa evidente). Tuttavia di Peterzano ora possiamo conoscere la storia e apprezzare un percorso che si rivela personale e di una singolare raffinatezza.

Gli accostamenti tra le opere, di soggetto sia sacro che profano, ci dimostrano come certamente abbia «rubato» ai maestri veneti modelli e temi fortunati e di successo, ma anche come li abbia per così dire «raggelati», sia cromaticamente che emotivamente, con esiti affascinanti.

Non c’è traccia nelle Veneri di Peterzano della sensualità calda e travolgente di «Marte, Venere e Amore» e della «Venere del Prado» di Tiziano, o dell’aria di scandalo che circola nel «Marte e Venere sorpresi da Vulcano» di Tintoretto. Anche di fronte alle nudità più esibite, come quelle delle sue allegorie della Musica, l’immagine di Peterzano è come sublimata e sottratta all’esplorazione dei sensi, sfumando nell’allegoria, appunto, nel mito, nell’ideale.

La sezione dedicata al tema profano è senza dubbio la più gradevole, nel senso più nobile del termine, della mostra. Anche se è soprattutto (ma non solo) nelle grandi pale d’altare che si dispiega una tavolozza che, ghiacciando e argentando i viola, i blu, i rosa e i gialli, si carica di un fascino del tutto insolito, quasi innaturale.

L’originalità di Peterzano si gioca in gran parte – così ci sembra – su questa peculiare temperatura. Forse l’allestimento, che pure è di un’eleganza discreta e inappuntabile, poteva osare un po’ di più, assecondando questo aspetto.

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