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Martedì 30 Dicembre 2025
Giuseppe Festa: «La mia musica in cambio di storie, a casa porto piccoli semi nel cuore» - Video
L’INTERVISTA. Scrittore e musicista con i Lingalad, ha suonato per le strade d’Europa, ai passanti chiedeva dei racconti.
«Dal palco alla strada» in cerca di storie. Giuseppe Festa, scrittore e musicista, si è messo in viaggio per le strade d’Europa come un qualsiasi artista da strada. Con la sua chitarra e pochi aggeggi si è fermato agli angoli delle piazze, ha suonato per la gente, portandosi appresso un cartello in cui spiegava il senso del suo peregrinare: «Don’t Give Me Money, Tell Me A Story», ovvero, «non datemi soldi, raccontatemi una storia».
Girando per le strade se ne incontrano di storie, s’incrociano sguardi, si conoscono persone, ma la provocazione dello scrittore-musicista è andata certamente più in là dell’attimo passante, di quel tempo minimo che interrompe la routine quotidiana e ti regala una rapida pausa, un piccolo frammento di sogno.
«Un bagno di realtà»
Per lo scrittore l’esperienza umana è stata importante, per il chitarrista una scuola dura. Col senno del poi Festa ammette: «È stato un bagno di realtà, ma anche di umiltà. Gli artisti di strada, quelli veri, dopo questo percorso mi sembrano ancora più eroici. Se sono arrivato fino in fondo è grazie alle persone che si sono avvicinate, ai sorrisi e alle storie che mi hanno regalato. Sono diventati la mia forza. Non so ancora cosa mi resterà davvero. Come ogni viaggio, dovrà sedimentare, e forse trasformarsi in qualcos’altro. So solo che sono partito con una chitarra e un cartello, e torno con gli occhi pieni di volti e di storie. Senza filtri, senza schermi a mettere distanza. Ed è qui che ho ritrovato il senso più vero di questo cammino».
Il docufilm
Festa ha scritto tanti libri di successo e vinto premi, ha fondato anche un gruppo musicale, i Lingalad, tra sentori celtici, musica silvana, folklore immaginario. Dopo il viaggio si è occupato di un docufilm ispirato a un suo libro, «L’estate dell’Orsa Maggiore», una storia vera: un’orsetta marsicana ritrovata, allevata, rimessa in libertà. Al centro il rapporto dell’animaletto con la biologa che l’accudisce fino al momento in cui torna in libertà lasciando un segno indelebile nel cuore dell’umano.
«L’idea di qualcuno che ti chiede di fermarti ha funzionato. Ho raccolto tante belle testimonianze, dalle persone più disparate»
«È una storia che parla a tutti, non solo agli amanti della natura - spiega l’autore - I tagli al cinema non ci hanno aiutato, abbiamo dovuto rivedere la sceneggiatura, ma con pochi soldi, passione e cuore, abbiamo portato in fondo la cosa, fors’anche meglio. La storia dell’orsetta era vecchia di dieci anni, quindi dovevamo inquadrarla attraverso delle ricostruzioni costose, ma il destino ha voluto che un decennio dopo si sia presentata un’altra cucciola d’orso. Abbiamo filmato la sua vicenda, è stata liberata settimana scorsa. I protagonisti non hanno neppure dovuto fingere».
Parliamo del viaggio che ha affrontato attraverso Normandia, Bretagna, Germania, Svizzera, Isola d’Elba. Cosa l’ha spinto a spostarsi sulla strada soltanto con la chitarra e un cartello?
«L’esigenza di partire per un cammino è nata l’anno scorso a Marettimo, la piccola isola siciliana. È lì che ho ambientato il mio prossimo libro che uscirà a gennaio per Salani. S’intitola “La pescatrice”. Dovevo trattenermi in loco tre giorni, ma si è alzato il vento e sono rimasto bloccato sull’isola una settimana. Lì, dopo il primo smarrimento, ho riscoperto quel rapporto diretto con le persone che avevo un po’ perduto, travolto dai ritmi della comunicazione di oggi. Su quell’isola, con 150 abitanti, ho raccolto elementi per il mio libro, e si sono creati bellissimi rapporti: per strada, davanti a una barca, al tavolino del bar. Mi sono reso conto di quanto mi stessi allontanando da questo tipo di comunicazione umana, diretta, semplice. In viaggio ho cercato di ricreare quell’isola comunicativa e ho pensato che la musica fosse un buon viatico per creare contatti. Ho sempre ammirato la figura dell’artista di strada, il busker che gira il mondo suonando. E così ho deciso di partire con il mio van, una bicicletta, il carrellino, la chitarra, un piccolo amplificatore. Volevo raccontarmi e ascoltare le storie di chi incontravo. Per questo ho affidato il messaggio al cartello che mi sono portato ovunque».
Come ha reagito la gente leggendo quel messaggio?
«Con una certa sorpresa, ma l’idea di qualcuno che ti chiede di fermarti ha funzionato. Ho raccolto tante belle testimonianze, dalle persone più disparate. Da questo punto di vista il viaggio mi ha arricchito molto».
Attraversando territori e culture ha passato diversi confini, compreso quello più invisibile tra il dentro e il fuori suo e della gente incontrata. Che esperienza è stata?
«Credo che le persone abbiano necessità di parlare. Anche se l’empatia è finita sotto la cenere è qualcosa che abbiamo dentro. Molte persone che ho incontrato hanno percepito questa cosa. Hanno percepito quello che per me era un bisogno in quel momento. Essere lì a suonare, senza chiedere soldi, chiedendo parole era un po’ spiazzante, ma senz’altro intrigava. La domanda ricorrente era: perché stai facendo questa cosa? Come fai? Se non chiedi soldi c’è qualcosa che non torna. Allora raccontavo che era un viaggio personale, che nella vita racconto storie, ma ero lì per riconnettermi con le persone. La cosa veniva percepita in maniera profonda soprattutto da chi aveva voglia di raccontarsi. Abbiamo tutti qualcosa da raccontare, una storia familiare».
Le canzoni hanno fatto da specchietto?
«Da anni salgo sul palco insieme ai Lingalad e vedo gente davanti, venuta a sentirmi. Per strada molti non ti considerano, anche perché non sono un virtuoso della chitarra. Ugualmente si sono create delle situazioni incredibili. Sull’isola di Batz una signora inglese trasferita da tempo lì, mi ha chiesto chi fossi, da dove venissi, mi ha raccontato perché era arrivata su quell’isola, la storia di suo figlio ormai lontano. Davanti avevamo barche spiaggiate per la bassa marea. È stato un momento importante. La disponibilità all’ascolto apre il cuore».
Anche la musica aiuta.
«Sì, ma c’è stato un crollo verticale. Faccio un esempio. Da quando i nostri dischi fisici sono stati sostituiti dalle piattaforme digitali i contatti con le persone che ascoltano la musica dei Lingalad si sono quasi azzerati, ma se confrontiamo la cifra delle nostre vendite con gli ascolti che abbiamo ora sono di gran lunga superiori. È come se smaterializzando il supporto si fosse smaterializzato anche l’artista. Il viaggio è stato un modo per riavvicinare la gente attraverso la musica».
Cosa s’è portato a casa da questa esperienza di viaggio, qualcosa che si legherà alla musica o al suo essere scrittore?
«Nella mia testa c’era una parte razionale che pensava a tradurre l’esperienza di viaggio in un libro, in realtà una volta tornato non ho sentito tale esigenza. Ugualmente l’esperienza ha piantato dei piccoli semi nel mio cuore e chissà se un giorno germoglieranno. Porto a casa il racconto di un modo diverso di comunicare con gli altri».
E i Lingalad?
«Fare dischi ormai è fuori moda, ma attualmente stiamo lavorando a un nuovo progetto. Titola “Il cammino dei Ribelli”, un cammino reale scoperto in Liguria da uno dei nostri musicisti, Giacomo. Ogni canzone racconta la vicenda di un ribelle di quelle montagne. Storie reali, attuali o storiche, appese al tempo e sempre a contatto con la natura. Nei prossimi mesi registreremo i brani e inizieremo a proporli dal vivo. Semmai l’album arriverà un giorno».
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