I Maestri del paesaggio, il progettista: «Bergamo città ideale per il verde»

L’intervista. Parla Cassian Schmidt, il «Maestro del paesaggio» invitato a Bergamo da Arketipos a progettare la Piazza verde 2022, ne è sicuro: «Qui il verde pubblico è molto ben curato, credo che Bergamo possa essere una città verde modello per il futuro».

Cassian Schmidt è già in Piazza Vecchia e si preoccupa che i suoi pioppi, querce, ontani, salici piangenti abbiano abbastanza da bere: «Soprattutto gli alberi ne hanno bisogno: ne stiamo installando 72, alti fino a 7 metri - è una caratteristica che distingue questo progetto - e non sono vegetali da vaso: basta una giornata a secco e si rischia di mandare a monte tutto».

Giovedì Schmidt, che è il «Maestro del paesaggio» invitato a Bergamo da Arketipos a progettare la Piazza verde 2022, l’8 settembre dalle ore 16 alle 17,30 in Sala dei Giuristi, terrà la sua lectio magistralis sulle possibilità di sviluppo «verde» di una città come la nostra: l’incontro è gratuito ma non è aperto a tutti, è un momento di formazione rivolto ai dirigenti degli assessorati del verde dei Comuni di tutta la Regione Lombardia.

La manifestazione è in programma dall’8 al 25 settembre

Architetto paesaggista tedesco con 35 anni di esperienza, Schmidt non è solo un accademico: mentre parliamo sfoglia un piccolo catalogo zeppo di schemi di sviluppo delle piante, della loro fioriture lungo i mesi. È considerato il maestro del «New German Style», dirige Hermannshof, un giardino di ricerca di fama mondiale a Weinheim, vicino a Heidelberg. Introdurrà il pomeriggio, dopo i saluti istituzionali, l’avv. Vittorio Rodeschini, presidente di Arketipos; poi parleranno Mauro Guerra, presidente di Anci Lombardia, Marzia Marchesi, assessore del Verde pubblico di Bergamo, Marco Marchetti, presidente del Comitato nazionale verde pubblico. Moderatore Domenico Piazzini (iscrizioni sul sito imaestridelpaesaggio.it).

«L’idea di questa piazza - spiega Schmidt - è venuta a quattro miei studenti della Weihenstephan Hochschule - Verena Hurler, Aurelia Ibach, Simon Schwarzl, Fabiola Leonett von Wachter -: ci hanno messo poi quasi un anno per svilupparla, e io credo che sia una grande idea, molto solida, perfetta proprio per quest’anno, caratterizzato in estate da una forte siccità in tutta Europa, sofferta in particolare anche dal fiume Po, a partire dalle cui rive è stato immaginato questo allestimento. L’intera Lombardia dipende dal Po, dalle sue acque, dalla ricchezza dei depositi alluvionali, dal prezioso ecosistema delle rive dei fiumi. Sono così importanti, soprattutto in tempi di mutamenti climatici. Lo abbiamo visto l’anno scorso in Germania: con questi fiumi contenuti e cementificati non c’è più infiltrazione d’acqua. Il mondo vegetale invece è come una spugna. Le nuove città dovranno tornare a essere ambienti capaci di accogliere l’acqua, conservarla, rilasciarla con l’evaporazione, un processo che abbassa la temperatura. Anche qui in Piazza Vecchia si vede già lo straordinario “effetto rinfrescante” delle piante. La temperatura - studi scientifici lo dimostrano - si abbassa, soprattutto la notte, almeno di 5, a volte anche di 10 gradi. E sono già arrivati insetti, uccelli... Certo, questa Piazza verde è solo un simbolo del futuro di cui abbiamo bisogno. Ci vorranno interventi in altri luoghi della città. Qui in Città Alta, è chiaro, non potremo mai spostare una pietra, ma nei parchi, per le strade, soprattutto nelle aree industriali dismesse si possono fare molte cose».

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«Ci vuole una vegetazione resiliente, adattabile a estati più calde e altre più fredde, perché il cambiamento climatico non è sempre siccità, si muove tra gli estremi. Mostrerò installazioni già realizzate per far vedere ai sindaci quello che può essere fatto. Io mi sono specializzato nella conoscenza di piante particolarmente resistenti, che non hanno bisogno di irrigazione quotidiana. So cosa può sopravvivere in città e cosa no»

Il verde per lei è anche un sistema di climatizzazione?

«Ma certo! Noi diciamo, da una decina d’anni, che la sfida oggi è far convergere le infrastrutture verdi e quelle blu dell’acqua, integrarle ad esempio con il tessuto stradale. Siamo solo all’inizio di un processo che cambierà profondamente le nostre città».

Dunque non si tratta solo di piantumare qua e là, ma di studiare l’intera mappa di una città e disegnare questo nuovo tipo di «infrastrutture».

«Bisogna creare canali di aria fresca che si incuneino in città. Guadagnare 5 gradi in meno d’estate è un risultato rilevante, è la notte afosa a stressare gli abitanti, più delle temperature di picco del giorno, soprattutto qui in Italia: e le piante possono fare molto. L’ombra fa una grande differenza».

«Abbiamo bisogno di più alberi e più vegetazione nelle nostre città. Un sistema continuo: l’aria deve poter scorrere nelle strade la notte, bisogna rimuovere i blocchi»

Le piante assorbono Co2 la notte e ci restituiscono ossigeno a più basse temperature. Senza consumare fonti energetiche. Altro che condizionatori accesi!

«Abbiamo bisogno di più alberi e più vegetazione nelle nostre città. Un sistema continuo: l’aria deve poter scorrere nelle strade la notte, bisogna rimuovere i blocchi. Nella foresta fluviale l’aria fresca viene prodotta e poi distribuita attorno. Il sistema dei fiumi credo ci possa molto aiutare. Il mio approccio è quello di considerare la natura come un modello: ma poi, all’interno di una città il verde va “disegnato”, non si può semplicemente copiare la natura. L’80% delle piante che siamo installando in Piazza Vecchia proviene davvero dall’habitat delle rive dei fiumi lombardi, abbiamo cercato di usare il più possibile le piante reali. Naturalmente abbiamo dovuto concedere qualcosa all’aspetto più accattivante per il pubblico, fare qualche compromesso: abbiamo messo ad esempio degli ibiscus per dare macchie di colore, aggiunto alcuni fiori per questioni estetiche. Nigel Dunnett l’anno scorso ha realizzato una piazza fiorita anche in settembre o ottobre: molto bella, ma in queste zone d’Europa l’autunno non è tempo di fioriture. Noi vogliamo mostrare la biodiversità, ma quella europea, reale. La piazza quest’anno sarà veramente molto verde, l’ambiente fluviale è fatto dalla trama delle strutture vegetali, il suo fascino è dato dalle forme, dal contrasto di pieni e vuoti. Ci sono sottili sfumature di colore, dal verde all’argenteo... Portiamo nel cuore di Bergamo un paesaggio dimenticato da secoli. Le rive dei fiumi sono davvero l’ultima giungla europea. Una foresta mista che ospita grande diversità biologica».

Cosa dirà nella sua «lectio»?

«Spiegherò l’idea base del progetto, i modelli che abbiamo usato. Ci saranno persone esperte di gestione delle città, e vogliamo mostrare quali piante si possono davvero usare. Il problema è riuscire a cambiare l’aspetto delle nostre città a partire da una fornitura d’acqua limitata. In città se vuoi avere traspirazione dovresti raccogliere acqua, magari dai tetti quando piove. Ci vuole una vegetazione resiliente, adattabile a estati più calde e altre più fredde, perché il cambiamento climatico non è sempre siccità, si muove tra gli estremi. Mostrerò installazioni già realizzate per far vedere ai sindaci quello che può essere fatto. Io mi sono specializzato nella conoscenza di piante particolarmente resistenti, che non hanno bisogno di irrigazione quotidiana. So cosa può sopravvivere in città e cosa no. Illustrerò alcune soluzioni. In una città il verde sarà sempre una specie di “giardino”, che va curato. Ma studiamo sistemi che non abbiano bisogno di irrigazione. È possibile dipendere solo dalla pioggia. La selezione delle piante è molto importante: la pianta giusta va messa al posto giusto. L’installazione di nuovo verde comporta un investimento, poi c’è la manutenzione negli anni. Noi calcoliamo il suo costo per metro quadrato, una comunità deve conoscere questi parametri per scegliere una direzione. E sapere che avrà bisogno di persone formate, in grado di seguire lo sviluppo, altrimenti in tre anni si rischia di mandare tutto all’aria. Anche in Germania abbiano visto bei progetti inaugurati e presto rovinati».

«Una parte della vegetazione qui arriva direttamente nel tessuto urbano: penso che certi elementi di questo speciale contesto che è Città Alta potrebbero essere esportati anche in Città bassa»

Bergamo le sembra adatta a sperimentazioni del genere?

«Direi proprio di sì. Qui vedo verde pubblico già molto ben curato, credo possa essere una città-modello per il futuro. So che ci sono già dei progetti per nuove strutture permanenti. E il fatto che sia una città piccola è una opportunità in più. Una parte della vegetazione qui arriva direttamente nel tessuto urbano: penso che certi elementi di questo speciale contesto che è Città Alta potrebbero essere esportati anche in Città bassa».

Non immagina però, qui, «boschi verticali»...

«Quello milanese è un palazzo per persone ricche. Un progetto-pilota, importante, ma richiede un sacco di energia e denaro, perché, appunto, dipende da una robusta e continua irrigazione. È una bella visione, ma non penso che sia davvero il futuro di molte città. Se riuscissimo a mettere del verde su ogni copertura, anche con piante piccole, credo che questo avrebbe effetti molto più positivi. E le tecniche devono essere semplici. Non si tratta solo di disporre piante, ma di comprendere e replicare in città processi dinamici che la natura ha perfezionato nei millenni. Va pensato un nuovo ecosistema, che deve restare dinamico e correggibile negli anni. I manutentori saranno anche dei designer, perché sarà richiesto un aggiustamento continuo. Il nostro lavoro è solo la prima immagine, poi si dovrà seguire e correggere ciò che si sviluppa, in un processo di “editing” continuo: osservare e guidare, in un sistema dinamico, sarà il compito dei giardiniere di domani».

Crede che ci siano aree modificabili?

«Ne sono sicuro, anche se sono stato qui pochi giorni. Si può naturalmente cominciare da parchi e giardini, alcuni dei quali sono chiusi e semi-abbandonati. In Città bassa chiederei alle imprese cosa possono fare sui loro terreni, in senso funzionale e graduale. Bisogna analizzare tutto il sistema-città e poi tirare fuori alcuni spot da cui iniziare. Non bisogna fare troppo, è importante restare “autentici” rispetto a un luogo. Credo che Bergamo abbia molte potenzialità. Sono sicuro che dietro questi muri ci siano angoli segreti molto interessanti».

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