Il primo album: «Le mie sperimentazioni non seguono le mode»

La serata. Osvaldo Arioldi Schwartz, leader delle «Officine», sarà il 10 novembre all’Auditorium di Piazza Libertà con «Industrial Blues».

Alla testa delle Officine Schwartz ha raccontato il tramonto della civiltà industriale al momento giusto, poi ha continuato sulla sua strada da sperimentatore mai sazio di altre avventure. Ora Osvaldo Arioldi Schwartz licenzia il primo album a suo nome, «Industrial Blues», summa di un percorso artistico del tutto peculiare che dura da decenni e ha dato frutti interessanti. Con le Officine Osvaldo ha cantato il tramonto di un’epoca attraverso qualche disco e tante performance multimediali messe in scena in Italia e all’estero. Ha tradotto l’immaginario post-industriale sul piano sonoro e gestuale dando vita ad un ensemble in continuo mutamento, che ha scelto la coralità del canto e delle orchestrazioni.

Il nuovo album polimediale esce lunedì 7 novembre e il 10 novembre viene presentato ufficialmente all’Auditorium di Piazza della Libertà (inizio ore 21) complice Lab 80. Le immagini in schermo sono di Domenico Morreale, musiche di Emiliana Voltarel, del chitarrista blues Marco Valietti, dello stesso Osvaldo Schwartz.

«Questo nuovo progetto è la conseguenza di varie collaborazioni», spiega l’autore. «Quando mi è stato proposto l’album avevamo realizzato il cortometraggio, poi la produzione mi ha consigliato di ispirarmi al percorso delle Officine per un lavoro sulle colonne sonore di Ennio Morricone che ho elaborato insieme a Marco Valietti per Blues Decappottabile. Poi da solo ho prodotto “Elettromeccanica” nello stile spontaneo dell’anima mia».

Seguendo il suo artigianato ritmico, musicale, intuitivo.

«Nella prima stesura di ”Elettromeccanica”, per le Officine, avevo individuato un tempo in

cinque quarti, piuttosto inconsueto, dal forte impatto emotivo. Nel tempo e con l’esperienza sono riuscito a completare il disegno, a rendere quel nucleo ritmico sempre più efficace. Non a caso “Elettromeccanica” è stata registrata con gli stessi strumenti che usavamo negli anni Ottanta: la batteria elettronica collegata in Trigger con il sintetizzatore. Quella strumentazione affiancata al suono del tubicordo (Ndr. strumento inventato dallo Stesso Osvaldo Arioldi a metà degli anni Novanta) ha valso una prospettiva altra».

Le Officine Schwartz, durano da quarant’anni. Che esperienza di «rumore», di avventura sonora è stata?

«Avventura sonora è una descrizione centrata. Ho sempre operato in modo spontaneo. Aiutato dal fatto che, non avendo alle spalle studi musicali, appassionato di arte, di estetica, di cultura in genere, ho potuto sperimentare senza che le cose intorno e le mode m’influenzassero. E questa è stata una fortuna. Da artista ho un mio modo. Ogni volta che realizzo un progetto, una ricerca, quando arrivo a quello che penso sia il top, cambio strada, vado a cercarmi qualcos’altro. Ho sempre avuto intorno persone con cui condividere e continuare a cercare.È stata un’altra fortuna. Quando ho ritenuto interessante il canto corale, ho trovato 15 persone che cantavano».

In tempi recenti si accompagna con il Valietti nel progetto Blues Decappottabile. Come nasce la fusione tra l’immaginario industrial e il blues di quel chitarrista bravissimo?

«Ho contattato Marco quando ho capito che avevo l’esigenza di concentrarmi sull’uso di uno strumento particolare. Ero circondato da tanti aggeggi, a fiato, a tastiera, a percussione, ma sentivo di dovermi concentrare sull’uso del tubicordo. L’ho pensato e costruito io sull’idea di uno strumento ancestrale e rituale africano. È un cordofono monocorda, tutto di metallo. Ha due fili armonici di acciaio montati su un tubo della stufa. Ha una nota sola in due ottave, ma infinite possibilità ritmiche. Così ho pensato al blues, alla musica dei deportati d’Africa e ho cercato il migliori bluesman sulla piazza. Insieme abbiamo sperimentato uno stile nostro».

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