Il trionfo dello stupore nella Venezia acrobatica e sognante di «Titizé»

STAGIONE DI PROSA. Successo per lo spettacolo della Compagnia Finzi Pasca al Teatro Donizetti: poesia e tante invenzioni sceniche.

02:10

Un trionfo! È stata davvero un trionfo la prima dello spettacolo «Titizé – A Venetian Dream» della Compagnia Finzi Pasca in scena sabato scorso al Teatro Donizetti (in cartellone fino a domenica 18 maggio: serale alle 20.30; domenica 18 maggio alle 15.30; lunedì 12 maggio riposo), spettacolo con il quale si conclude veramente in bellezza la Stagione di Prosa e Altri Percorsi 2024-2025 della Fondazione Teatro Donizetti, e che è stato accolto da un diluvio di applausi.

Quella di Daniele Finzi Pasca autore del testo, della regia e del light designer di questo magnifico lavoro, è sempre stata l’idea di un teatro come macchina spettacolare. Inteso sia nel senso proprio «meccanico» del termine sia in senso più speculativamente filosofico. «Titizé» è il trionfo dello stupore, il sancta sanctorum dell’inventiva, il santo Graal della rielaborazione in chiave teatrale dell’universo circense; una sorta di sfida perché, come raccontava lo stesso autore, è uno spettacolo di prosa senza un vero e proprio testo.

Pesci che piovono dall’alto, un delfino che volteggia in platea sopra le teste degli spettatori, una sirena che guizza sullo sfondo: cose così, che accadono quadro dopo quadro andando man mano a formare «una certa idea di Venezia», città alla quale lo spettacolo è dedicato e dalla quale prende alcuni elementi che spaziano dalla storia pluricentenaria del «Goldoni» - il teatro per cui lo spettacolo è stato pensato - a quella della Commedia dell’Arte, dalla storia alla geografia, ma declinate nel fantastico. E artisti fantastici che saranno sul palco del Teatro Donizetti fino a domenica prossima.

Lo spettatore che vorrà perdersi nella magia di questo lavoro, si troverà di fronte a un gruppo affiatatissimo di artisti, acrobati, maghi, suonatori di «Glass Armonica» (un pezzo delizioso), immersi in un mondo aereo e sottomarino insieme che sembra uscito dall’immaginario di un regista come Wes Anderson (pensiamo al suo «Le avventure acquatiche di Steve Zissou»), ma che riecheggia echi di vacanze al Lido di primo Novecento, così come le maschere, gli arlecchini e i pulcinella che lo popolano rimandano ai celebri carnevali, a una sorta di festa continua: una festa per gli occhi e per il cuore. Che la festa cominci: e la festa comincia subito con una serie spettacolare di numeri di acrobatica, di volteggi, di aeree costruzioni che fanno di questo lavoro una vera e propria cosmogonia teatrale.

In un delizioso racconto intitolato «Primo dolore», Franz Kafka racconta l’avventura di un trapezista che «dapprima solo per il desiderio di perfezionarsi, in seguito anche per un’abitudine diventata tiranna, aveva disposto la sua vita in modo da restare, per l’intera durata del suo lavoro presso una medesima compagnia, giorno e notte sul trapezio (…), egli non viveva in quel modo per capriccio ma in effetti solo così poteva tenersi in esercizio costante, solo così poteva conservare la sua arte nella sua perfezione». E così sembrano essere anche gli artisti che agiscono in questo lavoro: Gian Mattia Baldan, Andrea Cerrato, Francesco Lanciotti, Léa Kral, Luca Morrocchi, Gloria Ninamor, Caterina Pio, Rolando Tarquini, Micol Veglia, Leo Zappitelli, un tutt’uno con i loro attrezzi, con i trapezi, gli aerei volteggi come se, davvero, il loro elemento fosse proprio l’aria. Ma ce lo aveva detto lo stesso autore che lo spettacolo è fatto di aria: «È uno spettacolo impalpabile, nell’aria viaggiano i suoni. Abbiamo cercato di tradurre anche la sonorità strana di Venezia quando, soprattutto d’inverno, entri in climi suggestivi, in un abbraccio di nuvole, di nebbia, di fumo. I suoni diventano veramente strani, senti che le cose ti vengono addosso prima di vederle, averti la presenza di qualcosa che stai per incrociare e che ti scivola di fianco, quindi l’aria, sì, che fa volare le cose e in qualche modo sovverte il sopra e il sotto e dall’altra parte come aria che trasporta i suoni».

I suoni, la musica, la stessa musicalità del dialetto che ogni tanto fa capolino sono altrettanti elementi che concorrono al successo dell’operazione: una musica che scandisce in modo matematico il procedere della narrazione e il succedersi dei quadri di cui si compone: «la musica del caso» avrebbe detto lo scrittore americano Paul Auster, ma anche la musica del caos e quindi del cosmo.

Una musica che si accorda alla performance e la performance al teatro e il teatro alla danza e la danza all’acrobazia e quindi al gioco: il gioco del teatro, quello di un gruppo di fantastici clown che sognano di sognare e così facendo ci trascinano nel loro sogno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA