«Io, supertestimone del delitto Livatino
sono morto assieme al giovane giudice»

A 30 anni dall’omicidio del magistrato in Sicilia parla l’uomo che portò gli inquirenti a individuare i killer. «Rifarei tutto, lo Stato siamo noi. La mia famiglia è lontana 500 km. A Bergamo la mia ultima volta per l’Atalanta».

«Sono io». Una voce pacata, da un numero privato, mi raggiunge al telefono. Non c’è bisogno di chiedere «chi parla?». Lui è – o forse meglio era - Piero Nava. Era, perché all’anagrafe non esiste più. Lui è il supertestimone dell’omicidio del magistrato Rosario Livatino, il «giudice ragazzino» ucciso il 21 settembre 1990. Grazie alla sua testimonianza, i killer stanno scontando l’ergastolo. Da quel giorno, Nava che ha vissuto per alcuni anni fra Bergamo e il Lecchese, è sotto protezione. Ha cambiato tutto: cognome, data di nascita, residenza.... La sua storia è stata raccolta da Lorenzo Bonini, Stefano Scaccabarozzi e Paolo Valsecchi nel libro «Io sono nessuno» (Rizzoli) che sarà presentato a Lecco il 15 settembre in piazza Garibaldi.

Piero, la chiamo ancora così, ci stiamo avvicinando al 21 settembre. Non sarà un giorno come un altro...

«Sì, ricordo tutto come se fosse oggi. Non si può dimenticare una vicenda come questa. Ma il 21 settembre 1990 sono morte due persone: il giudice Livatino certo, ma da quel giorno non esisto più nemmeno io. Questo periodo? Per me è duro. Mi riporta anche ai fatti che successero la settimana prima a Vittoria, quando un amico mi disse che erano state assassinate 3 persone. La sera precedente il 21 settembre ho cenato a Enna, l’indomani è accaduto ciò che mi ha stravolto l’esistenza».

Rifarebbe le stesse cose?

«Rifarei tutto. Me l’ha insegnato l’educazione ricevuta. In quella vicenda non avevo due scelte, ma una sola. Non puoi alzarti il mattino dopo e leggere sul giornale un fatto così e tu che c’eri non hai detto niente. Non sapevo nemmeno che fosse un giudice la persona assassinata».

Cosa le ha fatto davvero male in questa vicenda?

«Il fatto di essere rimasto l’unico, l’indifferenza è una cosa bestiale. Sto male quando leggo certi fatti sui giornali e nessuno che magari è a conoscenza di qualcosa non parli. La gente non si rende conto che in primis lo Stato siamo noi. E quindi se noi siamo lo Stato abbiamo il dovere di difenderlo. Penso al fatto di Caronia (la morte di Viviana Parisi e del figlio Gioele, ndr): in due vedono una signora e la trovano morta solo dopo 15 giorni».

Cosa le manca di più?

«Le amicizie che avevo. Il mio mondo è volato via. Dopo decine di anni, ciò per me resta sempre pesante. Ora ho una certa difficoltà a instaurare amicizie. Ero già un tipo solitario, ma lo sono diventato ancora di più».

Si è mai incontrato con i genitori di Livatino?

«Li ho sentiti solo una volta al telefono e mi hanno ringraziato».

Si è interessato alla storia del giudice?

«So che era molto credente, forse osteggiato negli ambienti in cui lavorava, andava diritto per la sua strada».

Ha immagini del magistrato a casa?

«Nessuna e non ho più nemmeno le mie foto e dei miei familiari che sono state distrutte. Ne ho conservate una decina che aveva mia sorella, ora morta, ma dei figli, da piccolini, non ne ho più, tutte distrutte».

E dei killer cosa pensa?

«Non penso nulla, hanno fatto cose sbagliate. Erano ragazzi molto giovani, vivevano in una società difficile, perché in Sicilia a quel tempo e anche oggi era difficile trovare lavoro. Erano attratti da guadagni facili. Non li odio, ma non li giustifico».

Teme ancora per la sua incolumità?

«Mi hanno detto: “Questi hanno una memoria di elefante, c’è sempre uno 0, 01 % di probabilità”. Ma non temo perché non vivrei più. Sarà ciò che Dio vuole».

La domanda potrà sembrare sciocca, ma lei festeggia due compleanni?

«È una cosa stranissima. Ma al mio compleanno nuovo non mi chiama nessuno».

E quando si firma con il nuovo nome?

«Sono sempre molto attento, perché quello vero ti resta sempre dentro».

Ma come riesce, di fatto, a far convivere due persone in una?

«Non c’è scelta. Questa è la croce che dovevo abbracciare, la prendo e la porto avanti».

Ogni tanto viaggia nei ricordi passati?

«Certo, penso alla casa dove sono nato a Sesto San Giovanni, a Monte Marenzo e a Bergamo».

Quando è passato da noi l’ultima volta?

«Per una partita dell’Atalanta. Il giorno che decisi di trasferirmi al Sud per fare il direttore commerciale ero in tribuna allo stadio. Agli amici dissi che la domenica successiva non sarei più venuto: rimasero di sasso».

Che rapporto ha con la sua famiglia?

«Viviamo lontani. Fra me e i miei figli ci sono più di 500 km, ma il loro affetto è grandioso. Quando a mia figlia ho detto di aver fatto il libro, la frase più bella è stata: “per il mondo non sei nessuno, per me resti sempre il mio papi” (si commuove, ndr). I miei figli non mi hanno fatto alcuna osservazione e non è che li ho sempre trattati benissimo. Una volta dissi loro: “Questo è un mio problema”, invece era un problema di tutta la famiglia. Lei sa che in 14 anni abbiamo fatto 9 traslochi?».

Le avevano proposto anche l’Australia come meta, è vero?

«Sì, ma la mia compagna non voleva. Forse era la soluzione migliore, ma col senno di poi, chissà...».

Nelle prime pagine del libro parla del matrimonio di sua figlia….

«Non ci sono andato. La mia presenza poteva rappresentare un pericolo, i figli mi hanno capito».

Come vede il suo futuro?

«Quello di un uomo tranquillo, ritiratosi dal lavoro».

Da cosa sono scandite le sue giornate?

«Leggo molto, sono appassionato di storia, da Napoleone alle guerre mondiali. Questi libri mi appassionano perché parlano del sacrificio delle persone. Ora sto leggendo “La missione segreta che ha cambiato la Seconda guerra mondiale” di William Geroux sulla spedizione artica che ha sfidato i nazisti».

Una spy story?

«Una passione che forse deriva dal passato di mio nonno, capitano di cavalleria, morto nel 1916».

Della sua storia ne parla per la prima volta…

«Ora non ho problemi a parlarne perché sono riuscito a esorcizzare storia e paure; amici mi dicono che ho un carattere come una roccia».

Se volesse mandare un messaggio alla gente cosa direbbe?

«Bisogna rendersi conto che lo Stato non è una figura astratta. Io sono il 60milionesimo dello Stato, quindi non si può demandare tutto alle forze dell’ordine. Si sente dire: “Ci devono pensare loro”, no, devi iniziare a pensarci tu. Se tu metti un sassolino e poi tutti ne mettono altri si fa presto a fare una montagna . Io ho avuto un’educazione particolare e ringrazio i miei genitori che me l’hanno data. Bisogna far crescere il senso civico delle persone e la scuola dove i giovani trascorrono molto del loro tempo è un luogo importante. Nonostante tutto posso ancora dire che la vita è bella, ma va vissuta in maniera seria. Devi essere pronto a fare le tue scelte».

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