
Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Martedì 17 Giugno 2025
«Io, in tour con Cesare Cremonini disegno il suo spettacolo»
L’’INTERVISTA. Erika Rombaldoni, più volte a Bergamo al Festival Donizetti, è la scenografa scelta dal cantante a San Siro: «Analogie tra lirica e pop».
Erika Rombaldoni, in più edizioni a Bergamo per il Festival Donizetti, è la coreografa chiamata da Cesare Cremonini per il suo tour 2025 che sabato e domenica ha fatto tappa allo stadio San Siro. Tredici stadi per 550.000 spettatori che li stanno accompagnando in un viaggio straordinario, da nord a sud dell’Italia. Erika Rombaldoni, che per Bergamo ha in programma anche altri progetti, per il momento top secret, viene dalla danza moderna, dall’opera lirica, come nel recente «Nome della Rosa» scaligero a fianco di Damiano Michieletto.
Come è la coreografia per il tour?
«Il confronto con Cesare è stato continuo, sincero, abbiamo lavorato in team creativo, con l’obiettivo comune di portare poesia e magia su quel palco. Cesare ha una visione artistica molto chiara, ma allo stesso tempo è curioso, ricettivo, attento a ogni dettaglio»
«Non c’è un filo narrativo in senso stretto. Ogni brano ha una sua identità precisa, un mood che abbiamo cercato di tradurre in movimento, un lavoro incredibilmente stimolante: le coreografie variano nello stile, passando dallo street-urban fino a vere e proprie composizioni geometriche che dialogano in modo dinamico con i visual. Cremonini ha voluto costruire uno show dal respiro internazionale, e per farlo si è circondato di eccellenze: Claudio Santucci di Giò Forma ha curato l’art direction e il set design, mentre lo studio creativo londinese NorthHouse, alla sua prima collaborazione con uno show italiano, ha portato la propria visione dopo aver firmato eventi come l’halftime del Super Bowl, il giubileo della Regina Elisabetta e i concerti di Coldplay, Beyoncé e Bruno Mars. Le coreografie diventano parte integrante di un progetto visivo e sonoro di grande impatto, in cui ogni elemento ha un ruolo preciso e dialoga con gli altri in modo armonico».
Che indicazioni ha avuto da Cremonini?
«Il confronto con Cesare è stato continuo, sincero, abbiamo lavorato in team creativo, con l’obiettivo comune di portare poesia e magia su quel palco. Cesare ha una visione artistica molto chiara, ma allo stesso tempo è curioso, ricettivo, attento a ogni dettaglio».
Come ha vissuto questa esperienza, diversa dal consueto ambiente «colto»?
«In realtà il mio percorso è sempre stato molto vario e trasversale. Come coreografa oggi, ma anche come danzatrice prima, ho lavorato a fianco di maestri del teatro lirico come Robert Carsen ma anche nei musical, con Riccardo Cocciante. Sono specializzata in danza barocca per cui ho collaborato con Festival e Conservatori prestigiosi di tutta Europa ma faccio anche parte del data base dei danzatori del Cirque du Soleil. La mia formazione è sempre stata nutrita da esperienze molto eterogenee. Per me la musica è il motore di tutto, sia che si tratti delle straordinarie canzoni di Cesare Cremonini, sia delle partiture raffinate di Francesco Filidei. Cerco di restituire in movimento ciò che la musica suggerisce. Non penso alle coreografie come semplici orpelli decorativi, ma come elementi narrativi, in dialogo con la musica, le luci, i video, la drammaturgia e l’artista stesso».
Ci sono analogie e differenze tra opera lirica e concerto pop?
«Io ho trovato più analogie che altro. Sono entrambi mondi magici e al tempo stesso ingranaggi complicatissimi in cui ogni reparto deve trovare il proprio spazio, coordinare le proprie dinamiche in sinergia perfetta. La precisione e la visione devono convivere con una grande capacità di adattamento. I tempi sono spesso serrati. Bisogna saper ascoltare, essere pronti a cambiare rotta, a cogliere nuove suggestioni. Sia nell’opera che nel pop si tratta di costruire un’esperienza che arrivi al cuore del pubblico: questo, per me, è sempre il centro del lavoro».
Qual è il suo obiettivo come coreografa e danzatrice, in generale?
«Il mio desiderio è continuare su questo percorso, la regia poi è una dimensione che mi attira profondamente. Ho già avuto modo di firmare alcune regie: la coreografia, per me, è già una forma di regia, non è mai accessoria, né didascalica ma deve avere un valore narrativo e teatrale. È naturale che il mio sguardo si allarghi. Nel frattempo continuo a danzare: è una parte essenziale del mio essere artista, un modo per restare connessa al corpo, alla scena, all’emozione del momento. Questa dimensione arricchisce profondamente anche il mio sguardo coreografico. In questo tour di Cesare Cremonini, inizialmente ero stata chiamata a curare le coreografie per gli otto performer che danno vita a un palco spettacolare di 65 metri. Ma poi, per uno dei brani più simbolici della scaletta – che ripercorre 25 anni di carriera di un artista straordinario – sono anche in scena».
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