La sorpresa di Emanuel Ax, un dialogo tra Beethoven e Schönberg

FESTIVAL PIANISTICO. Il pianista ucraino canadase mette a confronto i due compositore nel recital in programma il 16 maggio al teatro Donizetti: sonate e brani seriali.

Se si volesse tentare una graduatoria di significati del 61° Festival pianistico internazionale, quello di giovedì 16 maggio al teatro Donizetti è indubbiamente il recital più carico di contenuti di tutto il cartellone. Come gli ultimi due concerti il ritorno del formidabile ucraino canadese Emanuel Ax è di per sé un’avvenimento da non perdere. E basterebbero le tre Sonate di Beethoven in programma, l’op.2 n.2 (quella con uno degli Adagi più potenti e visionari di tutta l’opera, pur generosissima, del compositore di Bonn), la «Patetica» op.13, scritta sul finire del Settecento, ma già ampiamente proiettata nel XIX secolo, e l’«Appassionata» op.57, lanciata già da Liszt, che ne fece uno dei cavalli di battaglia dei suoi popolari recital.

Un parallelo tra scuole

Il cuore della serata sta però nella «controparte» pensata per quest’edizione dedicata a Vienna, ossia tre raccolte diversamente emblematiche di Arnold Schönberg, a partire dai tre pezzi giovanili del 1894 (Andantino, Andantino grazioso, Presto) chiaramente debitori di Brahms e delle sue ultime pagine diaristiche, trasognate e disincantate. I brevi brani di Schönberg sono giustapposti e intervallati alle tre Sonate di Beethoveniane, proponendo, un parallelo tra il fondatore della cosiddetta «seconda scuola di Vienna» e l’uomo di punta dell «prima scuola di Vienna», ossia il «trifoglio classico» con Beethoven, Haydn e Mozart.

Dissonanze e consonanze

In … pillole, diciamo così, il Festival diretto da Pier Carlo Orizio, concede misurati assaggi della rivoluzione operata da Schönberg, ossia la serialità, più comunemente chiamata «dodecafonia» (temine non impiegato dal maestro viennese). Il ripudio di un centro tonale, delle logiche di attrazione e che collegano dissonanze e consonanze, secondo i percorsi seguiti da oltre due secoli di musica precedente e anche poi e tutt’ora in uso in tanti generi (non solo «colti»). I tre brani dell’op. 11 sono quanto di più spiazzante (composti e pubblicati nel 1909) mai fosse uscito da una tastiera, per giunta per mano di un «non pianista» come Schönberg. Nemmeno la scrittura, pure rivoluzionaria del coevo Bela Bartok raggiungeva esiti «espressionistici» analoghi. Ancor più concisi e aforistici sono i sei brani dell’op.19 (1911) che completano questa sorta di ritratto dedicato al maestro di Berg e Weber, seguaci della sua scuola rivoluzionaria.

Inedite sperimentazioni

Un fatto non da poco è che prima di Schönberg, rivoluzionario, e altroché, fu proprio Beethoven. La Sonata op. 2 n.2 svincola il genere dalla dimensione di intrattenimento per farlo diventare un poema. La «Patetica» è invece, con le sue inedite sperimentazioni, pienamente affacciata alla temperie «romantica» arrivata qualche lustro più avanti, mentre l’Appassionata, come annotava Piero Rattalino, risente, (al pari dell’op.53) della coeva scoperta del teatro dell’autore, che di lì a poco si cimenterà con «Leonore»: temi definiti, atmosfere ed espressioni forti e nitide, per conquistare l’attenzione del pubblico operistico, diverso da quello aristocratico fino ad allora il principale destinatario dei suoi lavori pianistici e cameristici.

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