L’«Elogio della normalità» vince il premio letterario di Sanremo

IL RICONOSCIMENTO. Il libro di mons. Dellavite primo nella sezione saggistica. «Non me l’aspettavo. Il Vangelo ancora oggi ritenuto una fonte di saggezza».

Monsignor Giulio Dellavite, segretario generale della Curia di Bergamo, autore di libri di successo come «Se ne ride chi abita i cieli» (Mondadori, 2019), con il suo ultimo saggio «Elogio della normalità» (ivi, 2023), ha vinto il Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo «Antonio Semeria» per la sezione saggistica. Monsignor Dellavite si è imposto sui due altri componenti della terna di finalisti, a seguito di uno spoglio dei voti della giuria popolare «in diretta»: Leonardo Giordano con «Enrico Mattei» (Historica); e Giacomo Sartori con «Coltivare la natura» (Kellermann).

Alla giuria tecnica, che si incarica, preliminarmente, di selezionare la terna dei finalisti, erano pervenuti circa duecento titoli (candidature avanzate dagli stessi autori o dalle case editrici). La cerimonia di premiazione si è svolta sabato pomeriggio al Teatro dell’Opera del Casinò, per la conduzione del giornalista televisivo Mauro Mazza, già direttore del Tg1, scrittore e saggista, membro della giuria tecnica.

Ciascuno è «primario nella sua propria realtà:spesso non ci rendiamo conto che le nostre parole, gesti, sacrifici, fatiche, sono primarie per qualcun altro»

«È un premio davvero inaspettato», commenta monsignor Dellavite. «Il libro è strutturato in 21 capitoli, a costituire una sorta di “abbecedario della normalità”. A ogni lettera dell’alfabeto corrisponde una parola, a cui è abbinato un personaggio “secondario” del Vangelo, uno di quei tantissimi personaggi-chiave che nessuno considera mai», come per esempio il cameriere dell’Ultima Cena e quello delle nozze di Cana: perché «a tavola si gioca la vera normalità». Colpisce come «il Vangelo riesca ad essere, ancora oggi, un manuale di umanità, e venga ritenuto come fonte di saggezza, nel senso migliore del termine. Qualcosa che aiuta a scoprire la normalità. Nei commenti della giuria ciò che è stato più còlto è stata proprio la forza del Vangelo, che aiuta a scoprire la ricchezza della vita di tutti i giorni. In una regione più laica della nostra Lombardia “bianca”, come la Liguria, il fatto che sia stato capito e sottolineato questo accento sul Vangelo come chiave di interpretazione della realtà e della normalità non mi ha certo lasciato indifferente. Mi ha dato gioia e soddisfazione il fatto che la mia opera sia stata letta così, colta nella sua verità: questo era il mio obiettivo, e ne sono molto contento». Scopo del libro era infatti mostrare come la normalità, che «sembra avvilente e avvinghiante, in realtà è avvincente. È la completezza della vita di ciascuno. Tante volte non ci rendiamo conto della ricchezza di quello che viviamo e facciamo: la normalità è la dimensione della realizzazione di ciascuno, la forma di quello che facciamo, dentro la quale ciascuno mette la sua ricchezza. Non è omologazione, è la sfida di ciascuno di noi a realizzarsi per ciò che è realmente, per riempire appieno la sua forma».

Ciascuno è «primario nella sua propria realtà:spesso non ci rendiamo conto che le nostre parole, gesti, sacrifici, fatiche, sono primarie per qualcun altro». Tante cose, invece, «luccicano ma non sono preziose. La straordinarietà spesso cela ipocrisia e finzione. Il galantuomo fa le cose bene tutti i giorni».

Il premio rivela come «la normalità di un prete bergamasco sia la chiave di lettura con cui tanti possono entrare dentro se stessi. Questo libro nasce da tanti incontri con la comunità, con persone frequentate nella mia esperienza di formazione parrocchiale o di cura. Vedere che questa esperienza può diventare cultura, trasmissione valoriale, mi onora: non è mia bravura, qualcosa di mio, è riuscire a trasmettere la cultura bergamasca, la cultura dei preti delle parrocchie bergamasche». Per dare un’idea: nella stessa cerimonia, il Premio alla carriera è stato assegnato, fra gli altri, a un nome come Pupi Avati.

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