Lo Shylock di Branciaroli: carnefice e vittima di Shakespeare

TEATRO. Dal 9 al 14 aprile al Donizetti l’attore milanese sarà protagonista de «Il Mercante di Venezia». «Il protagonista è quello che si definisce in inglese il villain», in realtà è un personaggio molto forte, che ha una sua violenza».

Per il penultimo appuntamento, la Stagione di Prosa della Fondazione Teatro Donizetti propone uno dei capolavori di William Shakespeare: «Il Mercante di Venezia». A portarlo in scena al Teatro Donizetti, da martedì 9 a domenica 14 aprile, sarà Franco Branciaroli: l’attore milanese, nel ruolo di Shylock, avrà al suo fianco Piergiorgio Fasolo (Antonio), Riccardo Maranzana (Salerio / Doge), Emanuele Fortunati (Solanio / Principe di Marocco),

Stefano Scandaletti (Bassanio), Lorenzo Guadalupi (Lorenzo), Giulio Cancelli (Graziano / Principe di Aragona), Valentina Violo (Porzia), Mersila Sokoli (Nerissa), Mauro Malinverno (Lancillotto / Tubal), Veronica Dariol (Jessica).

Regia e produzione

La traduzione del testo originale è di Masolino D’Amico. Regia e adattamento sono di Paolo Valerio. Le scene di Marta Crisolini Malatesta e i costumi di Stefano Nicolao. Gigi Saccomandi ha curato le luci e le musiche sono di Antonio Di Pofi, mentre i movimenti di scena sono Monica Codena. La produzione è del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Centro Teatrale Bresciano e Teatro de Gli Incamminati. Sono previsti spettacoli anche giovedì 11 aprile con il matinée alle 10.30; sabato 13 doppia replica alle 17 e alle 20.30. Domenica 14 aprile lo spettacolo inizia alle 15.30.

Franco Branciaroli, lei ha spesso sottolineato la difficoltà di mettere in scena Shakespeare.

«È vero, Shakespeare è difficile da gustare in pieno, noi de gustiamo una fotocopia: primo per la lingua, se uno conosce l’inglese e lo legge magari con il testo a fronte, si rende conto della totale impossibilità di rendere la grandiosità di quella lingua e quindi di quelle interpretazioni, se non hai una lingua anche l’interpretazione del personaggio viene tradotta, non saprai mai se è precisa e se psicologicamente riflette esattamente quello che c’è scritto, è un po’ come andare a camminare in una palude, ogni tanto sprofondi, non è come camminare su un selciato».

Venendo al «Mercante di Venezia», a volte viene affrontato più come se fosse una commedia anche se contiene evidentemente momenti drammatici.

«Commedia mi sembra un po’ eccesivo, Shakespeare non ha scritto testi tragici, non esiste la tragedia in Shakespeare, ha scritto dei drammi che sono sempre tragi-comici, “Il mercante di Venezia” è una tragicommedia, molto bella, molto abile che può dar vita a tante versioni. Il protagonista è, secondo me, quello che si definisce in inglese il villain”, come Riccardo III per esempio. Invece di presentarlo come il povero ebreo in realtà è un personaggio molto forte, che ha una sua violenza…».

Ecco, chi è veramente Shylock?

«Fa parte, come dicevo, della categoria dei villain, di cui fanno parte molti personaggi di Shakespeare, accennavo a Riccardo III, ma anche Amleto è un villain, sono personaggi che hanno una certo atteggiamento vigoroso e violento nei confronti delle cose che capitano. Questo mercante, Shylock, viene definito usuraio ma in realtà lui introduce a Venezia un sistema economico che nella economia arcaica di Venezia non c’era, cioè fa il banchiere. Sarebbe come se noi oggi dessimo dell’usuraio alla banca sotto casa. Ma poi c’è un punto che da noi non viene mai recepito bene, forse un po’ di più in questi ultimi anni: la vera matrice di questo conflitto è una matrice religiosa, un punto che non è mai stato sottolineato perché essendoci ormai un pubblico laico non percepisce più la drammaticità di questi temi. La prima frase che l’ebreo Shylock pronuncia verso il cristiano Antonio, appena appare in scena, è: “io lo odio prima di tutto perché è cristiano”. Alla fine della vicenda, quando gli salvano la vita, gli promettono di restituirgli parte del suo patrimonio solo se si converte al cristianesimo. Ecco, qui ci siamo, per il pubblico, questa cosa, siccome sta in coda allo spettacolo passa via un po’ così. Lui dice: “accetto”, e così fa due figuracce: la prima quella di un ebreo che si converte che è un fatto inaudito; la seconda è che appare come uno che si converte per avere i soldi. Shakespeare si comporta malissimo verso Shylock».

Shylock sembra quindi essere più vittima che carnefice.

«È tutte e due le cose, perché lui non avrebbe esitato a farlo fuori quell’altro. Attenzione: di vittime qui non ce n’è, c’è il dramma, c’è il conflitto, quando si fa una lotta chi perde non è una vittima, perché poteva vincere. La cosa grave che Shakespeare combina, è aver costretto un ebreo a convertirsi».

Potrebbe attenere un po’ all’antisemitismo tipico della società elisabettiana dell’epoca?

«Sì certo, lo ha fatto apposta, per il pubblico. Il più grande critico scespiriano, Harold Bloom, non ha mai scritto un saggio su “Il mercante di Venezia”: non c’è in tutti i suoi testi. Attraverso amici americani ho fatto delle ricerche e in alcune carte di Bloom hanno trovato questa frase: “Shakespeare, in tutte le sue opere, è un uomo dell’eternità. In questa (il “mercante”), è solo un uomo del suo tempo”, frase che è bellissima ma pesantissima. Bloom voleva dire che qui si è abbassato al contingente, ai gusti del pubblico: “come ebreo – dice Bloom - sono talmente offeso, talmente deluso da Shakespeare per questo testo, che non lo metto nel mio saggio».

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