«Nel mio concerto a Villa d’Almé cercherò la favola»

L’INCONTRO. Angelo Branduardi venerdì al Teatro Serassi: «La spiritualità è insita nella musica, che è l’arte più astratta e dunque la più vicina all’assoluto».

Il Premio Tenco è andato a ritirarlo nei giorni scorsi, a Sanremo, in ritardo di un anno. E venerdì 27 ottobre arriva al «Serassi» di Villa D’Almè per un concerto organizzato in seno al ricco programma di Molte fedi (pochi biglietti ancora disponibili; inizio ore 21). Angelo Branduardi suona violino e chitarra, in duo con il polistrumentista Fabio Valdemarin, pianista di formazione classica. Il concerto è acustico, riassuntivo del lungo cammino artistico che il musicista cantautore ha affrontato nel tempo: dal suo primo disco prodotto da Paul Buckmaster nei primi anni Settanta ad album cruciali come «La Luna», «Alla fiera dell’Est», sino al disco dedicato a Frate Francesco e a «Il cammino dell’anima» ispirato all’opera visionaria di Hildegarde von Bingen. In scaletta tanti successi e i brani che appartengono alla collana «Futuro antico», esplorazione ancestrale del suono dei secoli passati.

Colto, come le sue canzoni che nascono dalla poesia, Branduardi è il più schivo dei cantautori italiani, anche se recentemente, spinto dal giornalista Fabio Zuffanti, si è raccontato nel libro «Confessioni di un malandrino – autobiografia di un cantore del mondo».

Ecco, Branduardi è questo: un musicista onnivoro che spazia tra generi ed epoche, ha tratto esperienza dalla musica del mondo, dalla gente, dai posti, dalle voci mistiche che l’hanno illuminato, in primis Francesco d’Assisi. Non a caso lo scorso 23 giugno è stato chiamato alla National Gallery di Londra a riproporre «L’infinitamente piccolo», in occasione della grande mostra di opere ispirate al Santo. «Ho suonato nella sala 32, la più grande, davanti a 600 persone. Avevo dietro le spalle un enorme quadro di Guido Reni e davanti due Caravaggio», racconta il cantautore. «Eravamo piuttosto emozionati. È stato difficile tradurre per trio acustico quel progetto con tanto di cori, orchestra. Ma ci siamo riusciti. È stato uno dei punti più alti della mia carriera. Nessuno aveva mai suonato alla National Gallery. L’occasione della mostra mi ha aiutato. Non abbiamo suonato nient’altro; al bis ho rifatto “Il cantico delle creature”».

Stando sulla cronaca è andato recentemente a ritirare una Targa Tenco.

«Sì, il premio alla carriera. Al Tenco ho fatto le prime quattro edizioni, quando c’era ancora Amilcare Rambaldi. Nel 1974, alla mia prima volta, non ero nessuno. Piacevo all’allora direttore. È stato il primo ad ascoltare, a cappella, “Alla fiera dell’Est”. Avevamo un bellissimo rapporto».

A proposito di quel grande successo, lei è entrato e uscito dal mainstream più volte, ma alla fine si considera altro.

«Ho piazzato successi nel mondo. Nei venti, venticinque anni da rockstar non facevo meno di 20/30mila persone a concerto, sino ad arrivare alle 150 mila della Fete de l’Humanité, a Parigi, col palco disegnato dall’architetto Oscar Niemeyer che ha progettato Brasilia. Il successo non mi interessa in quanto tale, ho sempre fatto quello che mi andava, secondo i miei desideri. A volte ho fatto cose belle, a volte brutte, cose che non rifarei. Ho sperimentato molto: otto dischi di musica antica. Prima di concludere la carriera mi piacerebbe inciderne altri due».

Ma è vero che all’estero lo considerano un italiano del Rinascimento?

«Sì, penso che sia il segreto del mio successo fuori dall’Italia. Mi considerano profondamente italiano, non come i grandi tenori del bel canto, dell’opera, semplicemente di un altro periodo, di quella che è stata la base della musica classica italiana. Il periodo d’oro della musica italiana è sicuramente il Rinascimento e il primo barocco».

La musica ha anima e corpo, anche un anelito di spiritualità. E lei è dentro questo mondo per certi versi inafferrabile.

«Ai tempi della mia tournée con Morricone in Europa, come suo cantante, musicista, lo sentii dire a una radio privata queste parole: dato che la musica è l’arte più astratta, è la più vicina all’assoluto. Per i credenti l’assoluto è Dio, ma può essere l’amore, la natura, può essere mille altre cose. Se togli quell’aspetto alla musica qualcosa cambia. La spiritualità è insita nella musica, da quella primitiva in poi».

Come sarà il concerto che portate qui da noi?

«Con Fabio rivisitiamo il mio repertorio. Non manca niente: con pochi strumenti suoniamo anche “Alla fiera dell’Est”. Non cerchiamo l’impatto, cerchiamo la favola».

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