Omar Pedrini: sul palco a Treviglio i miei 30 anni di carriera

L’intervista Il cantante il 13 luglio al Revel: «Sarà un concerto antologico che ripercorrerà la mia carriera partendo dalle prime canzoni che ho scritto per i Timoria».

Il rock e la spada di Damocle. Omar Pedrini va avanti, nonostante tutto. Arriva il 13 luglio al «Revel» di Treviglio (all’area Fiera) per un concerto elettrico. È il primo appuntamento del «Viaggio senza vento Tour» con la band (inizio ore 21.30; biglietti 5 euro; ingresso gratuito entro le 20.45). «Sono contento di poter fare un po’ di concerti e di tornare nella Bergamasca», spiega lo Zio Rock. «Dopo due anni di Covid che han fermato la musica e non ho lavorato, ho chiesto ai medici di spostarmi la terza operazione a settembre. Ho fatto un sacco di visite e mi hanno dato l’ok. Riesco a fare questa bella tournée e un po’ di cosucce, poi in ospedale. Nel frattempo sto registrando il nuovo album. È un periodo molto intenso, emozionante. La vita è sempre una sorpresa».

Torna in scena con «Viaggio senza vento».

«È la parte estiva del progetto che abbiamo sospeso nel 2020, con Davide Apollo dei Precious Time che viene a cantare sul palco. Quella di Treviglio è proprio la prima data del tour con la Omar Pedrini Band. Fino ad ora ho fatto date unplugged».

Il sottotitolo dice «dai Timoria a oggi», un viaggio lungo e tortuoso.

«Sottolinea il fatto che in scaletta ci sono pezzi vecchi e nuovi. Potremmo dire che il concerto è antologico: ripercorre la mia carriera attraverso trent’anni, partendo dalle prime canzoni che avevo scritto per i Timoria».

Alla luce del tempo passato, quando reinterpreta la storia di Joe, una sorta di suo alter ego, che effetto le fa?

«Prima la sensazione era completamente dionisiaca, mi immergevo in quella storia da cui sono nati tanti spin off, il concerto del Fabrique è diventato un disco e un documentario

»Sono ammaccato, ho il cuore malandrino, ma resto votato alla musica, al mio pubblico che non si stanca di venire a sentirmi»

trasmesso da Sky Arte recentemente; ora rivedo Joe e rivedo me con la lente degli anni. Mi fanno tenerezza tutti e due. Sono passati quasi tre decenni, quel disco era del 1993. Guardo Joe con grande affetto e salgo sul palco per dire che sono ammaccato, ho il cuore malandrino, ma resto votato alla musica, al mio pubblico che non si stanca di venire a sentirmi».

Trent’anni di Joe non sono uno scherzo.

«Ora posso dirlo, nel 2023 uscirà un fumetto dedicato a quel personaggio. Altro spin off da quel disco fortunatissimo».

Ma quando sale sul palco, dopo così tanto tempo, con una vita alle spalle che le ha riservato gioie e dolori, seri problemi di cuore, che cosa prova?

«Mi fa sempre lo stesso effetto: una grande emozione. Se non la provassi probabilmente dovrei smettere di fare questo mestiere. Mi autoalimento di fronte alla gente. L’affetto del

pubblico è fondamentale per questa storia infinita. Il successo può baciarti nella vita, capita a molti, andare avanti per tanto tempo è un’altra cosa. Credo che tutto appartenga a una sfera emozionale che si rigenera nel legame che hai creato col pubblico. La cosa bella è che vedo dei giovani rocker che vengono a sentirci. Le nuove generazioni non abbandoneranno il rock».

Rifarebbe tutto sulla strada che ha percorso?

«Sì, perché se sono quel che sono lo devo anche agli errori, ai momenti difficili che ho attraversato. Li ho raccontati e li racconto nelle canzoni. La mia catarsi è sempre quella. Con la musica mi racconto».

Recentemente ha scritto un libro per Coop Lombardia sul food: «La locanda dello Zio Rock».

«Lo presenteremo presto anche a Bergamo».

E il nuovo disco?

«Non dovrei dire niente, però stiamo tirando le fila del lavoro di un anno con il mio braccio destro Carlo Poddighe. Le ultime composizioni le abbiamo registrate nella mia tenuta in Toscana, dove faccio olio e vino. Ci siamo chiusi in studio per una settimana e abbiamo creato una nuova parte dell’album. È un disco che nasce per band».

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