Pandemia e lutti, un laboratorio
Ascoltare il dolore per rinascere

Dalla memoria rinasce il domani. Sembra uno slogan trito e ritrito, e invece nasconde una verità profonda che ora, dopo aver vissuto il dramma della pandemia, si spera impareremo a comprendere.

Esistono vari tipi di memoria, ricordava Massimo Recalcati in un articolo scritto lo scorso anno su Repubblica.it. C’è la memoria-archivio, quella in cui il passato si deposita e basta; la memoria spettrale, l’incubo di un trauma che è impossibile dimenticare. Infine, scriveva, «La terza versione della memoria è forse la più importante e la più paradossale. È la memoria come attributo del futuro. È l’invito che Nietzsche ci rivolge: la memoria non deve ridursi a essere il culto passivo del passato, non genera solo venerazione o orrore, busti e monumenti. Dovremmo invece imparare ad usarla per creare attivamente il nostro avvenire. Il che significa farsi responsabili della memoria. Il passato non è alle nostre spalle come un peso inerte o come un incubo che non riusciamo a cancellare, ma può assumere forme e significati diversi a partire da come viene ripreso attivamente dalla vita mentre essa si sta muovendo verso il proprio avvenire. La memoria non deve semplicemente conservare quello che è già stato, ma deve servire la generatività della vita. Non deve restare impigliata in una paralisi melanconica che non riesce a non guardare se non all’indietro, ma sapersi gettare in un movimento proteso in avanti».

L’appello

È proprio a questo utilizzo consapevole e costruttivo della memoria che fa appello «Non recidere forbice quel volto», laboratorio di rielaborazione del dolore e condivisione della memoria progettato da Gamec in collaborazione con i Mediatori umanistici della Caritas Bergamasca, in particolare con Filippo Vanoncini e Giulio Russi, e con l’assessorato all’educazione alla cittadinanza e alla pace, del Comune di Bergamo. Il percorso, rigorosamente gratuito, sarà strutturato in tre incontri, due con i mediatori umanistici e uno con un’educatrice museale Gamec, attraverso i quali i partecipanti potranno sperimentare l’ascolto profondo di ciò che l’isolamento non ha permesso di condividere.

La richiesta

«Nel corso di questi mesi di pandemia, che hanno così profondamente inciso sulle persone, sui loro affetti, ma anche sul tessuto che tiene insieme la nostra collettività, – spiega la responsabile dei Servizi educativi Gamec Giovanna Brambilla - si è levata in modo forte, a più voci, una richiesta: che qualcuno accettasse di farsi carico, con sensibilità e competenza, della rielaborazione dei lutti, della solitudine davanti alla morte dei familiari, ma anche della condivisione e dei racconti di chi, nelle strutture sanitarie, nelle comunità e nelle residenze per anziani, ha accompagnato fino agli ultimi istanti queste persone. Chi c’era, per professione e impegno, e chi non poteva esserci, per restrizioni sanitarie. Due voci e due universi, entrambi feriti e sofferenti, che possono trovare nel confronto e nella condivisione una strada di rigenerazione». Di qui l’idea di un percorso che possa essere dispositivo per riattivare quelle relazioni che a tutti i livelli la pandemia ha improvvisamente reciso: «Crediamo sia necessario attraversare in modo comunitario questa memoria tragica – prosegue Brambilla – perché non diventi mortifera per le nostre persone e per le nostre comunità territoriali. Crediamo che un gesto creativo collettivo scaturito da un ascolto profondo possa offrire alla nostra città quella condizione necessaria a sviluppare nuove visioni generative per il nostro futuro, visioni che, seppur immerse nel dolore, sanno cogliere la speranza che sta racchiusa in ogni tempo che siamo chiamati a vivere. La mediazione umanistica usa un linguaggio che le è proprio, e che si sostanzia della relazione tra le persone; solo in presenza del volto dell’altro è possibile riconoscere e accogliere dolore, solitudine, desideri, memorie, storie, attraverso quello che viene chiamato un «laboratorio di memoria generativa» che, in questo caso, si completa con un laboratorio progettato degli educatori museali della Gamec per dare forma visibile attraverso gesti e azioni, al “peso” che è stato affrontato».

Il progetto

Il percorso è dunque rivolto «a persone che hanno perso un amico, un’amica, un familiare, ma anche al personale socio sanitario che nelle strutture ospedaliere, nelle residenze per anziani, nelle comunità, è stato vicino a chi era in sofferenza, e a chi è deceduto. Entrambe queste condizioni, infatti, hanno con sé un alto portato di dolore, perché si ritiene che proprio nell’ascolto reciproco si possa trovare nuova forza per affrontare il tempo che viene». Ma perché un laboratorio di memoria generativa all’interno di un museo d’arte contemporanea? «Il museo non è un deposito – conclude Giovanna Brambilla – ma è luogo di dialogo, relazione, della memoria e della collettività. L’esistenza del museo è garantita solo dalla staffetta tra generazioni che ne condividano il senso». E rinnovino, dunque, la memoria nel presente. Il calendario dei laboratori è in elaborazione. Nel frattempo, la Gamec raccoglie manifestazioni di interesse scrivendo a [email protected].

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