
Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Mercoledì 16 Luglio 2025
Raf sabato al Lazzaretto: «Non immagino la vita senza self control»
IL CONCERTO. Il cantante sarà a Bergamo in occasione del tour per i 40 anni della canzone che lo portò in cima alle classifiche.
Il tour dei quarant’anni di «Self Control» fa tappa al Lazzaretto di Bergamo sabato (inizio alle 21.30; biglietti disponibili su Tickemaster, TicketOne e rivenditori autorizzati). Raffaele Riefoli promette un concerto antologico, un vero e proprio «antidoto alla pesantezza di questi tempi». Carriera che attraversa 4 decadi, 14 album, 20 milioni di dischi venduti nel mondo, Raf è un campione del pop a viraggio vario. Nel 1984 «Self Control» cambia il corso, modifica definitivamente le traiettorie dell’artista, mandandolo in cima alle classifiche del pianeta. Quando un pezzo diventa iconico chi lo ha scritto ci deve fare i conti per tutta la vita. Oggi è impensabile il percorso artistico di Raf senza quella canzone. Chissà come sarebbe andata se non l’avesse mai scritta?
«In effetti ci ho pensato, le sliding doors esistono davvero - spiega -. È difficile per me oggi ipotizzare una vita diversa da quella che ho avuto, semmai non ci sarebbero state vie di mezzo: mi è andata bene così. Non riesco proprio a immaginare una vita senza la musica. Se io sono qui a distanza di 41 anni lo devo a “Self Control”. Prima di quel pezzo ero un ragazzo che suonava in una band, facevo musica rock nei Cafè Caracas con Ghigo Renzulli, prima che nascessero i Litfiba. Era un’epoca appena successiva al punk».
«È difficile per me oggi ipotizzare una vita diversa da quella che ho avuto, semmai non ci sarebbero state vie di mezzo: mi è andata bene così»
Infatti avete fatto in tempo a suonare con i Clash a Bologna
«Sì, in piazza Maggiore abbiamo aperto il loro primo concerto italiano. Ma se mi occupo ancora di musica è perché dopo l’esperienza rock ci fu la svolta di quel pezzo divenuto subito iconico».
È vero che la canzone le aveva provocato anche qualche problema psicologico?
«All’epoca dell’uscita di “Self Control” c’erano ancora nell’aria i residui degli anni Settanta, era importante che la musica fosse impegnata, altrimenti facevi della musicaccia. Io venivo dal rock, ero un musicista, sentirmi qualificato dai critici e in generale dalla gente come quello che faceva la dance mi creò qualche problema. L’italo disco furoreggiava, metteva in pista modelli e modelle prestati alla musica, gente che non aveva niente a che fare con il canto. Io rientravo un po’ in quel calderone e questo era frustrante».
«Self Control» è una sorta di racconto notturno dove rientrano temi come la libertà, l’auto determinazione.
«Nonostante il testo sia leggero, va inquadrato nel contesto degli anni Ottanta. La stesura iniziale l’ho fatta io, poi è stata corretta nella forma da Steve Piccolo, il bassista dei Lounge Lizards. Newyorkese madre lingua, mi ha dato una mano a sistemare i versi. Io mi ispiravo a Andy Warhol, alla Factory, alle mille luci di New York, alla gente che viveva pienamente la notte in tutte le sue forme».
Da quel brano in poi ha vissuto periodi di straordinario successo, dando un’identificazione a un certo suono degli anni Ottanta. Tante canzoni sono arrivate sino ad oggi, ma cos’è cambiato intorno?
«Con l’avvento delle piattaforme digitali la musica è cambiata, è veloce il modo di fruirne. Lo smartphone ci illude di conoscere, di sapere. Persino i giornalisti non verificano più le notizie, le mettono in rete, poi le levano, e tutto diventa confuso. Anche la musica è molto caotica oggi. Il modo di fruirla è veloce, intermittente, un ragazzo è difficile che ascolti una canzone per intero. Per me questo è shockante. Siamo la generazione del vinile, quelli che stavano ore ad ascoltare i dischi a casa, a scoprire le copertine. La musica veniva filtrata meglio, con più attenzione. Le canzoni duravano di più. È cambiato il tempo della musica, è cambiata la musica stessa, costruita ad hoc per le piattaforme».
Anche la musica è molto caotica oggi. Il modo di fruirla è veloce, intermittente, un ragazzo è difficile che ascolti una canzone per intero. Per me questo è shockante. Siamo la generazione del vinile, quelli che stavano ore ad ascoltare i dischi a casa, a scoprire le copertine
È considerato un autore pop, un pronipote del rock, figlio del punk, prossimo al cantautorato. Che prospettiva vede davanti?
«Il non avere una definizione precisa è sostanzialmente un vantaggio. Mi aiuta. Ho ascoltato sempre tanta musica, ho suonato a diverse latitudini di stile. Prima ancora di fare il punkettaro suonavo in una band progressive, in una formazione di musica etnica. Mi manca il jazz, ma non sono in grado di suonarlo purtroppo. Quanto a quello che farò, sto scrivendo canzoni nuove, con l’approccio di sempre. Non posso farmi condizionare dall’ambiente più di tanto. Non posso scrivere canzoni di due minuti in stile reggaeton, alla ricerca del tormentone del momento. Continuerò a fare del pop, al passo dei tempi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA