Sanremo, i testi al primo ascolto: dolori e riscatto in un Italia che spera di ritrovarsi

IL DOPO FESTIVAL/1. Le canzoni sotto la lente di Gianlorenzo Barollo, della redazione spettacoli de L’Eco. «Ogni volta il Paese prova a sintonizzarsi sul Festival con la segreta speranza di poter staccare la spina dai problemi».

«Dolore, noia, lacrime e fatica...». Verso 1,30 di notte il co-conduttore della prima serata Mengoni – per scherzo, ma non troppo – rivela il filo rosso che lega i brani del Festival di Sanremo numero 74. Sì, perché nelle melodie orecchiabili, nelle vampate ritmiche, nei sussurri prima delle grida della gara, esiste davvero un filo conduttore e si chiama sofferenza. E non è il solito disagio acchiappa voti, quello dei cuori spezzati che gemono, un must appiccicato al Festival dal 1951. Ovvio, non mancano amarezze e rimpianti, ma la messa a fuoco non è sull’amore, bensì sul dolore.

Nel 2024 il Festival ammette che anche dolore fa rima con cuore. E la musica non si tira indietro. Lo ha raccontato bene la madre di Giò Giò, il giovane musicista ucciso lo scorso agosto a Napoli, che sognava di suonare all’Ariston.

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Così nelle 30 canzoni in gara, oltre gli orsacchiotti e le paillette, le scoperture strategiche e la profusione di scarpe zeppate (unisex... sul palco occorre spiccare) e si ascoltano i lividi delle relazioni difficili, le cicatrici di storie finite male e i tonfi delle sconfitte quotidiane. Ascoltiamo le cadute nel vuoto della Amoroso, di Irama e di DePalma, le «lacrime di vetro» de il Tre e le emozioni fuori controllo di Sangiovanni. Si arriva anche alle «autodistruzioni» dei La Sad.

Ma nel dolore però si trova anche la forza del riscatto: lo scandisce Big Mama con «La rabbia non basta» e lo gridano i Negramaro in «Ricominciamo tutto». E forte di questo dolore che brucia dentro, c’è chi ha messo in canzone le sfide di una carriera: la sincera «pazza» della Berté e la trascinante «Noia» di Angelina Mango. Non mancano i brani-storia, che guardano già oltre le dinamiche del Festival: l’elegante Mariposa della Mannoia, la tuta dei ricordi di Mahamood e le stelle partenopee che precipitano di Geolier. Felici momenti narrativi che raggiungono punti alti, soprattutto con le interpretazioni di Diodato e Mannini.

L’esordio di Sanremo 2024 somiglia a un sorriso composto, che non si spalanca in risata (Fiorello a parte). Non è tempo di allegria posticcia, poco in sintonia con tempi. Lo riconoscono anche i giovani Bnkr44 che in una strofa sintetizzano: «parliamo d’amore in mezzo a una rivoluzione». Amadeus, sobrio timoniere, sta sulla plancia dell’Ariston gentile e attento, come un capitano consapevole della fragilità del bastimento in acque infide.

Sanremo infatti non è più un concorso di canzonette, è un palcoscenico che si estende oltre l’Ariston, fuori dai canali televisivi per disperdersi nei rivoli del web. Ogni volta il Paese prova a sintonizzarsi con la segreta speranza di poter staccare la spina dai problemi. Ma oggi più che mai, il carnevale canoro sanremese ha restituito in melodia l’affanno e i timori di un’Italia che non canta per dimenticare il male, ma si ascolta nella speranza di ritrovarsi.

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