«Sognai talmente forte», il nuovo libro di Massimo Bubola: le canzoni diventano romanzo

L’intervista. Il cantautore veneto presenta il suo nuovo libro: un testamento morale. I suoi grandi successi riletti come opera letteraria. «Musica e poesia sono due muse che si prendono per mano».

Il nuovo romanzo di Massimo Bubola – cantautore prezioso, scrittore di canzoni per sé e gli altri, Fabrizio De André compreso – racconta di un testamento: del passaggio di testimone tra il vecchio Callimaco e il mondo che rimane quando il protagonista se ne andrà al volgere del suo ultimo giorno. Il testimone che lascia all’appassionato nipote è fatto di ricordi, parole, suoni di strumenti, voci, canzoni che si rianimano e diventano protagoniste della narrazione. Canzoni come «Rimini», «Fiume Sand Creek», «Il Cielo d’Irlanda», «Volta la carta», «Il canto del servo pastore». «È anche un testamento morale», spiega l’autore. Di certo è l’opera che mette la parola definitiva sul rapporto che intercorre tra canzone e letteratura.

«Giusto a settembre ho scritto un articolo per la rivista “Argomenti” in cui parlo del rapporto tra musica e poesia» continua Bubola. «Sono due muse che si prendono per mano. Ho sempre considerato intrinseco il rapporto tra queste forze che per altro utilizzano la medesima terminologia: ballata, sonetto. In antichità la poesia si accompagnava con una cetra ed era monodica, con una sola voce, come quella del cantautore. Ho sempre un po’ sofferto in questi anni le diatribe sulla questione, soprattutto quelle sollevate dagli integralisti che guardano con sufficienza alla canzone. In questo senso il Nobel a Dylan è stato un momento di grande chiarificazione. In tanti hanno scoperto le carte, spesso denunciando una scarsissima conoscenza della canzone, di personaggi importanti che hanno caratterizzato la cultura del Novecento come Bob Dylan. Che tra l’altro aveva un legame profondo con Ginsberg. Dylan era parte organica del movimento poetico di rinnovamento che viene individuato nella Beat Generation. Quel movimento dà discontinuità come tanta altra letteratura giovane americana; penso anche a Paul Auster. D’altro canto ho sofferto anche l’atteggiamento di dare a destra e a manca la patente di poeta ad alcuni colleghi. Il mio è un libro di conciliazione, sereno. Si parla di morte, ma la si accoglie in modo naturale. È un mondo quasi precristiano, anche se poi nella narrazione c’è questo senso alto di conciliazione. Tra Virgilio e Thomas Elliott non c’è questa grande differenza. Tra “Assassinio nella cattedrale” e le “Bucoliche” ci sono sottili affinità. Nel libro c’è un pensiero poetico che in qualche modo è primigenio rispetto anche alla filosofia. La poesia è una sintesi del tutto. Non a caso i grandi profeti della Bibbia erano anche poeti. L’idea della morte è felice, dopo una vita vissuta e riconoscente. Sono sentimenti che non sono più così praticati».

Colpisce molto quel rapporto tra memoria e sensi che emerge dalle pagine e fa pensare a Dino Campana, alla sua poetica, al suo percorso conoscitivo nel rapporto col mondo.

«Come dico in una canzone: pochi l’hanno capito quel poeta ragazzo. Non era un poeta da salotto. Ha avuto una forte influenza su di me, con quella sua lunga morte, quasi metà della vita, quattordici anni di manicomio, a Scandicci. È morto di setticemia, un’infezione, come Rimbaud che se n’è andato per una cancrena».

Nel suo percorso artistico e letterario mescola dischi, romanzi, poesie che si abbeverano alle stesse fonti: la storia, la memoria, l’esperienza, gli avi, la cultura contadina. «Sognai talmente forte» sembra mettere un punto fermo su tutto questo universo poetico.

«Sì, è stato come portare tutto quanto a casa. È stato bello poter conciliare queste cose invece che metterle in contrasto. Ho sempre avuto l’istinto di farle convivere. Credo che il libro sia una summa delle mie passioni. Sono legato alla cultura umanistica, ma cresco al fuoco di una letteratura orale. Mio nonno era un affabulatore. Il mio libro è di sintesi, non si perde in excursus, è dritto, lineare, apollineo se vogliamo. Un po’ come il rock. Anche le mie canzoni sono molto dritte».

L’intervista su L'Eco di Bergamo

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