Sovversivi bergamaschi, oltre 40 anni di storia raccolti in un data-base

LA RICERCA. All’Archivio di Stato presentato il nuovo strumento informatico: consultabili on line i dati di 3.551 fascicoli intestati agli oppositori politici.

Un’«Anagrafe dei sovversivi bergamaschi» nel periodo 1903-1943: è il nuovo strumento informatico presentato, venerdì pomeriggio, 23 giugno, all’Archivio di Stato di Bergamo (via Bronzetti, 26), frutto della collaborazione fra quest’ultimo e gli studiosi di Archivio Bergamasco. Un data-base «appositamente creato per trasferirvi, implementare e rendere disponibili on-line i dati contenuti nei 3.551 fascicoli intestati agli oppositori politici bergamaschi, realizzati dalla Questura e dalla Prefettura di Bergamo nel periodo che va dall’età liberale a tutta l’epoca fascista». Fascicoli conservati «in 106 faldoni presso l’Archivio di Stato di Bergamo nel fondo “Questura di Bergamo – Persone pericolose per la sicurezza nazionale 1903-1943”».

Nell’occasione, è stata presentata anche la mostra (visitabile negli orari di apertura dell’Archivio) che offre una significativa esemplificazione del contenuto di questi fascicoli: foto, corrispondenze fra organi di sicurezza, schede personali e politiche... «Guai se interpretassimo queste 3.551 schede come una raccolta di aneddoti e curiosità», avverte Orazio Bravi, di Archivio Bergamasco, che ha aperto la presentazione. Questi materiali vanno letti «all’interno di un processo storico». Quindi, come preziose fonti per ricostruire sia le varie frange della dissidenza politica e marginalità sociale, sia la condotta, strategia, atteggiamento politico degli organi dello Stato. 1903 e 1943 «non sono estremi cronologici», ha chiarito Lucia Citerio, direttrice dell’Archivio di Stato di Bergamo. «Il primo documento di questi faldoni è del 1882, l’ultimo del 1953».

Foto, verbali e schede

Il 1903 fa riferimento a una «nuova organizzazione archivistica», in quanto «l’archivio delle persone tenute sotto sorveglianza nasce in quell’anno». I fascicoli contengono «verbali di arresto, carteggi fra le questure in merito agli spostamenti dei sorvegliati, segnalazioni, schede identificative, documenti personali sequestrati, come foto o lettere, tessere di partiti o associazioni ritenute pericolose»: materiali che offrono «quantità sin eccessiva di spunti di ricerca». Questo data base non è un mero inventario archivistico, «è molto di più: i fascicoli individuali sono connessi fra loro, consentendo una visione complessiva»: un modo per «dare nuova vita a queste carte». A fornire concreta dimostrazione di come si può consultare il regesto, che a breve sarà disponibile presso i siti di Archivio Bergamasco e Archivio di Stato, Adriano Rampoldi, di Mida Informatica. La catalogazione funziona «per cognome, da Abati a Zucchinelli; per luogo di nascita; per collocazione politica». Circa «2.000 le immagini», sensibilmente meno rispetto al numero degli schedati («non tutte erano pubblicabili»).

Ogni scheda contiene i dati biografici essenziali (data e luogo di nascita, livello di istruzione, professione, appartenenza politica, ecc.) e un profilo in extenso, che può avere dimensioni molto diverse, dipendentemente dalla quantità di fonti e dati disponibili. «Può essere una sola riga di testo», spiega Giorgio Mangini, promotore, ideatore, autore, con lo storico bolognese Rodolfo Vittori, della ricerca, «durata una ventina d’anni».

O invece avere dimensioni molto più ampie, come nei casi di Ernesto e Ada Rossi, per i quali c’è una messe «enorme» di dati. Questo thesaurus informatico è «un lavoro che si sforza di collocare la parte nel tutto. È un insieme di strumenti», per cui, consultando una singola scheda, si hanno a disposizione diversi collegamenti con altre. È «una struttura aperta», che si può continuamente «allargare ed approfondire», sempre disponibile ad implementazioni, provenienti, per esempio, auspicabilmente, da altri archivi. Da questi materiali «emerge moltissimo».

Si parte, non a caso, da Matteotti. «Nel fascicolo di Giuseppe Quarti c’è un cartoncino con un suo ritratto. È opera dell’allora diciassettenne pittore Ernesto Quarti Marchiò, nipote di Giuseppe. Uno schizzo tratto dall’immagine distribuita dal Psi, rimasto in casa dello zio fino al 1928. Un vicino denuncia che, in casa di Giuseppe Quarti, c’è un ritratto di Matteotti». Un sintomatico esempio, da una parte, di quanto la delazione fosse «maledettamente diffusa». E di quanto enorme, e trasversale un po’ a tutte le opposizioni al fascismo, l’eco del rapimento ed assassinio del deputato.

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