Stefano Bollani in concerto a Bergamo: «Si riscopre la musica come cura e preghiera»

L’INTERVISTA. Stefano Bollani torna a Bergamo per un concerto di piano solo, domenica 22 giugno al Lazzaretto.

La parola d’ordine è «improvvisazione e divertimento». Stefano Bollani torna a Bergamo per un concerto di piano solo, domenica 22 giugno al Lazzaretto (inizio alle 21.30; biglietti disponibili). Alla testiera il flusso è governato dall’estro del momento. Il musicista toscano attraversa epoche, salda generi musicali, si diverte a confondere le acque citando Lucio Dalla e Poulenc, Frank Zappa e il Brasile dei tropicalisti.

Un gioco musicale all’insegna dell’improvvisazione e della creatività per quest’estate che vede Bollani alle prese con ben otto progetti: un nuovo quintetto (con Jeff Ballard alla batteria, Larry Grenadier al basso, Vincent Peirani alla fisarmonica e Mauro Refosco alle percussioni), il duello amico di «Novecento» con Alessandro Baricco, il concerto evento dedicato a Chet Baker, con Rava e Fresu, il dialogo a due con il grande percussionista Trilok Gurtu, e infine il Danish Trio, vecchia conoscenza degli appassionati del jazz triangolare. Senza contare l’evento fissato al Festival di Ravello: incontro a tre piani con Dado Moroni e Danilo Rea.

«Sono molto contento di questa stagione all’insegna di tanti progetti - spiega Bollani. - per me vuol dire con certezza fare una cosa diversa ogni sera. I concerti non sono solo in mano mia, anche in quelle dei partner. Il bello di tutta questa storia è che, quando torno a suonare da solo, tutte le cose che ho trafugato ai miei compagni di viaggio le ricollego a me, confluiscono in un flusso che non mi fa mai sentire veramente solo, anche quando suono per conto mio».

L’improvvisazione al piano è dunque un confondere le acque, spaziando a destra e a manca, secondo un progetto citazionista? Come vive la dimensione solitaria?

«I concerti non sono solo in mano mia, anche in quelle dei partner. Il bello di tutta questa storia è che, quando torno a suonare da solo, tutte le cose che ho trafugato ai miei compagni di viaggio le ricollego a me, confluiscono in un flusso che non mi fa mai sentire veramente solo, anche quando suono per conto mio»

«Per me è un momento intimo, sei a nudo di fronte al pubblico, a persone che non conosci. La cosa bella è che quel pubblico generalmente ha pagato un biglietto, quindi è ben disposto nei tuoi confronti. Sta solo a te prendere l’energia positiva dalla gente che ha voglia di ascoltare musica. Devi prenderla e palleggiarla. Alla prendi quell’energia collettiva e la trasformi in musica, con tracce che mi sono predisposto prima, o predispongo al momento, mentre suono. Sempre pronto a cambiare strada. Sono disposto a farlo con un compagno di viaggio che mi indica la direzione all’impronta, e da solo, se una nota o una reazione del pubblico mi suggeriscono una sterzata da qualche parte. Una frase magari mi rimanda a Zappa e lui appare, poi se ne torna nel cassetto, e riprendo un discorso lasciato a metà strada facendo».

C’è qualche affinità tra questa dimensione e suo ultimo libro «Il tempo della stravaganza (Mondadori). I piani temporali sono diversi, ma alla fine si parla del tempo dell’umanità.

«Sì. Nel libro il narratore è nel futuro, un tempo in cui a trionfare è la spiritualità. È un mondo in cui si fa fatica a comprendere alcuni eventi come le guerre, i dissapori umani, sociali. La sola idea che si abbia bisogno di una legge che dice “non fare del male ad un altro altrimenti ti punisco”, è stravagante per quell’umanità. Però il libro è scritto con molto affetto da questo narratore che si rende conto che tutte le difficoltà nelle quali il genere umano si è messo, sono servite ad evolvere».

E a che punto siamo arrivati?

«Al punto in cui ci apprestiamo a riscoprire il valore della musica come aggregazione, cura, medicina, preghiera, come mezzo di comunicazione superiore alle parole, qualcosa che ci può mettere in contatto con gli alieni, come ha detto Spielberg in “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, o più semplicemente con le parti di noi che non conosciamo. Come quando una melodia ci commuove e non sappiamo perché. Ecco, questo valore della musica lo stiamo per riscoprire».

Nel libro scrive: «La musica prodotta nel tempo della stravaganza traboccava di creatività». Noi che tempo viviamo musicalmente?

«Sta traboccando anche questo 2025, ma è molto difficile per noi scovare la creatività: siamo aggrediti da troppe informazioni. Chissà quanti brani escono al giorno, quanti compositori scrivono sinfonie. È tutto troppo. Bisognerà trovare il mondo di gestire queste informazioni per tornare a prelevarne il meglio».

Alla fine di questa estate musicale così ricca tornerà in “Via dei Matti…”?

«Io e Valentina (ndr.: Cenni) lo speriamo proprio. Siamo sempre contenti di fare quel programma. Ci divertiamo, c’è un pubblico che ci segue, parliamo alle famiglie, in un orario buono per catturare molti. Siamo intergenerazionali, meglio di così!».

Il programma ha una filosofia musicale precisa.

«Più che altro c’è un intento. Quello di sfruttare al meglio il tempo a disposizione per parlare a tutti con entusiasmo di una cosa che a noi fa molto bene: la musica. L’idea è di unire questo tema ad argomenti come il rito, la condivisione, la bellezza, la pace, la salute, il cibo. La musica si collega a qualsiasi tema».

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