The Kolors: in tour per vivere di emozioni

L’intervista La band il 5 agosto a Urgnano. Stash Fiordispino: ci raccontiamo con le canzoni e i suoi ispirati agli anni Settanta e Ottanta.

Dal Castello di Urgnano al maxi palco di Viale Rimembranze: il concerto a ingresso gratuito dei Kolors (inizio ore 23), previsto in seno al «Fermento Festival, cambia location per troppo successo. Una meraviglia per Stash e compagni che il 5 agosto si apprestano a un vero e proprio bagno di folla. È uscito che non è molto l’ultimo singolo della band, «Blackout», e il tour sta andando alla grande in ogni piazza.

Che momento state vivendo?

«Cosa potrei chiedere di più di quello che mi sta accadendo - spiega Stash Fiordispino - Tutto va per il meglio. Da quando sono diventato papà provo emozioni che non pensavo si potessero vivere, e ora c’è anche questa ripartenza, finalmente a pieno regime. Il tour va bene, i concerti sono una festa, momenti di massima condivisione. A livello emotivo è tutto molto appagante, non potrei chiedere altro alla vita. Speriamo che duri per sempre. Uno strascico di paura resta, dopo gli eventi degli ultimi anni, ma si cerca di non pensarci, prendendo comunque le precauzioni del caso».

«Blackout» è l’ennesimo singolo di successo, andrete avanti così, pezzo dopo pezzo, o pensate a un album?

«Per una band che nasce sui palchi l’album è il racconto del periodo che attraversa. Un gruppo ha un racconto da fare anche dal punto di vista sonoro; ha un suo concetto di vita musicale. L’album è praticamente pronto, però al momento abbiamo optato per pubblicare dei singoli giusto per dar modo alla gente, ai vecchi e nuovi fan, di investire emotivamente sul messaggio attuale, fatto di suoni e forme che prendono a piene mani dagli anni Settanta e Ottanta. Da “Pensare male” in poi abbiamo affrontato un grande cambiamento. Quel singolo è

«Un gruppo ha un racconto da fare anche dal punto di vista sonoro; ha un suo concetto di vita musicale»

una pietra miliare. Da lì in avanti il modo di esprimere quel che avevamo dentro è cambiato. Forse meno leggero, sempre pop. Direi radiofonico, anche se non pensiamo alla radio mentre scriviamo. “Pensare male” è l’inizio di un nuovo modo di raccontarci. Non ha tanto a che fare con quei ritornelli che catturano il pubblico e rimangono in testa».

A proposito, all’inizio della vostra avventura artistica davate l’impressione di essere musicalmente più maturi, più avanti del pubblico che vi seguiva. Ora avete tarato meglio l’obiettivo?

«Sicuramente. Anche se siamo felici di vedere in prima fila ragazzi giovanissimi. Del resto l’obiettivo della musica pop è arrivare a tutti, essere trasversali alle generazioni. Però è vero che si è allineato il target rispetto a quello che suoniamo. Quando esci fuori da un talent pensi a quel momento come l’inizio di un percorso, ma noi in vero avevamo già alle spalle una bella gavetta. Quando ti ritrovi a cantare da sotto la doccia al Forum di Assago forse non ti rendi conto di quel che stai vivendo, mentre se hai fatto 400 concerti davanti a quattro persone, quando diventano tante sei più cosciente di quanto accade».

«Amici» prima e dopo. Com’è stato fare il giudice?

«Faccio fatica a scindere i due momenti. Anche nella veste di giudice mi sono sentito un partecipante. Ho dato solo qualche consiglio. Avevo molto nitido il ricordo di quando eravamo in gara. Ho prestato più attenzione ai ragazzi che al giudizio. Non mi sento di giudicare qualcosa che è artistico. Il gioco televisivo ci sta, la sfida è il termine più usato. Fa parte del format. Le competizioni però sono più apparentate con lo sport. L’arte è un’altra cosa. Ho fatto fatica a dire questo è meglio di quest’altro. Nel gioco ho cercato di mandare messaggi a tutti, anche quando ho dovuto esprimere una preferenza».

Dall’underground al mainstream e ritorno?

«Il mainstream è sempre stato il nostro grande obiettivo. Per noi fare goal è mettere l’underground sulla strada maestra del pop».

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