Trovesi festeggia 80 anni: «Difetto e virtù? Distratto da tante musiche»

DA NEMBRO AL MONDO. Il compleanno del musicista bergamasco: «Se fossi rimasto nell’orchestra della Rai potrei forse essere solo un pensionato».

Inevitabile, ma oggi non scontato, chiedere a chi ha alle spalle molte primavere, cosa si vede dall’altezza del tempo trascorso. Pochi dubbi che Gianluigi Trovesi abbia messo a frutto tante esperienze, anche perché nel suo campo, il musicista di Nembro si è distinto proprio valorizzando le molte e diverse esperienze che ha attraversato, senza lasciare indietro nulla. Eccolo dunque all’appuntamento degli 80 anni. «Penso di aver veramente acquisito saggezza. Ogni anno è un anno in più». Ci pensa un attimo e precisa: «Certo che se fossi rimasto nell’orchestra della Rai oggi potrei forse essere solo un pensionato. Eppure ho capito forse da poco il mio grande difetto e la mia grande virtù: ho passato la vita ad essere distratto dalle musiche che ho incontrato. Se posso cercare di rappresentare la mia natura usando una metafora sportiva non mi sono specializzato in una disciplina per diventare un velocista o un saltatore: sono un decatleta. Andare qui e là e non essere in un mondo solo è la mia storia». Alle prime edizioni della Rassegna internazionale del jazz, primi anni ’70, Trovesi era già sul prestigioso palco del Teatro Donizetti e ricorda «quando ci hanno chiamato, io e Gianni Bergamelli, eravamo in rappresentanza della nostra provincia. Ma se eravamo in due è perché allora, una ritmica bergamasca non c’era proprio. Oggi la situazione è completamente diversa, c’è moltissima conoscenza e cultura musicale e jazzistica, attorno a noi. Molti strumentisti, orchestre».

Dalle sale da ballo alla Rai

Pure le esperienze come sassofonista e clarinettista erano già molte. C’era il conservatorio, con il maestro Tassis, e le bande. Non solo: «Sono figlio di operai e il mestiere lo si impara in fabbrica, la cosa che oggi forse manca di più. La nostra bottega, sono state le sale da ballo. A settembre ho avuto il clarinetto e a Capodanno suonavo in pubblico. La musicalità che c’è in ognuno di noi si sviluppa se viene allenata. E quella è stata una delle mie palestre». A proposito di allenamento e mestiere c’è stata anche l’Orchestra di ritmi moderni della Rai. «Prima ti fanno battere i calci d’angolo fin quando un giorno ti trovi a tirare i rigori per la tua squadra. Nell’orchestra c’erano Baldo Maestri, Sergio Fanni, Gianni Basso, dei veri miti per me. E sono entrato nella loro squadra. È stato bellissimo anche se questa esperienza mi è tornata relativamente utile con gli organici che ho formato poi da leader. Pure quel modo di stare insieme, di fare gruppo, di interpretare insieme un certo stile, di avere quel tipo d’intonazione da sezione, è qualcosa che manca a chi lavora solo con piccoli combo». In quel breve volger d’anni (Trovesi entra nell’orchestra della Rai nel 1979 per uscirne nel 1993) c’è anche la pubblicazione nel 1978 di «Baghèt», primo album da titolare, dopo alcuni Lp con Franco Cerri e Giorgio Gaslini: «Sono orgoglioso della rimasterizzazione fatta ora e mi piacerebbe spiegare quel disco perché c’era davvero tutto. Il “Saltarello” era emblema delle innovazioni dell’Ars nova, una rivoluzione nella seconda metà del ’300, paragonabile a quello che ha fatto Schoenberg ad inizio ’900. Sono repertori che ho studiato in Conservatorio e in quegli anni mi pareva del tutto necessario non usare uno standard per il mio jazz. Da lì passavo poi a Coltrane, a Dolphy, alle launeddas, al Medio Oriente, alla serie dodecafonica. Sono ancora oggi orgoglioso della fuga a quattro voci basata su una scala dodecafonica che chiude il disco». Un clima che evocava ricerca, sperimentazione. «Non so se oggi c’è la stessa voglia di cambiare, di trovare vie inedite. Oggi come allora con il jazz si faceva fatica a lavorare, ma era acquisito che il jazz dovesse cercare di essere qualcosa di diverso. Tutti allora cercavano qualcosa».

Un sogno nel cassetto

Un cruccio di Trovesi è non aver portato ancora a Bergamo il progetto «Berg-heim» per orchestra sinfonica. «Lo si è ascoltata in Svizzera con l’orchestra sinfonica della televisione, a Milano con I pomeriggi musicali, a Torino con l’orchestra del Regio, a Brescia con l’Orchestra degli allievi e studenti del «Marenzio – ci tiene ad elencare –. A Beo è stata fatta una versione con organico ridotto di soli fiati per Notti di luce. A Brescia è stato presentato recentemente anche il documentario video realizzato in occasione del concerto sinfonico. Continuo a sperare». Ci sono stati anche i concerti dei giorni scorsi con le bande di Alzano e Nembro dei quali è «felicissimo. È un po’ come tornare in famiglia e guardare con serenità il monte Misma. Sono contento anche perché si suona la suite da Fiorenzo Carpi su “Pinocchio”, una parte importante della mia musica e della musica della mia vita. Mi festeggeranno anche nel Conservatorio di Darfo dove per qualche anno ho insegnato clarinetto classico e uscirà il disco registrato a Roma con Paolo Damiani e Ettore Fioravanti che riprende l’album “Dances” del 1985. Quanto alle registrazioni discografiche ci sono in programma un lavoro con Enrico Intra al pianoforte, io al clarinetto alto e Roger Rota al fagotto e un duo con il violoncellista Marco Remondini».

Il nuovo corso di composizione

Tra i prossimi impegni un corso decisamente eterodosso sulla composizione: «Parte domani a Nembro. L’idea è nata inizialmente con la banda svizzera di Airolo. Non è un corso tecnico, di armonia e di conduzione delle parti. L’idea è quella di sviluppare una competenza per gradi e passaggi molto semplici, come quando si arrivava a scrivere dopo aver praticato aste, pensierini e poi temi. Tutti possono “comporre” a partire dalle emozioni, che leghiamo ai vissuti musicali. E usando gli “strumenti” che abbiamo, pochi o tanti che siano. Ascoltiamo sempre musica e magari con poche note possiamo ricreare quelle situazioni emotive, oppure ideare giochi sonori. Non serve scalare l’Everest: se volete fare una passeggiata io posso indicare alcuni percorsi, far trovare delle storie. Sono contento che a Nembro si faccia questa cosa. Ci tengo perché ci credo molto. Ho studiato composizione sino al sesto anno con Fellegara ma questo è un modo di concepire la composizione come organizzazione di storie ed emozioni».

Gli incontri

E storie ed emozioni accompagnano le esperienze che sono frutto di incontri, talvolta imprevedibili. «Ho avuto la fortuna di potermi aprire a molti mondi e non ho fatto valere rigidi schemi di valore. Quando ho incrociato Riccardo Tesi e il suo organetto diatonico, lo spazio per l’improvvisazione era poco. Con lui e con Coscia abbiamo fatto una piccola rivoluzione con musiche ispirate dai suoni acustici, tenui e misurati, senza amplificazione, in epoca di totale egemonia elettronica. Con Christina Pluhar ho potuto suonare al fianco di cornetto e ghironda. L’incontro con Stefano Montanari e la musica barocca ha aperto altri mondi. Non diversamente le esperienze, così diverse, che ho fatto con gli improvvisatori radicali del nord Europa mentre sul versante opposto ho continuato ad abbandonarmi alla seduzione melodica pura con l’amico di sempre Gianni Bergamelli. Non ho scelto io, per me hanno scelto gli incontri che ho fatto. Mi piace ricordare un aneddoto che riguarda il grande Lee Konitz, uno dei miei miti. Gli chiesero come mai, a differenza di Phil Woods, non avesse mai registrato dischi di musica pop. Probabilmente chi faceva l’intervista si attendeva una scelta di campo, una questione di valori estetici. Rispose semplicemente: perché non me l’ha mai proposto nessuno».

© RIPRODUZIONE RISERVATA