«Per il clima la politica compia le proprie scelte, ma segua la scienza»

IL LIBRO. «Sfida: non credo esista parola più appropriata per descrivere la situazione in cui ci ha condotto il recente cambiamento climatico». Lo scrive Antonello Pasini nel suo nuovo libro, «La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: ragioni per il cambiamento» (Codice Edizioni, pagine 166, euro 18).

«Sfida: non credo esista parola più appropriata per descrivere la situazione in cui ci ha condotto il recente cambiamento climatico». Lo scrive Antonello Pasini nel suo nuovo libro, «La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: ragioni per il cambiamento» (Codice Edizioni, pagine 166, euro 18).Uno dei più autorevoli scienziati del clima italiani, molto noto anche per l’intensa attività divulgativa, individua non una ma cinque sfide tra loro connesse in cui la crisi climatica si dirama: scientifica, «filosofica», comunicativa, politica, delle azioni.

Manca l’educazione alla complessità

«Il clima è un modello di sistema complesso», esordisce il professor Pasini. «Dal mio punto di vista di ricercatore da un lato e divulgatore dall’altro, rilevo un anello mancante, quello della scuola, dove non esiste alfabetizzazione sulla complessità. Un grosso problema: la formazione del cittadino al futuro non può prescinderne, perché siamo immersi nei sistemi complessi. Il clima, l’economia globalizzata, Internet, le epidemie sono tutti fenomeni con dinamiche non lineari: per riuscire a interagirvi in modo corretto, alcuni concetti di base si devono conoscere. Ora di cambiamento climatico si cerca di parlare in educazione civica: non basta. Serve l’approccio delle materie scientifiche. La scienza permette di avere una percezione corretta dei problemi, perché altrimenti si combinano guai. Basta ricordare che cosa è successo ai primi tempi del Covid. Tutti pensavano che fosse confinato in una provincia della Cina. Ma non era così».

La Bergamasca, primo epicentro del Covid in Occidente, dovrebbe ricordarlo bene.

«Gli scienziati hanno spiegato che si doveva assolutamente intervenire tagliando i contatti tra le persone, altrimenti la diffusione del virus sarebbe stata esponenziale. Il lockdown ci ha salvato da guai peggiori. Se non si capisce che cosa sia un sistema complesso, si compiono azioni controproducenti. La scienza, invece, ci può guidare: è importantissimo. Il modo in cui, poi, ci si lascia guidare dalla scienza dipende dalla propria visione del mondo».

I gemiti della natura e quelli dei più poveri

È la sfida «filosofica».

«La visione antropocentrica e quella ecocentrica estrema sembrano opposte, ma partono dalla stessa radice: la divisione netta qualitativa e quantitativa tra uomo e natura. Anche gli ecocentristi estremi cercavano di separare la natura dall’influsso dell’uomo con il preservazionismo e il conservazionismo. Oggi si capisce che siamo a tal punto invadenti che questo disegno non è più perseguibile. Bisogna raccordare la nostra dinamica e quella della natura. Papa Francesco aveva capito che siamo in un rapporto molto fitto di interrelazioni con la natura e gli altri uomini e queste due interdipendenze vanno di pari passo. È l’ecologia integrale: i gemiti della natura rispecchiano quelli dei più poveri, delle classi più deboli. Un concetto fondamentale».

Essenziale non raccontare verità parziali

Poi c’è la sfida della comunicazione. Elisa Palazzi osserva che di clima si parla solo quando accadono eventi disastrosi e solo delle conseguenze, senza nominare le responsabilità.

«Questo aspetto delle omissioni da evitare è essenziale per non raccontare una verità parziale. La mia rubrica su “Lavialibera”, la rivista diretta da don Luigi Ciotti, si intitola “Zero omissioni”, perché di clima bisogna parlare a tutto tondo, senza nascondere nulla. Altrimenti, si travisa il risultato scientifico, difficile da far passare in modo trasversale. Assistiamo a una polarizzazione molto forte: si legge il risultato scientifico con gli occhiali della propria visione del mondo. Se è in consonanza, è accettato, altrimenti è ignorato o, ancora peggio, è distorto. Questo atteggiamento è terribile, perché dovrebbe avvenire esattamente l’opposto, cioè dovremmo essere più umili e capire se la nostra visione del mondo si accorda con quanto la scienza osserva e, se così non è, cambiarne qualcosa».

Riduzione del 90% delle emissioni al 2040

Riguardo alla sfida politica, lei è tra i primi firmatari della recente lettera aperta degli scienziati al governo.

«Sollecitiamo il governo a sostenere con determinazione l’obiettivo europeo di riduzione del 90% delle emissioni climalteranti entro il 2040. Noi scienziati non diciamo ai politici che cosa devono fare, ricordiamo l’obiettivo di decarbonizzazione da raggiungere, non parlando né di nucleare né di rinnovabili. Diciamo: abbiamo il viziaccio di fare i conti, possiamo offrirvi un ventaglio di soluzioni scientificamente fondate, voi scegliete quelle che più si aggradano alla vostra visione del mondo. L’importante è che si agisca senza politiche ondivaghe, non fermandosi per quattro anni come ora negli Stati Uniti con il ritorno di Trump. Il clima ha una propria inerzia: si deve intervenire subito e poi sempre in maniera continuativa perché, altrimenti, i problemi non si risolvono».

La cancellazione dei dati è terribile

Trump, oltre all’uscita dall’Accordo di Parigi per la seconda volta, sta conducendo una vera e propria guerra alla scienza del clima.

«Sì, anche con la cancellazione dei dati. È terribile. Probabilmente il pensiero critico scientifico dà fastidio. È un problema di narrazione. Si vuole raccontare la realtà senza nessuno che obietti: guarda che la scienza ti offre dati più oggettivi che, messi a confronto con le tue affermazioni, ti fanno capire se stai dicendo stupidaggini. Si crede, invece, che tutto quanto vada contro la propria narrazione della realtà debba avere poca risonanza: Trump si muove in questo senso. Molti colleghi americani vorrebbero venire in Europa, perché la situazione è veramente problematica per loro. Non possono scrivere “cambiamento climatico” nei loro progetti perché, altrimenti, non ricevono i finanziamenti, di cui hanno bisogno. Una mistificazione della realtà. Anche in Italia si parla sempre meno di clima. Prevale la narrazione che mostra la transizione ecologica come lacrime e sangue: non è così. Ma se si tolgono i dati scientifici regge benissimo».

La politica guidi la transizione ecologica

Siamo all’ultima sfida di cui parla nel suo libro, quella delle azioni. Ha evitato esplicitamente l’espressione di sfida economica?

«La transizione ecologica deve essere governata dai politici, che hanno o dovrebbero avere le competenze per gestire il bene pubblico e l’economia. La strategia di riduzione delle emissioni è vincente in molteplici modi: migliora la qualità dell’aria, taglia i costi delle bollette, diminuisce la dipendenza dall’estero, promuovendo la sicurezza energetica. Il problema vero, però, è che oggi i ricchi del mondo pensano di vincere su questo pianeta a scapito dei più poveri, ma non sarà così. Siamo tutti sulla stessa barca: prima affondano i più poveri, poi i più ricchi».

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