Piccoli: «Tesori d’arte da scoprire sul territorio»

INTERVISTE ALLO SPECCHIO. L’artista cosmopolita: «Passeggiate tra le chiese in città e visite ai capolavori in provincia». Leggi le «Interviste allo specchio», progetto in collaborazione con Il Giornale di Brescia.

Lo «stato dell’arte» a Bergamo visto dall’interno, ossia con gli occhi di un artista. Avremmo potuto rivolgerci a uno dei tanti che hanno fatto del legame con la terra bergamasca e con la sua lunga tradizione artistica una cifra del loro lavoro creativo. Abbiamo preferito, invece, scoprire il punto di vista di uno dei nostri artisti più cosmopoliti: Gianriccardo Piccoli, bergamasco ma con uno sguardo e un itinerario espositivo internazionale. E, soprattutto, uomo di grande schiettezza e sagacia.

Esplorando la geografia dell’arte contemporanea bergamasca, che cosa balza all’occhio?

«La scarsa presenza di gallerie d’arte. Ci sono delle gallerie buone, serie, ma non c’è una presenza di riferimento anche internazionale, come invece è a Brescia. Le gallerie più significative si sono da tempo trasferite a Milano, lasciando un vuoto. La vicinanza con Milano, poi, ha fatto sì che molti collezionisti si spostassero preferibilmente verso una città che offre molte più scelte. Tutto ciò ha penalizzato il tessuto locale. Da un punto vista pubblico, museale, invece, la Gamec negli anni ha rappresentato un polo di formazione ma è chiaro che assume le connotazioni di chi di volta in volta la dirige, e non potrebbe essere diversamente. L’operazione che trovo più interessante tra quelle proposte dai nostri musei nell’anno della Capitale della Cultura è forse la mostra attualmente in corso in Accademia Carrara, “Vette di luce”, che raccoglie anche la voce delle valli bergamasche, l’adesione del territorio. È importante che le istituzioni non siano calate dall’alto come fari di riferimento, se poi non illuminano anche la realtà locale».

E qual è il panorama locale dal punto di vista artistico?

«La realtà locale bergamasca è sempre stata molto viva. Magari con scuole che si rifacevano a modelli attardati rispetto a quanto accadeva contemporaneamente in Europa. Tuttavia, all’interno di questa realtà, c’è un mondo che andrebbe riscoperto e valorizzato, perché ricco di buoni artisti che restano tali anche se “fuori data” rispetto ai movimenti internazionali. Fra tre secoli non conterà lo sfizio filologico del dato temporale. A restare sarà la qualità dell’opera. E a Bergamo ci sono stati e ci sono artisti di qualità, anche se considerati epigoni di un mondo ormai scomparso. Prendiamo, ad esempio, la Crocefissione dipinta da Moroni per la chiesa di Albino: c’è una tale partecipazione della natura e una forza espressiva della valle che entra nell’opera, che anche se è un’opera che parla in dialetto ha un’intensità che nulla ha da invidiare alla Tempesta di Giorgione. Ricordiamoci che i gusti cambiano rapidamente, spesso pilotati da ciò che il mercato offre, mentre la qualità resta. Ogni tanto dovrebbe esserci la possibilità di esporre anche opere che hanno una loro forza pittorica, al di là del contesto storico specifico in cui sono collocate».

E il collezionismo? Di che salute gode a Bergamo?

«Bergamo ha una secolare tradizione di collezionismo, che ora però si è un po’ spostato sulle grandi fiere e mostre internazionali. Del resto, per essere un grosso collezionista di arte contemporanea occorre innanzitutto essere molto ricchi, perché qualsiasi opera, anche quella di un artista emergente, oggi si paga. E poi bisogna avere una passione quasi totalizzante, che spinge a muoversi ovunque, tra fiere e mostre significative. È dalla curiosità intellettuale che poi sfocia l’acquisizione».

Lei non si è sottratto né al dialogo con la dimensione del sacro né a quello con l’architettura. In questo senso Bergamo sta vivendo anni vivaci.

«Per molto tempo la nostra è stata una città bloccata da una pesante diffidenza nei confronti del nuovo. Negli ultimi anni si è finalmente aperta a sperimentazioni interessanti. Come è giusto, perché anche il pubblico bergamasco è cambiato, è pieno di interessi, partecipa, si muove, a cominciare dai giovani».

E il pubblico della Capitale della Cultura dove lo indirizzerebbe?

«A piedi, tra le chiese di Santo Spirito, San Bernardino e San Bartolomeo, per vedere quei capolavori di Lorenzo Lotto che abbiamo solo noi. E poi sul territorio, che purtroppo non è servito. Uno deve essere pieno di buona volontà per andare a visitare le Sacrestie dei Fantoni ad Alzano o la Danza macabra a Clusone, gli affreschi di Fermo Stella a San Bernardino di Caravaggio o la cappella di Romanino a Pisogne. Il territorio è ricchissimo ma, purtroppo, le folle del turismo vengono tutte convogliate dall’aeroporto o dalla stazione verso la funicolare, alla volta di Città Alta e di un pugno di “visioni” stereotipate della città».

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