Suor Scolastica: «C’è bisogno
di ascolto»

INTERVISTE ALLO SPECCHIO. La Madre Badessa del monastero di Santa Grata: la cultura vive nell’esistenza dell’umanità. Proseguono le interviste in collaborazione con «Il Giornale di Brescia».

Suor Scolastica, al secolo Laura Perico, è la Madre Badessa del monastero benedettino di Santa Grata in Città Alta. Per lei «la cultura vive nell’esistenza concreta dell’umanità».

Suor Scolastica, cosa l’ha portata a 19 anni ad entrare in un monastero di clausura?

«La scelta è nata dalla sensazione profonda di sentirmi amata. Ricordo che durante una gita ad Assisi durante le superiori mi sono sentita abbracciata da un grande amore e ho sentito il bisogno di riversare su altri questo amore. Anche grazie alla direzione spirituale di un sacerdote è maturata in me la vocazione. Ero una ragazza molto attiva in oratorio, mi dedicavo alla visita agli anziani, mi piaceva il teatro. Il mio tempo era ricco di interessi che mi piacevano ma varcando la prima volta il portone del monastero ho percepito subito la sensazione di aver trovato non solo un’oasi spirituale ma il luogo in cui dare forma all’amore che sentivo vivo nella mia vita».

Qual è il cuore della vita di comunità?

«Ora et labora sintetizza la Regola di San Benedetto che noi monache rendiamo concreta condividendo ogni momento della giornata. Preghiamo insieme, partecipiamo alla Liturgia, ci occupiamo della grande casa in cui viviamo e, in situazioni di malattia o di bisogno, ci occupiamo l’una dell’altra».

Una vita di condivisione totale può anche essere a tratti faticosa?

«L’elemento cenobitico, cioè la vita comune monastica, che non può mancare, rivela anche la fatica del “fare insieme”. Tutto può essere superato se continuiamo a percepire di nutrire una fede condivisa. Siamo tutte diverse tra di noi ma se Dio è al centro del nostro vivere, del nostro agire, la vita comune diventa ricchezza, testimonianza vicendevole e condivisione. Credo valga anche per una famiglia, una comunità cristiana».

La cultura ha a che fare con la vita monastica?

«Il monastero di Santa Grata è uno scrigno di cultura che affonda le sue radici nella storia. Percepiamo la responsabilità di custodire questo luogo antico che ha rappresentato e rappresenta l’espressione della fede dei nostri Santi. Non viviamo però in un museo. È stato un luogo di vitalità in epoche antiche e continua ad essere luogo abitato dalle storie di molte persone che si rivolgono a noi per un dialogo spirituale. La cultura vive nell’esistenza concreta dell’umanità. Siamo aggiornate su quanto accade nel mondo e in città, leggendo i quotidiani e lasciando entrare la vita delle persone. Attraverso l’incontro mensile di preghiera con l’associazione “Figli in cielo” noi monache ci accorgiamo che attingiamo da fonti nascoste di bene che stanno nella vita dei tanti bambini, ragazzi e giovani che ora sono in Cielo. Dalle loro famiglie raccogliamo il dolore, ma anche testimonianze di fede e di amore».

Come può essere definito il vostro ruolo all’interno della società?

«Vogliamo essere testimoni di speranza. Lo facciamo nelle conversazioni alla grata, al telefono, un tempo con la corrispondenza. Lo facciamo nella preghiera. Sono tutte possibilità di incontro che diventano occasioni per dire la gioia della fede e la bellezza di una vita che va nutrita di speranza».

Crede che la Capitale della Cultura abbia portato qualche novità?

«La nostra città si è sicuramente arricchita molto dal punto di vista culturale, offrendo anche maggiori possibilità di entrare nella nostra storia, nel nostro patrimonio architettonico e artistico, nelle espressioni più diverse della cultura. In questo anno nel nostro monastero sono aumentate parecchio le visite guidate, durante le quali abbiamo avvertito il desiderio di conoscenza. Entrare in questo luogo pone però anche domande più profonde sul nostro vivere, sulla nostra vocazione. Dalle visite è nata da parte di molte persone una richiesta di incontro personale per un colloquio. Spesso è introdotto da uno sfogo, dalla consegna di una sofferenza o di una preoccupazione. C’è bisogno di ascolto nella nostra città, un ascolto che non sia giudicante. Alcune ragazze hanno chiesto di avvicinarsi per un discernimento personale. La visita al monastero apre le porte dell’anima e porta spesso a ritornare. Si inizia con uno scopo culturale e ci si apre poi alla spiritualità. Offriamo ospitalità per esperienze di convivenza di studenti liceali, che al mattino frequentano la scuola e al pomeriggio vivono una proposta di preghiera e di adorazione. Credo questi siano frutti preziosi di questo anno».

C’è qualche connessione con Brescia?

«C’è stata nei secoli passati, con la presenza delle monache benedettine nell’antico monastero di Santa Giulia. Ora avvertiamo questa connessione attraverso la relazione tra queste due realtà lombarde e il nostro vescovo Francesco, di origine bresciana: rappresenta secondo noi un legame di fede tra le due città».

Leggi anche l’intervista a suor Catia Pintossi di Brescia, missionaria della Società di Maria, sull’edizione cartacea de L’Eco di Bergamo e sul sito de «Il Giornale di Brescia».

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