Viveka Assembergs: «Pochi spazi aperti agli autori locali»

BERGAMO. Viveka Assembergs ha incontrato tardi la scultura: «Ma mi sono sentita a casa, e la gente si rispecchiava». Proseguono le interviste parallele su «L’Eco di Bergamo» e «Il Giornale di Brescia».

Scultrice e donna. Per parlare di una disciplina come la scultura nella geografia artistica contemporanea del territorio bergamasco, abbiamo volutamente scelto di dare voce a una figura per molti versi «anomala».

Donna, innanzitutto, che si inserisce in una storia, come quella della scultura a Bergamo, scritta quasi esclusivamente dagli uomini (ma che ci offre anche il destro per sottolineare il fermento che negli ultimi anni sta attraversando la scultura contemporanea al femminile in Italia, sia dal punto di vista della ricerca che della sperimentazione dei materiali, dal ferro al bronzo, dall’acciaio al cemento). In secondo luogo perché, pur affacciandosi al panorama pubblico ed espositivo soltanto da una ventina d’anni, è riuscita a meritarsi un ruolo rappresentativo nell’arte prodotta dalla nostra città, cimentandosi anche nella scultura pubblica, compresa quella sacra. Si tratta di Viveka Assembergs, con la quale abbiamo condiviso alcune riflessioni.

Il binomio donna e scultura, almeno nella sua natura originaria di confronto con la materia, non è ancora così scontato. Perché ha scelto la scultura?

«In realtà è la scultura che ha scelto me. Il mio percorso ha preso il via nel campo della grafica pubblicitaria e della pittura e ho vissuto faticosamente il distacco dalla perfezione grafica verso qualcosa meno vincolante la mia creatività.La scultura l’ho incontrata tardi, circa venticinque anni fa, ma per me è stata come una rivelazione. Finalmente mi sono sentita a casa e ho capito che quello sarebbe stato il linguaggio che poteva rendermi libera nella mia espressione. Da quel momento ho dedicato tutte le mie energie alla scultura, nei primi anni in una dimensione intima, silenziosa, finchè ho capito che era arrivato il momento di aprirmi al confronto pubblico».

Quale accoglienza avete avuto, lei e il suo lavoro, nella comunità ben delineata degli artisti del territorio?

«L a città ama i suoi artisti storici, ed è sempre piuttosto guardinga nei confronti del nuovo e soprattutto dei giovani. E invece, inaspettatamente, ho avuto da subito un’accoglienza  positiva, in primo luogo da parte del pubblico. Mi sono resa conto che le mie opere, pur essendo lavori che parlavano di me,  incontravano il gradimento di tante persone, che in esse trovavano il modo di rispecchiarsi. Nell’immediato, probabilmente complice la mia indole per nulla competitiva, sono stata ben accolta anche dai colleghi artisti. Forse è stata leggermente più difficile successivamente, quando si sono resi conto che il tempo passava e io ero ancora lì e continuavo a maturare. Infine, sono stata accettata e posso ben dire di avere veri amici nella comunità artistica bergamasca».

E la Bergamo delle istituzioni e dei musei quale spazio riserva ai suoi artisti?

«Le possibilità sono poche. La città non dispone di molti spazi dedicati o comunque adeguati all’attività espositiva e un museo come la Gamec ha una vocazione internazionale, che ovviamente ha ragion d’essere ma che non lascia grande spazio all’arte del territorio, che è come lasciata sullo sfondo, è data per scontata».

A proposito di arte pubblica, lei ha avuto l’occasione di sperimentarla. Può ancora avere un ruolo nelle città del presente e del futuro?

«La scultura pubblica e monumentale in Italia praticamente non esiste più, se si apre un confronto con l’attenzione che le istituzioni riservano all’arte in altri Paesi, come quelli nordici, da cui provengo. Oggi per realizzare una scultura monumentale un artista deve necessariamente avere alle spalle un committente privato, perché i pochi concorsi pubblici banditi per la realizzazione di opere da inserire nel contesto urbano hanno una base economica che non consente nemmeno di approcciarsi alla dimensione monumentale».

Data la sua esperienza anche nell’insegnamento, che cosa si può fare per supportare i giovani artisti?

«Per i giovani io cerco di fare la mia parte. Insegno scultura, e anche metodi e tecniche di scultura sacra. Il mio compito è trasmettere loro tutto quello che posso, motivarli, aiutarli a capire come meglio esprimersi. In molte occasioni li ho anche accompagnati fuori dall’ambiente protetto dell’accademia. Abbiamo realizzato diverse iniziative e ho coinvolto alcuni di loro nella preparazione della mia mostra in uno spazio significativo quale il Palazzo della Ragione di Bergamo, perché potessero sperimentare le modalità con cui un artista deve accompagnare le sue opere, anche affrontando gli imprevisti e le difficoltà di un allestimento».

Il progetto «Interviste allo specchio»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con «Il Giornale di Brescia» e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista allo scultore Giuseppe Bergomi, pubblicata anche sull’edizione cartacea de L’Eco di Bergamo di domenica 17 settembre.

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