Problemi psicologici, il cugino finì in ospedale un mese prima del delitto

OMICIDIO DI MAPELLO. Il 61enne in cella con l’accusa di aver ucciso Stefania Rota da anni soffriva di crisi depressive. «Ho perso la testa, ora non ricordo nulla». Ma è pentito di ciò che ha fatto.

Un mese prima dell’omicidio Ivano Perico fu ricoverato in ospedale per ragioni di natura psichiatrica. È quanto emerge dalle indagini sull’omicidio di Stefania Rota, 62 anni, per il quale il cugino 61enne è finito in carcere il 13 maggio scorso. È accusato di averla aggredita nell’abitazione della donna in via XI Febbraio a Mapello l’11 febbraio scorso, di aver chiuso la porta a chiave e di aver spostato la Ford Fiesta di Stefania di modo che le amiche e gli altri parenti fossero indotti a ritenere vera la voce che lui stesso aveva messo in giro: e cioè che la cugina stesse trascorrendo un periodo al mare con un anziano che doveva assistere. La 62enne è stata trovata morta più di due mesi dopo, il 21 aprile.

Perico, che aveva lavorato come rappresentante commerciale di una azienda produttrice di birra, negli ultimi anni era caduto in depressione dopo una vita brillante, affrontata – dice qualche amico – a volte con piglio guascone. Non si sa quale sia stato l’episodio scatenante di questa crisi, fatto sta che il 61enne usciva sempre meno e preferiva starsene rintanato nella sua abitazione. Intorno alle metà di gennaio aveva accusato una crisi di natura psichica, tanto che da casa (non è appurato se la moglie e la figlia 17enne o lui stesso) avevano chiamato un’ambulanza. Il 61enne era stato portato all’ospedale Papa Giovanni, nel reparto di psichiatria, e qui era rimasto ricoverato per qualche giorno.

«Ho perso la testa»

«Ricordo poco, so solo che ho perso la testa», ha detto Perico ai difensori Piero Pasini e Stefania Battistelli che ieri sono tornati in carcere per un nuovo colloquio. Il 61enne ha ammesso le proprie responsabilità in sede d’arresto e ora vorrebbe farlo davanti al pm Letizia Ruggeri. Ma è ancora scosso, fatica a parlare e a imbastire un discorso completo. Anche se, come ha osservato l’avvocato Pasini una volta terminato l’incontro, «mi sembra un po’ più lucido rispetto ai giorni scorsi; si vede che sta facendo un percorso con gli psicologi e attraverso le strutture messe a disposizione dal carcere. Sta cercando pian piano di ricostruire un periodo della sua vita piuttosto buio che è durato diversi anni e anche questo periodo di poco antecedente e successivo al delitto. Ma non sta bene».

Il movente sarebbe il contenzioso per il capannone di Stefania, il cui tetto pare sconfinasse nella proprietà di Ivano.

«Sta ricordando le modalità di una lite che è sfociata in quello che sappiamo – ha dichiarato Pasini –. Ha anche avuto parole di pentimento, si rende conto di aver commesso qualcosa di grave, non proporzionato rispetto al fatto». Il movente sarebbe il contenzioso per il capannone di Stefania, il cui tetto pare sconfinasse nella proprietà di Ivano. I due si erano rivolti al catasto e sembra che le proprietà siano poi state rideterminate. Tutto risolto? No, almeno nella mente del 61enne. Che probabilmente in tutto questo tempo si è macerato ritenendosi vittima di un’ingiustizia. Un raid incendiario del 3 marzo aveva avuto come obiettivo lo studio del geometra, situato anch’esso in via XI Febbraio, che aveva curato la pratica per conto di Stefania. È Perico l’uomo claudicante che alcuni testimoni avevano visto versare liquido infiammabile da una tanica sulla vetrata dello studio alle 5 del pomeriggio di quel giorno? Gli inquirenti stanno cercando di capire. Una tanica era stata notata da qualche residente nella Ford Fiesta di Stefania che il cugino aveva parcheggiato in via Foscolo. C’entra con l’incendio? E se è stato Perico, perché quel raid incendiario? Voleva completare la sua missione punendo anche il geometra di Stefania?

Nessun movente sentimentale

Perde quota invece il movente sentimentale, che aveva preso piede all’inizio per due frasi trovate scritte sull’agenda della vittima. La prima: «Attenta, Ste, a Ivan… ma questo già lo sai». La seconda: «Era tanto che non lo vedevo e l’ho rivisto da luglio (2022,ndr)». Da luglio 2022 all’11 febbraio, giorno a cui viene fatta risalire la morte, il cugino la chiama 109 volte. Poi, dopo l’11 febbraio, non la contatta più. «Evidentemente perché era a conoscenza della sua morte», chiosa il gip Massimiliano Magliacani nell’ordinanza di custodia cautelare.

Le frequenti passeggiate con il cugino erano annotate nell’agenda, così come le cose di tutti i giorni: la sveglia, la colazione, la spesa, il rifornimento di benzina. Se ci fosse stato qualcosa di tenero con Ivano, ragionano gli inquirenti, Stefania l’avrebbe sicuramente affidato alle pagine del diario.

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