«Ero in ferie, ma mi sentivo stanco». La leucemia sconfitta con il trapianto

Luigi Gentili. La malattia superata due volte. L’importanza del dono di midollo osseo per salvare altre vite.

«Ognuno di noi ha il potere di salvare una vita. Basta compiere un gesto semplice come iscriversi al registro dei donatori di midollo osseo. A me è successo: sono vivo grazie al trapianto che mi ha permesso di guarire da una leucemia mieloide acuta». Gli occhi di Luigi Gentili, 63 anni, di Serina, in un attimo diventano lucidi. Quando pensa a tutto ciò che ha affrontato il suo cuore si riempie di emozioni, come onde del mare sospinte dal vento dei ricordi. «La mia storia - spiega - inizia nell’estate 2005, durante un periodo di ferie in Croazia. Avevo 46 anni, era Ferragosto, nonostante fossi in vacanza mi sentivo molto stanco. Pensavo di essere stressato a causa del lavoro perché all’epoca facevo il project manager su grandi navi da crociera. Era un ruolo impegnativo, mi occupavo della parte elettrica, c’erano materiali da ordinare e consegnare, scadenze da rispettare, una vita sempre di corsa».

I primi segnali di debolezza

Quella volta, però, dietro la strana debolezza c’era qualcosa di diverso, abbastanza grave da creare un’incrinatura in quell’atmosfera serena: «Quando sono rientrato mi sono accorto di avere delle fiacche in bocca. Pensavo fosse una banale infiammazione, per curarla mi sono comunque rivolto al medico. Dopo avermi visitato lui mi ha prescritto le analisi del sangue. Sono andato in ospedale per il prelievo la mattina dopo e nel giro di due ore sono stato richiamato dal medico, perché gli avevano inviato gli esiti via fax dal laboratorio. Mi ha convocato nel suo studio e mi ha invitato a recarmi con urgenza al pronto soccorso degli allora Ospedali Riuniti».

È iniziata così un’odissea che mai Luigi si sarebbe immaginato: «Dopo gli accertamenti del caso mi hanno chiamato nello studio del reparto di ematologia. C’erano tre medici che mi hanno comunicato la diagnosi: leucemia mieloide acuta. Nonostante la delicatezza e l’umanità con cui l’hanno fatto, è stato un momento terribile. Mi hanno detto di tornare a casa, salutare amici e parenti e tornare la mattina dopo per iniziare la chemioterapia, spiegandomi che sarei «rimasto con loro» per almeno un anno. Hanno avuto fin dall’inizio un atteggiamento positivo e propositivo ma ho chiesto comunque in modo diretto quante possibilità avessi di sopravvivere. Mi hanno dato una percentuale del 40-45%, e ho replicato che avrei cercato di rientrarci». Fin dall’inizio, nonostante il timore e la fatica, Luigi ha mantenuto un atteggiamento positivo: «Ho pensato che non ci fosse altro da fare che mettercela tutta per guarire. La speranza è stata la mia arma segreta. Nel reparto di ematologia dell’ospedale ho incontrato persone straordinarie».

Fin dall’inizio, nonostante il timore e la fatica, Luigi ha mantenuto un atteggiamento positivo: «Ho pensato che non ci fosse altro da fare che mettercela tutta per guarire. La speranza è stata la mia arma segreta. Nel reparto di ematologia dell’ospedale ho incontrato persone straordinarie».

Le sedute di chemioterapia scandivano il ritmo delle giornate, in cui anche nel cuore di Luigi e di sua moglie Gloria si alternavano attimi di buio e di luce: c’erano fatica e sofferenza ma sempre illuminate dal coraggio.

«Dopo la chemio – ricorda Luigi – si decide il tuo destino. Bisogna aspettare che riprenda la produzione di globuli bianchi, rossi e piastrine. Se avviene in modo normale vuol dire che la terapia funziona. A un certo punto gli specialisti mi hanno detto che la soluzione migliore a quel punto sarebbe stato un trapianto di midollo osseo. Hanno eseguito test per la compatibilità con i miei parenti ma purtroppo nessuno di loro aveva i requisiti richiesti. Non c’era un donatore per me, perciò ho dovuto riprendere la chemio, in dosi massicce, che hanno provocato moltissimi effetti collaterali. Avevo la bocca e l’esofago doloranti e pieni di piccole ferite, ma mi sforzavo comunque di mangiare. Ho visto alcuni compagni di percorso che invece purtroppo si sono arresi. Quando il ciclo di terapie è terminato mi sentivo distrutto, ma ho avuto il mio premio: mi hanno detto che la malattia era finalmente in remissione completa». Quasi Luigi non ci credeva: «Ho ringraziato infinitamente i medici, e alle persone che incontro dico sempre che è fondamentale reagire in modo positivo, ma anche evitare di confrontarsi con gli altri, perché ognuno ha la sua storia».

La recidiva a Natale

Per quindici anni ha potuto considerarsi guarito, dimenticare la leucemia e vivere bene il tempo che sentiva di aver conquistato a caro prezzo. A un certo punto, però, la malattia si è riaffacciata, ancora una volta in modo subdolo: «Nel periodo delle vacanze di Natale ho avuto un po’ di febbre e uno strano senso di malessere, mi sono comparsi sulla pelle dei puntini rossi, ma pensavo che fosse influenza. Non credevo che dopo così tanto tempo ci fosse ancora il rischio che tornasse la leucemia. Ho aspettato qualche giorno, poi, visto che i sintomi non se ne andavano, sono andato a fare gli esami del sangue. Purtroppo leggendo gli esiti ho capito subito che il mostro era tornato. Sono andato di corsa al pronto soccorso e perfino i medici del reparto di ematologia, che si ricordavano di me, erano sorpresi di vedermi».

Dopo nuove analisi, purtroppo è arrivata la conferma: recidiva di leucemia mieloide acuta. «Ho ricominciato le terapie - dice Luigi -, e il mio fisico fortunatamente ha reagito bene, anche se io avevo molte paure in più. Temevo soprattutto che con l’avanzare dell’età diminuissero la possibilità e l’efficacia delle cure. Quasi subito l’équipe degli ematologi mi ha annunciato la necessità di procedere al trapianto di midollo. Stavolta, però, hanno trovato subito una corrispondenza, compatibile al 100%. Mi è sembrato un miracolo». Luigi ha dovuto affrontare un periodo faticoso di preparazione: «Ci voleva l’azione combinata di radio e chemioterapia, venti minuti al mattino e altrettanti di pomeriggio. Gli effetti sul corpo erano devastanti. Non avevo più voglia di niente, sono dimagrito moltissimo, ma tenevo duro».

Finalmente, il 13 marzo del 2019 è arrivato il momento del trapianto: «Non so chi sia la persona che mi ha salvato, so che è una giovane donna, ma non ho idea della sua nazionalità o professione. Se potessi in qualche modo raggiungerla, vorrei ringraziarla, perché mi ha salvato la vita. Il trapianto è durato tre ore, si è svolto in modo molto semplice, e ho passato quei momenti con un forte senso di gratitudine. Qualcuno è ancora convinto che la donazione del midollo comporti pratiche invasive, ma non è così. Si svolge in modo praticamente analogo a una donazione di sangue, e può salvare una vita, come è successo a me». Per questo, osserva Luigi, è così importante l’azione di associazioni come l’Admo (https://www.admolombardia.org/provincia/bergamo/).

Nei momenti più difficili ha sempre potuto contare sulla professionalità e la vicinanza umana degli specialisti del reparto di ematologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII e sull’amore della sua famiglia. «Il reparto di ematologia - spiega Gloria - è un ambiente dove i pazienti non sono mai numeri ma persone, che vengono chiamate per nome». Di fronte a un nemico così temibile e alla possibilità della morte è naturale sentirsi a volte abbattuti e disarmati: «La seconda volta il supporto della mia famiglia è diventato ancora più importante. Non so che cosa mi sarebbe accaduto se non avessi avuto vicino mia moglie e i miei fratelli. Ci sono momenti durissimi in cui viene voglia di lasciarsi andare».

Nei primi mesi dopo il trapianto di midollo sono necessari controlli quotidiani: «I medici mi hanno spiegato che era necessario restare vicino all’ospedale, Serina era fuori mano, perciò abbiamo cercato un’altra soluzione. Mia moglie lavora al Seminario vescovile di Città Alta e conoscendo la nostra storia è stato possibile metterci a disposizione uno spazio dove stare. È stato un grandissimo aiuto di cui non ringrazierò mai abbastanza perché ci ha permesso di affrontare con serenità un momento molto delicato. Gloria così poteva continuare a lavorare, io ero in camera a riposare, ma se avevo bisogno di qualcosa sapevo di poterla raggiungere con facilità».

Un nuovo senso della vita

Ogni giorno dovevano recarsi in ospedale: «Ho sempre trovato qualche collega disponibile ad aiutarmi - chiarisce Gloria - quando avevo bisogno di cambiare turno per esami e visite». Questo periodo di sofferenza ha lasciato un segno profondo, che è diventato nel tempo prezioso e brillante come la cicatrice d’oro dei vasi riparati con la tecnica giapponese del Kintsugi: «Una dottoressa diceva che i malati oncologici sono fortunati perché spesso ritrovano nella malattia il senso della vita, mentre ci sono persone che vagano fino alla fine del loro percorso senza sapere dove cercare. Come diceva Seneca, che non era l’ultimo arrivato, bisogna vivere bene il presente, non rimandare mai ciò che si può fare, e non perdere mai l’occasione di mettersi a servizio degli altri. Ora sono in pensione e ho deciso di dare una mano ad alcune associazioni di volontariato che si occupano di anziani e malati».

«Quando mi hanno ricoverato per la prima volta pensavo sempre al lavoro, alle merci che non venivano consegnate, a quanto ritardo avrei accumulato. Poi mi sono reso conto che non erano poi cose così importanti. Ho riflettuto su quanto sia delicata la nostra vita, quanto sia facile entrare in crisi».

Il senso profondo di fragilità che Luigi ha sperimentato in quel periodo ha cambiato profondamente il suo modo di pensare e agire: «Quando mi hanno ricoverato per la prima volta pensavo sempre al lavoro, alle merci che non venivano consegnate, a quanto ritardo avrei accumulato. Poi mi sono reso conto che non erano poi cose così importanti. Ho riflettuto su quanto sia delicata la nostra vita, quanto sia facile entrare in crisi. Ero lì e mi dicevo che grande conquista fosse essere in buona salute. Così in un attimo la mia lista delle priorità si è ribaltata. Ritengo che questo mi abbia reso migliore, anche sul lavoro. Mi ha spinto a ragionare di più, a essere meno competitivo. Non si acquista valore calpestando gli altri. Ho imparato a collocare ogni evento nel giusto contesto, e a lasciar correre anche qualche inconveniente».

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