«Ho scoperto la gioia della donazione. Il trapianto mi ha dato un’altra famiglia»

Angela Zucca. «La telefonata, il ricovero, l’impegno per Admo. E poi l’incontro speciale con la mia “ricevente”»

«Non è tanto quello che facciamo, ma quanto amore mettiamo nel farlo. Non è tanto quello che diamo, ma quanto amore mettiamo nel dare». Questa frase di madre Teresa di Calcutta è diventata una regola di vita per Angela Schiavini di Fornovo San Giovanni, non solo in famiglia, con il marito Angelo, i suoi quattro figli e i quattro nipotini, ma anche nel mondo del volontariato. Ventisei anni fa, nel 1997, questa attitudine si è concretizzata con un gesto generoso: la donazione di midollo osseo.

Poi però ha continuato ad attuarsi in altri mille modi, in particolare attraverso tante attività di volontariato nell’Admo. Tutte queste esperienze l’hanno convinta, come racconta lei stessa, che «l’amore è la cura più preziosa di tutte».

Quando ha donato il midollo, spiega, «ero la numero nove a livello provinciale. Non è un evento molto frequente, la compatibilità infatti è di uno ogni centomila fra persone non consanguinee. Con la mia testimonianza, però, alla fine ho contagiato tutta la mia famiglia, che si è iscritta in blocco al registro dei donatori. Anni dopo anche un mio nipote, figlio di mia sorella, ha avuto l’opportunità di donare e ho rivissuto con lui le stesse intense emozioni».

Un destino ingiusto

Originaria di Vertova, in Valle Seriana, Angela si è trasferita nella Bassa con il marito per lavoro: «Nel 1990 abitavamo a Cologno al Serio e purtroppo nel ‘91 un compagno di classe di mia figlia Zaira, Danilo, è morto a causa di una leucemia fulminante. Aveva soltanto nove anni, e abbiamo provato tutti grande sgomento e dolore di fronte a un destino così ingiusto. Così ho incominciato a conoscere questa malattia, di cui allora si sapeva poco. Ne abbiamo discusso a lungo con gli altri genitori a scuola, ed è così che ho scoperto la possibilità della donazione e mi sono iscritta al registro nazionale. Poi è passato del tempo, mi ero quasi rassegnata all’idea di non essere più chiamata quando è arrivata la telefonata del centro trasfusionale che mi annunciava la possibile compatibilità con un paziente».

Nel suo cuore dopo quella chiamata è scoppiata una tempesta di emozioni contrastanti: «Ho provato una grande agitazione, ero felice ma anche un po’ impaurita, mi sentivo fortunata, ma d’altra parte sapevo che da qualche parte c’era una persona che stava soffrendo e aspettava il mio aiuto. Non è facile descrivere questi stati d’animo così complessi, ma prevaleva su tutto il desiderio di riuscire a dare una mano, l’aspetto più bello di tutta la situazione».

È iniziato così l’iter dei controlli per verificare la compatibilità effettiva con il ricevente: «Allora ci volevano quattro prelievi, oggi con l’evoluzione delle tecniche di analisi ne basta uno e questo permette di ridurre i tempi e i costi». Alla fine l’esito è stato positivo: «A quel punto mi hanno chiesto di confermare se volevo davvero procedere e io ho dato il mio consenso. Ho firmato senza dire nulla a casa, perché fin dall’inizio mi sono fidata dei medici e della procedura, ero certa che per questa donazione non avrebbero messo a repentaglio la mia vita per salvarne un’altra».

A quel punto Angela ha scoperto che Gianni Maccarini, papà di Danilo, aveva fondato un gruppo Admo a Cologno al Serio e si è messa in contatto con lui per raccontargli quanto si accingeva a fare: «È stato l’inizio della nostra collaborazione - osserva -. Il giorno della donazione è anche venuto a trovarmi in ospedale, insieme alla responsabile regionale dell’associazione». L’ingresso nel reparto di ematologia degli Ospedali Riuniti è stato spiazzante per Angela: «L’atmosfera non era delle migliori. Vedevo intorno a me tante persone in condizioni difficili. Ho incontrato un signore di Vertova che conoscevo. Era lì con sua figlia, malata di leucemia e anche lei in attesa di un donatore di midollo. Gli ho raccontato per quale motivo ero lì e ci siamo entrambi commossi. Purtroppo non ero io a poterla aiutare, tempo dopo però ha trovato anche lei una compatibilità e grazie al trapianto - sorride Angela - è riuscita a guarire».

La paura in sala operatoria

Il prelievo del midollo è avvenuto in anestesia generale, direttamente dalle creste iliache: «Quando mi hanno portato in sala operatoria - ricorda Angela - ho avuto un po’ di paura, ma poi mi sono addormentata chiacchierando con l’anestesista e quando mi sono svegliata ho visto mia sorella che mi aspettava fuori dalla mia stanza e accanto a lei un signore con la valigetta che attendeva di poter portare via il midollo appena estratto. Mi avevano detto, infatti, che il ricevente era ricoverato all’ospedale Gaslini di Genova».

Al risveglio ha dovuto fare i conti con un po’ di indolenzimento e di stanchezza: «L’emozione e la felicità che provavo però hanno messo in secondo piano qualunque piccolo fastidio. Non ho avuto alcun effetto collaterale. Certamente ero un po’ debilitata, ma mi è passato subito e l’ho considerato poca cosa rispetto alla gioia di poter salvare la vita a una persona. Conoscevo i biologi del centro trasfusionale e ho chiesto loro delle foto della sacca di midollo perché volevo vedere come fosse. Mi hanno detto che era 1,2 kg. Conservo ancora quegli scatti per ricordo».

Angela sentiva molta responsabilità del buon esito della sua donazione: «Il primario del reparto di Ematologia mi aveva rassicurato, spingendomi a considerare la bellezza del gesto ma senza caricarmi di troppa ansia. Mi aveva detto - ricorda - che da quel momento non dovevo più preoccuparmi. In realtà era difficile non chiedersi quale fosse l’esito del trapianto. Non era così facile mettere da parte le emozioni. Quella sera mi sono sentita protagonista, ho avuto visite, fiori e doni da parte di Admo. La mattina dopo mio marito è venuto a prendermi per portarmi a casa. La nostra prima tappa, fuori dall’ospedale, è stata il cimitero per andare a trovare il piccolo Danilo, per raccontargli della vita che avevamo salvato insieme. Senza di lui non avrei mai vissuto quell’avventura».

Non è stato solo un episodio per Angela, ma un punto di svolta che ha cambiato profondamente la sua vita e il suo sguardo sul mondo: «Mi è rimasto il desiderio di svolgere attività di volontariato e di contribuire a incrementare le donazioni di midollo. Così sono entrata nel gruppo Admo di Cologno impegnandomi in tutte le attività. Ci sono tanti compiti concreti e di gestione, le iniziative di raccolta fondi, un lavoro che rimane nascosto alla maggior parte delle persone. Ci ho messo tutta la mia energia e creatività. Sono stati anni meravigliosi, molti ci dicevano che organizzavamo le feste più belle nel nostro paese. Siamo riusciti a mettere insieme una rete di persone, abbiamo promosso moltissimi aventi, abbiamo contribuito all’aumento degli iscritti ed erogato borse di studio per i ricercatori dell’ospedale di Bergamo».

Le regole di allora prevedevano che si potesse inviare un messaggio anonimo al donatore, e Angela ha ricevuto una bella lettera, scritta pochi giorni dopo il trapianto: «Era un messaggio commovente, in cui mi raccontava che era una giovane donna, sposata da poco, con tanta voglia di vivere, e che negli ultimi tre anni la malattia l’aveva messa duramente alla prova, togliendole la speranza. Il trapianto ha segnato un nuovo inizio per lei».

L’incontro fra le due donne

Il caso ha voluto che tempo dopo le due donne si incontrassero: «Per una strana coincidenza un mio collega andò a Varese per lavoro e conobbe la zia di una ragazza che aveva da poco ricevuto il midollo da una donna di 41 anni di Bergamo. Era impossibile che fosse solo una coincidenza, così il mio collega chiese il suo numero di telefono perché era quasi certo che fossi io la donatrice di quella ragazza. Di mano in mano quel foglietto con quel numero arrivò fino al mio comodino in camera da letto e lì rimase per qualche giorno. Mi sentivo come paralizzata, non sapevo cosa fare: ero curiosa di sapere, avevo paura, non volevo disturbare, temevo un rifiuto. Finalmente decisi, un po’ tremante, di prendere il telefono e chiamare: parlando con la zia ebbi la certezza che era il mio midollo che era stato dato a sua nipote. Conclusi la telefonata dicendo che se Giulia, di cui scoprii il nome, voleva contattarmi, di sentirsi tranquilla nel farlo. Dopo qualche giorno arrivò anche la sua chiamata: emozionante, delicata, essenziale».

Un anno dopo il trapianto è avvenuto il primo incontro fra loro, al casello autostradale di Capriate: un abbraccio silenzioso e pieno di significato. «È stata una grandissima emozione potersi incontrare - ricorda ancor oggi Angela - ci siamo sentite subito unite da un legame speciale, come se fossimo di famiglia».

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