La Buona Domenica / Valle Cavallina
Domenica 28 Dicembre 2025
La vita in pausa per curare un linfoma. Poi il ritorno al triathlon e la laurea
LA STORIA. Simone Trussardi: «Corro più forte di prima». Da atleta ad allenatore: «Aiuto gli altri a scoprire il loro potenziale».
«Se vuoi veramente fare qualcosa troverai un modo, altrimenti troverai una scusa». Non ci sono vie di mezzo per Simone Trussardi, trentacinque anni, di Casazza: per lui la frase di Jim Rohn, imprenditore e formatore statunitense, è come la stella polare, lo guida attraverso le scelte più importanti. Quando il suo corpo lo ha costretto a fermarsi, a causa di un linfoma non Hodgkin, ha dovuto mettere in pausa la sua vita e la sua carriera d’atleta di triathlon, ma non si è arreso, e non si è mai realmente fermato. Ha capito che quel momento, più che una fine, per lui poteva segnare un nuovo inizio, con un ritmo diverso, più lento e profondo.
«Tornerò, più forte di prima»
Una volta concluso il percorso di cura ha iniziato a studiare ingegneria, ed è riuscito a conseguire la laurea triennale. Per seguire la sua passione per lo sport ha fondato anche una nuova attività, Kairos-coach. «Non ho mai pensato di non guarire - racconta oggi -. Mi dicevo: in questo momento la vita è in sospeso, ma tornerò, più forte di prima». Nel 2019 la vita di Simone correva veloce. Lavorava in un’azienda metalmeccanica bergamasca, nel settore ricerca e sviluppo, ma il suo cuore batteva altrove: nello sport, sulle strade che tagliano le valli, tra la fatica delle salite e il respiro spezzato dalla corsa.
La diagnosi
«Il triathlon era il mio mondo - dice -. Avevo appena chiesto il part-time per allenarmi come professionista. Mi sentivo nel mio momento migliore: zero dolori, grandi risultati, tanta motivazione». Era marzo, la stagione perfetta per mettere a fuoco tanti progetti. Gli Europei in Transilvania lo attendevano a luglio. Poi, improvvisamente, ha iniziato ad avvertire un dolore intenso a una costola. Un disturbo che pareva banale, l’aveva attribuito a un colpo preso in allenamento, e invece non passava. Le notti erano diventate insonni, il respiro pesante. «Dopo settimane infernali, una Tac ha mostrato una massa grande come un’arancia nel mediastino. Due mesi e mezzo dopo aver ottenuto il part-time, mi è arrivata la diagnosi: linfoma non Hodgkin metastatico».
«Non volevo rinunciare a me stesso»
Il mondo di Simone si è ristretto d’un colpo, e con esso la percezione del tempo. «Può sembrare assurdo - confida -, ma la prima reazione è stata di sollievo. Finalmente sapevo contro che cosa stessi lottando. Quella sofferenza aveva un nome, e i medici sapevano come affrontarla». Quando ha iniziato la chemio, Simone ha deciso di non rinunciare a ciò che più di tutto lo definiva: il movimento. Una forma ostinata di coraggio, un istinto primordiale di sopravvivenza: «Sapevo di dover mettere in pausa la mia vita, ero consapevole della situazione, allo stesso tempo, però, non volevo rinunciare a me stesso. Ho continuato ad allenarmi tutti i giorni. Ovviamente ridimensionando ritmi e obiettivi».
«Ho capito cosa significa desiderare qualcosa e non poterla fare davvero»
Il corpo, nonostante tutto, ha risposto positivamente. È come se la forza dell’abitudine sportiva si fosse fatta alleata della guarigione. «Paradossalmente, in palestra miglioravo. Sollevavo più pesi di prima. Era un modo per dirmi che, anche se un fronte era fermo, un altro poteva comunque procedere». Il triathlon comprende nuoto, corsa e bici. Tre discipline, un solo respiro, in fondo metafora perfetta della sua battaglia: nuotare contro l’ignoto, pedalare su terreni sconosciuti, correre oltre la soglia del dolore. «La malattia mi ha insegnato a focalizzarmi su ciò che conta davvero - spiega, parafrasando Rohn -. Se voglio davvero una cosa, trovo la strada. Altrimenti trovo una scusa e lascio perdere».
Limiti e zona comfort
Durante le cure, Simone ha iniziato a fare i conti non solo con la fragilità fisica, ma con l’intimità del limite. «Ho capito cosa significa desiderare qualcosa e non poterla fare davvero. Non potevo partecipare a una gara lunga, non perché non volessi, ma perché il corpo non me lo permetteva. E lì ho capito quante volte, prima, avevo accampato scuse per non uscire dalla mia zona di comfort». Da quel momento, si è ripromesso di essere sincero con se stesso. Un voto di onestà verso la vita e verso i propri obiettivi. Ha imparato a «lasciar andare» le pretese eccessive e ad accettare i suoi limiti: «Nei giorni in cui il corpo cedeva e la mente vacillava, mi ha aiutato ripetermi “oggi faccio quello che posso, domani sarà un altro giorno”». C’è, in questa accettazione, un’eco del motto di Zenone: «La felicità è vivere secondo natura». Simone ha imparato che anche la sofferenza, la prova, i limiti fanno parte della vita, e che solo attraversandoli si può tornare davvero a respirare.
La scoperta della malattia ha ridisegnato anche la sua mappa degli affetti. «C’è stata una sorta di selezione naturale - dice -. Alcuni si sono allontanati, altri sono rimasti. Ma credo sia anche una conseguenza delle mie scelte: se una relazione non mi arricchisce più, preferisco dedicarmi ad altro».
«Mi dava fastidio essere compatito»
Ciò che lo infastidisce, piuttosto, è l’eccesso di compassione. «Qualcuno, saputa la notizia, mi trattava come se stessi per morire, e lo trovavo insopportabile. Mi dava fastidio essere compatito. Credo che serva più consapevolezza su come affrontare la malattia e come parlarne: non è sempre sinonimo di morte, né di fragilità o di resa».
«Ho sempre detto che, appena avessi potuto, mi sarei misurato su tempi più lunghi. Oggi corro più forte di prima»
La medaglia agli Italiani
Finite le terapie, tra la primavera e l’estate del 2020, il mondo intero è entrato «in pausa», per colpa del Covid. Niente gare, niente manifestazioni. Ma Simone, uscito dal tunnel, ha sentito che in lui qualcosa di profondo era cambiato: «Il mio obiettivo era tornare a fare ciò che facevo prima. E l’ho fatto, ma con un’altra testa». Nello sport si è dedicato alle lunghe distanze, segno tangibile del suo nuovo equilibrio: «Ho sempre detto che, appena avessi potuto, mi sarei misurato su tempi più lunghi. Oggi corro più forte di prima». Nel 2023 ha conquistato una medaglia ai Campionati Italiani, segno che la forza interiore si è trasformata di nuovo in performance atletiche.
Nel frattempo, la promessa fatta a se stesso durante la malattia lo ha portato a impegnarsi anche su un altro fronte: quello dello studio. «Mi sono iscritto a Ingegneria industriale e, nello scorso luglio, mi sono laureato. Avevo sempre pensato che fosse un sogno troppo grande, invece è stata una delle mie sfide più belle». Frequentare un’università telematica gli ha permesso di conciliare lavoro e studio. «Non è stato facile. A volte studiavo di notte, ma proprio quella flessibilità mi ha dato la forza di arrivare in fondo». Oggi lavora come venditore di macchine di misura, ma non ha mai smesso di pensare allo sport come al centro della sua esistenza.
Fiducia nei processi lenti
Del triathlon, Simone ha conservato tutto: la disciplina, la fiducia nei processi lenti, la capacità di leggere la fatica come alleata. Ma il suo ruolo è cambiato: da atleta ad allenatore. «Non punto più a diventare un professionista - racconta - Il mio sogno ora è diverso: aiutare gli altri a scoprire il loro potenziale. Così è nata Kairos Coaching». «Kairos», nella lingua greca, indica il tempo opportuno, il momento giusto in cui qualcosa può accadere. Non il tempo che scorre, ma quello che si apre, come una fessura luminosa: «È l’idea - chiarisce Simone - che ogni persona abbia il suo momento per crescere, allenarsi, cambiare. Noi cerchiamo di accompagnarla in quel passaggio».
«La fatica è tanta - sorride Simone - ma se trovi il ritmo, respiro dopo respiro, ti accorgi che stai nuotando di nuovo verso la vita»
Con un amico, Alessandro Lotta, mezzofondista di spicco del panorama italiano, Simone segue atleti di ogni livello: dai principianti, che sognano la loro prima gara, ai più esperti. «Alleniamo ragazzi che vogliono correre una dieci chilometri, ma anche atleti, che puntano ai Campionati Italiani. L’obiettivo è diffondere una cultura dello sport aperta, accessibile: non serve essere fenomeni per goderselo». Negli inverni tra Tenerife, Lanzarote e Fuerteventura, o d’estate tra Livigno e le valli bergamasche, Simone e Alessandro hanno trovato lo spazio ideale per allenarsi.
L’obiettivo Ironman
Ecco perché ora pensano di proporre le stesse trasferte anche ai loro allievi: «Quest’anno a febbraio porteremo i nostri atleti alle Canarie. È bello vederli crescere e scoprire che la fatica può essere una forma di felicità». Sul fondo del cuore resta un sogno, più un punto di innesco che un vero obiettivo. Le Hawaii, il luogo mitico dell’Ironman, la gara più lunga e celebre del mondo: «È stato il mio punto di ispirazione, ho conosciuto questo mondo guardando un video di Alex Zanardi - ricorda-. Non è mai stato un vero obiettivo, ma adesso, piano piano, sta tornando a farsi strada. Vorrei completare il mio primo Ironman entro il 2027. Ci vorrà una lunga preparazione, ma è bello avere un orizzonte verso cui muoversi». Il cerchio si chiude, ma con prospettive nuove: «La vita è fatta di pause - dice con un sorriso -, ma non per fermarsi. Per capire dove siamo, e da dove vogliamo ricominciare».
«Vivere di sport il traguardo più bello»
Oggi Simone vive le sue giornate tra il lavoro, gli allenamenti e i programmi di Kairos. I suoi sogni, alla fine, si sono moltiplicati. «Non ho mai avuto un’idea chiara del mio futuro - osserva -. Ma se penso al giorno perfetto, è uno in cui mi sveglio e ho dieci ragazzi da allenare la mattina e un gruppo il pomeriggio. Vivere di sport, trasmettendo agli altri quello che mi ha salvato, sarebbe il traguardo più bello». Intanto, quando ne ha l’occasione, dona la sua esperienza agli altri, come ha fatto per l’associazione «Zona Blu» presentando la sua testimonianza durante un incontro per sostenere la ricerca e le cure oncologiche. A fare da motore della sua storia sono la tenacia e il coraggio inteso non come assenza di paura, ma come capacità di muoversi dentro di essa. Come accade quando ci si trova nell’acqua nel pieno di una frazione di triathlon: «La fatica è tanta - sorride Simone - ma se trovi il ritmo, respiro dopo respiro, ti accorgi che stai nuotando di nuovo verso la vita».
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