
La Buona Domenica / Hinterland
Domenica 20 Luglio 2025
Musica e parole per tornare a vivere e rompere il silenzio sulla malattia
LA STORIA. Le melodie di Letizia Breda, 27 anni, di Sorisole, sul coraggio e la resilienza delle donne.
«Guarda sempre il lato positivo della vita – scrive Helen Keller –, proprio come un girasole guarda il sole, non le nuvole». Usando come fonte d’ispirazione l’energia e la bellezza di questo fiore, Letizia Breda, di Azzonica (frazione di Sorisole), 27 anni, pianista, musicoterapeuta e pedagogista, ha scritto una melodia che si intitola appunto «Girasoli», ed esprime il suo desiderio di mettere la malattia in un angolo e custodire i suoi sogni.
Un modo per rompere il silenzio su una patologia cronica, invisibile e invalidante come l’endometriosi, con cui convive da tempo. Ha dato un nome scherzoso, Norberto, anche al «nuovo compagno scomodo», che la tormenta dallo scorso febbraio, una neurite ottica che l’ha privata parzialmente e temporaneamente della vista.
Nel suo account Instagram (@letibreda), con oltre 8.500 follower, racconta la sua storia unendo in modo creativo le sue passioni: musica e scrittura.
Le note sono la sua àncora, il suo alfabeto, una forza che cura e guarisce. Nei brani che compone si ritrovano il suo sguardo gentile sulla vita e il suo sorriso sincero: «”Girasoli” – spiega – è l’inno musicale che regalo a tutte le donne considerate “invisibili” il cui dolore non viene ascoltato». Ora – dopo un periodo difficile – sta lavorando a un nuovo «pezzo», ancora inedito, «Preghiera alla vita», che esprime la tenacia e il coraggio di affrontare le avversità e la gioia della rinascita.
Le note sono la sua àncora, il suo alfabeto, una forza che cura e guarisce
«La diagnosi di endometriosi – racconta – è arrivata nel 2021: soffrivo di dolori addominali, in particolare durante il ciclo mestruale, e perdevo continuamente peso. Per un po’ di tempo ho attribuito questi sintomi generici allo stress. Poi, cercando risposte e soluzioni, mi sono rivolta a Chiara Marra, ginecologa specializzata in endometriosi, che ha capito subito quale fosse il problema. Con una terapia adeguata sono riuscita finora a tenere sotto controllo la malattia, che era ancora in fase iniziale. Ho capito che la prevenzione è importantissima, nel mio caso ha evitato problemi più gravi».
Il brano «Girasoli»
Letizia subito dopo la diagnosi ha dato vita al brano “Girasoli” e ha preso sul serio l’idea di diffondere conoscenza e attenzione su questa malattia: «Anche per questo nel novembre scorso ho pensato di organizzare un concerto dal titolo “Volti di donna” a Sorisole come occasione per presentare il brano che ho composto su questo tema. L’ho pubblicato su Spotify con la copertina disegnata da un’illustratrice bresciana, Giulia Rosa, che ha già realizzato disegni per le pagine MysecretCase, Freeda e per diversi libri Mondadori. Si è dimostrata sensibile alla causa dell’endometriosi e ne è nata una bellissima collaborazione artistica. Nell’immagine, che evoca “La nascita di Venere” di Botticelli, dalle cicatrici che segnano un corpo di donna nascono, appunto, dei girasoli. Il concerto si è svolto il 24 novembre del 2024 ed è stata una serata significativa: l’intento era ragionare sulla figura della donna a tutto tondo, mettendo in evidenza le doti femminili di coraggio e la resilienza, scegliendo brani di compositrici donne. Ci siamo impegnate a informare e sensibilizzare le persone sui temi legati all’endometriosi. Ha partecipato anche Vania Mento, che presiede l’associazione “La voce di una è la voce di tutte ODV”, organizzazione di volontariato a fianco di persone con questa malattia».
La vocazione
Fin da piccola Letizia ha coltivato l’amore per la musica, che la accompagna sempre: «Ho tre sorelle e i miei genitori hanno dato a tutte noi la possibilità di prendere lezioni di piano, ma io sono l’unica che ha proseguito. Ho avuto un rapporto di amore-odio con questo strumento, ma ho sempre adorato la musica. A undici anni, durante un breve ricovero in ospedale, ho incontrato un bambino che aveva appena messo una protesi acustica. Mi ha colpito l’espressione di meraviglia e di gioia che ho letto sul suo viso quando finalmente ha potuto ascoltare dei suoni per la prima volta. Questo episodio ha fatto nascere in me il desiderio di capire come la musica potesse offrire una possibilità di guarigione. Da allora mi sono impegnata a studiare la relazione tra il suono e il benessere delle persone».
«A undici anni, durante un breve ricovero in ospedale, ho incontrato un bambino che aveva appena messo una protesi acustica. Mi ha colpito l’espressione di meraviglia e di gioia che ho letto sul suo viso quando finalmente ha potuto ascoltare dei suoni per la prima volta»
Ha frequentato il liceo musicale all’Opera Sant’Alessandro, proseguendo gli studi musicali all’Accademia Santa Cecilia. Poi ha ottenuto la laurea triennale in Scienze dell’Educazione e quella magistrale in Scienze Pedagogiche, e in parallelo si è specializzata frequentando la Scuola di Musicoterapia Umanistica di Giulia Cremaschi Trovesi.
«Ho composto i primi brani nel 2019, poco prima della pandemia, e parlano di me, del mio percorso personale fatto di emozioni, sfide e creatività. Sono nati in modo spontaneo, mettendosi al pianoforte e suonando per esprimere ciò che avevo nel cuore. Il primo videoclip “Pensieri”, proprio per la particolarità di questo periodo, l’abbiamo girato con gli amici di Iso.code al Museo Arte Tempo di Clusone. Abbiamo avuto a disposizione il Museo per un’intera giornata».
Un’altra prova da superare
Nel febbraio scorso Letizia, all’improvviso, si è trovata davanti un’altra prova da superare: «Una mattina al risveglio mi è comparso nel campo visivo uno strano punto luminoso, come quando si guarda il sole troppo a lungo. Speravo che passasse da solo, ma non è stato così. Mi sono consultata con un medico e il giorno dopo mi sono rivolta al pronto soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Ero convinta che non fosse niente di grave, invece al triage mi è stato assegnato un codice arancione, e poi sono stata ricoverata d’urgenza».
Come in un brutto film, nella sua testa si sono rincorse immagini minacciose: «Mi hanno dato in mano un foglio sul quale c’era scritto sospetto tumore, sclerosi multipla o meningite, e mi è crollato il mondo addosso. Mi hanno prescritto tanti esami, alcuni molto invasivi. Mi sono spaventata moltissimo, e in quei primi giorni mi sembrava di vivere in un incubo, temevo di non tornare più a casa».
Letizia, con la sua spiccata sensibilità, ha sofferto per tutte le procedure a cui la sottoponevano: «La rachicentesi, ossia un prelievo di liquido spinale, mi ha provocato il dolore più forte della mia vita. Ho vomitato, sono svenuta, ho perso sensibilità agli arti, e poi tremavo, piangevo e non riuscivo a dormire. Poi ci sono stati la risonanza magnetica con contrasto e l’esame dei potenziali evocati». Proprio dalla risonanza è nato un altro progetto creativo: «Ci sono passata più volte, la prima a undici anni per una brutta sinusite – spiega Letizia –. E stavolta l’ho affrontata diversamente: mi è sembrato qualcosa di familiare in un percorso oscuro e spaventoso. Così durante l’esame ho iniziato a immaginare dei personaggi, a trasformare i rumori con la fantasia, e quando sono uscita ho pensato: perché non provare a raccontare con un fumetto quello che succede, in modo che sia più facile affrontarlo anche per i bambini? Poi un’infermiera ha visto i miei schizzi, le sono piaciuti e mi ha messo in contatto con un bravo illustratore, Damiano Nembrini. Abbiamo realizzato insieme il progetto di questo libro, “L’astronave dei rumori” e ora stiamo cercando un editore».
La nuova patologia
Dopo tutte le analisi, le ipotesi peggiori sono state scongiurate: «I medici hanno capito che si tratta di una neurite ottica che non è legata ad altre patologie, probabilmente di origine autoimmune».
Un malanno persistente, che non rispondeva alle terapie, così Letizia è rimasta in ospedale per venti giorni: «È stata un’esperienza molto forte dal punto di vista umano, ho stretto legami molto profondi, che continuano anche dopo il ritorno a casa. Il mio campo visivo è tornato al 92%, ma è cambiato del tutto il modo in cui vedo il mondo: i colori sembrano un po’ sbiaditi. All’inizio era davvero strano, poi mi sono abituata».
Il trauma
La fase critica è passata, ma Letizia ha dovuto attingere a tutte le sue risorse per elaborare il trauma: «Non mi sono mai arrabbiata con la vita e con il mondo, e penso che questo dipenda anche dalla mia fede, che mi ha sempre sostenuto. Mi sono chiesta come mai mi sia capitato tutto questo, che cosa voglia Dio da me, ho pregato molto, ho pensato di offrire il mio dolore per chi soffre più di me. La mia comunità mi ha sostenuto, nella mia parrocchia, dove sono catechista e canto nel coro, molti hanno pregato per me, mi hanno circondato d’affetto e dato tanta forza».
Quando è tornata a casa, non riusciva più a suonare: «Mi sembrava tutto così strano, come se la casa mi fosse improvvisamente sconosciuta, ho dovuto recuperare il senso di familiarità con i miei spazi e il mio corpo ferito, trasformato dallo stress e dai farmaci. Avevo un continuo mal di testa, che ho chiamato Craniotino, e me lo sono immaginata – sempre in modo fiabesco – come un elfo, che seduto sulle mie spalle mi infligge delle coltellate. Ogni volta che mi sedevo al piano riuscivo a mettere insieme qualche nota, ma poi dovevo smettere, perché mi stancavo subito. Col tempo, rielaborando tutto, è nata una melodia, in cui ho trasferito questa esperienza: inizio con la mano sinistra, perché è quello il lato del corpo che la malattia ha colpito, poi inserisco un ritmo che mi ricorda la macchinetta che eroga il cortisone. Ci sono il trauma, il dolore, la cura, poi però rileggo il tema musicale in crescendo, perché la mia storia finisce bene. Mi sono detta: ora mi merito la felicità. Perciò nel brano c’è la bellezza di camminare nel prato a piedi nudi, sentire il vento sulla pelle, ascoltare il canto degli uccelli. “Preghiera alla vita”, perché ho avuto paura di perderla e l’ho ritrovata, in un senso più ampio e profondo, imparando ad apprezzare la grandezza del quotidiano, a guardare il futuro con speranza».
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