
La Buona Domenica / Isola e Valle San Martino
Domenica 06 Luglio 2025
Prevenzione, coraggio e tanto amore: «Così ho ripreso a vivere dopo il tumore»
LA STORIA. Donata Viscardi, due operazioni e la rinascita: «Con mio marito ho rivalutato cose che prima davo per scontate».
«La speranza - scrive Helen Keller - vede l’invisibile, sente l’intangibile e realizza l’impossibile». Questo è stato il filo che ha condotto Donata Viscardi, 61 anni, di Villa d’Adda, in un percorso difficile di malattia e rinascita, dalla diagnosi di tumore ovarico avanzato a una vita di nuovo felice, accanto alla sua famiglia, con la possibilità di veder crescere il suo nipotino Mattia.
«Se oggi sono qui e posso dare una testimonianza di coraggio e fiducia ad altre donne - sottolinea - lo devo ai medici bravi e competenti che mi hanno seguito nelle terapie, offrendomi professionalità ma anche vicinanza e sostegno dal punto di vista umano».
La prima diagnosi
Ha avuto la prima diagnosi di cancro nel 2018 durante un esame di screening all’ospedale di Treviglio: «In quell’occasione ho capito quanto sia importante seguire i programmi di prevenzione - spiega -. Grazie alla mammografia i medici hanno individuato un nodulo al seno. Era ancora molto piccolo, perciò, l’hanno asportato con una quadrantectomia. Poi ho dovuto sottopormi ad alcuni cicli di radioterapia e a una cura ormonale. In quel periodo sono rimasta sotto stretto controllo medico ripetendo gli esami ogni sei mesi. Se non avessi aderito agli inviti per lo screening non sarei probabilmente riuscita a individuare il tumore così precocemente e a curarlo in modo efficace».
«Situazione complessa e grave»
Nel 2021, in modo inaspettato, la malattia si è ripresentata con la forza di un uragano nella vita di Donata: «I valori dei marker tumorali, che negli esami precedenti erano sempre rimasti stabili, per la prima volta sono risultati fuori range. Non avevo particolari sintomi, forse un po’ di stanchezza, ma nel frattempo ero diventata nonna ed ero molto impegnata con il mio nipotino, perciò non ci avevo fatto caso. Mi sono rivolta al mio oncologo, il dottor Fausto Petrelli, che mi ha prescritto altri esami di approfondimento. L’esito purtroppo non è stato rassicurante: avevo un tumore ovarico di grosse dimensioni, che si era già diffuso in diversi organi del corpo. Ho capito subito che la situazione era complessa e grave. L’oncologo mi ha spiegato che in quel momento non era possibile intervenire chirurgicamente».
«Impaurita e sopraffatta»
Non si può mai essere preparati a una notizia di questo tipo: «Mi sentivo impaurita e sopraffatta da quello che mi stava accadendo. Ho capito che le mie prospettive erano di una sopravvivenza di pochi mesi se non si fosse intervenuti in modo efficace. Ho pensato alla mia famiglia, a mio marito, ai miei due figli, al mio nipotino, al futuro che la malattia poteva rubarmi. Eravamo ancora nel pieno della pandemia, in cui abbiamo avuto a che fare con la malattia in un modo ancora più dirompente rispetto al passato. Il dottor Petrelli mi ha consigliato di rivolgermi all’ospedale di Cremona».
«Ho incontrato medici molto disponibili, competenti, sensibili e attenti»
L’Asst di Cremona, infatti, è uno dei centri italiani in cui viene messa in atto una metodica chirurgica di alta specializzazione che permette di curare tumori con l’obiettivo di ridurne il volume quando la rimozione completa non è possibile, come quello di Donata, la «citoriduzione con chemioterapia ipertermica intraoperatoria (Hipec)».
«Così - continua Donata - ho incontrato il dottor Andrea Celotti, chirurgo, e la dottoressa Annalisa Abbiati, responsabile di Ginecologia e Ostetricia, che mi hanno fatto subito una bellissima impressione».
Il tumore dell’ovaio
Il tumore dell’ovaio colpisce circa cinquemila donne all’anno e spesso si sviluppa senza dare sintomi, e viene diagnosticato quando si trova già in stadio avanzato, come è successo a Donata. Per affrontarlo l’Asst di Cremona le ha offerto un percorso, che, dopo la fase diagnostica, prevedeva chemioterapia, l’intervento chirurgico e un vero e proprio piano di cura, con il coinvolgimento di diversi reparti e specialisti: ginecologia, chirurgia, oncologia, urologia, anestesia.
Dopo un primo intervento esplorativo in laparoscopia, Donata è stata sottoposta quindi a diversi cicli di chemioterapia mirata per contrastare l’espansione del tumore: «Poi è stato possibile intervenire per asportarlo - spiega -. Ho incontrato medici molto disponibili, competenti, sensibili e attenti».
«Temevo di non superarla»
È stato un periodo difficile per lei dal punto di vista fisico e psicologico: «Affrontare una malattia così grave è stato scioccante, temevo di non riuscire a superarla. Quando gli specialisti esaminavano le carte al momento di visitarmi assumevano un’aria grave e preoccupata. È stato un sollievo quando il dottor Celotti mi ha detto che aveva fiducia in me e nelle mie possibilità di affrontare l’intervento e le terapie. Così anch’io ci ho creduto, perché avevo davvero voglia di guarire, lasciandomi questo incubo alle spalle, e sono riuscita ad affrontare questo percorso di cura così impegnativo».

L’intervento è stato complesso: «La tecnica dell’Hipec - spiega il dottor Celotti - prevede molte ore di chirurgia demolitiva per l’asportazione di tutta la malattia primitiva e della malattia che coinvolge il peritoneo. A questo segue il lavaggio della cavità addominale con un farmaco chemioterapico perfuso ad alta temperatura utilizzando un macchinario in grado di regolare e monitorare l’intera procedura. Questo metodo aumenta le possibilità di controllo della malattia. Naturalmente ci sono rischi e possibilità di complicanze durante l’intervento e dopo».
Pazienza, tenacia, coraggio
Donata ha avuto bisogno di tanta pazienza, tenacia e coraggio, e nei momenti di maggiore fragilità ha scoperto aspetti inediti di sé e della vita: «Quando sono uscita dalla sala operatoria - racconta - mi hanno portato in terapia intensiva e sono rimasta in ospedale 23 giorni. Dei primi momenti dopo l’intervento non ho ricordi molto precisi. Mi sentivo come se fossi stata investita da un treno, mi faceva male dappertutto. Ero bloccata nel letto senza potermi muovere, avevo una cicatrice lunghissima sull’addome, e per diversi mesi ho avuto anche una stomia. Il dottor Celotti mi ha seguito con attenzione, incoraggiandomi costantemente. Alla fine del periodo di ricovero sono uscita dall’ospedale ancora su una sedia a rotelle, perché ero molto debilitata e la ripresa della mobilità dopo l’intervento ha richiesto tempo e sedute di fisioterapia. Sono contenta che ora sia tutto passato e di poter di nuovo camminare».
«Intorno a me, però, c’era sempre qualcuno pronto a consolarmi e incoraggiarmi, invitandomi a reagire»
Ci sono stati altri due interventi di ricostruzione e nuovi cicli di terapie, ma Donata non si è persa d’animo: «All’inizio mi sentivo un po’ depressa, perché sono sempre stata una persona indipendente, abituata a fare tutto da sola, a gestire la mia casa e la mia famiglia. Mi pesava dover dipendere da altri anche per i gesti più semplici: le infermiere dovevano spostarmi, girarmi e lavarmi. Intorno a me, però, c’era sempre qualcuno pronto a consolarmi e incoraggiarmi, invitandomi a reagire, pensando che quel brutto periodo sarebbe passato».

Come scrive Khalil Gibran «Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia», e così pian piano nella vita di Donata sono tornati la luce e i colori, grazie alle persone che amava: «Dover dipendere dalle cure di altre persone - spiega - mi ha costretto ad affidarmi, abbandonarmi nelle loro mani. Pensavo spesso al mio nipotino Mattia, mi chiedevo cosa avrebbe pensato vedendomi in quelle condizioni. Nel 2022 era piccolo, aveva 3 anni, e mentre mi trovavo in ospedale attraverso mio marito e i miei figli ci scambiavamo messaggi».
Uno spiraglio in più
«Mi ricordo di uno in particolare in cui mi diceva “io ti aspetto”. Allora mi sono detta: devi darti una mossa se vuoi riabbracciare il tuo nipotino, stargli accanto e vederlo crescere. Ho incominciato a convincermi che davvero potevo farcela. Da quel momento ogni giorno ho preso maggiore consapevolezza di ogni piccolo miglioramento. Ho iniziato a vedere uno spiraglio in più, a pensare a tutte le cose belle che c’erano nella mia vita, a partire dalla mia famiglia».
L’aiuto dei familiari
Quando una persona è ammalata, tutta la famiglia condivide il suo percorso di cura: «È vero che ero io a dovermi curare, ma anche i miei cari mi hanno accompagnato, in un certo senso, affiancandomi, dandomi l’aiuto che mi serviva. Mi hanno dato forza, aiutandomi a sperare di vedere un futuro più roseo. Quando sono tornata a casa abbiamo fatto una bella festa con mio marito Cesare e i miei figli, siamo andati tutti insieme a cena al ristorante. È stato un momento speciale, perché per molto tempo non avevamo potuto riunirci per una giornata di svago».
«La vita spesso è frenetica e ti trascina via, finisci per dimenticare di prestare attenzione ai gesti, alle parole, alle persone»
Questo periodo ha rappresentato sicuramente una scuola di vita importante: «Ho imparato molto, anche se non è stato facile gestire tutte le emozioni che mi si agitavano nel cuore. Mio marito e io abbiamo rivalutato tante cose, che prima davamo per scontate. Le abbiamo tradotte in piccole attenzioni quotidiane, come fare colazione insieme, prendendoci il tempo necessario. Ci teniamo il sabato per noi, per fare qualcosa insieme. La vita spesso è frenetica e ti trascina via, finisci per dimenticare di prestare attenzione ai gesti, alle parole, alle persone. Dopo quello che abbiamo passato guardiamo tutto da una prospettiva diversa. Mi piace mettere al centro la mia famiglia, esprimere il mio affetto in modo più esplicito, occuparmi con maggiore cura anche delle cose più semplici. Abbiamo imparato insieme ad affrontare l’inaspettato».
«Mi sento di nuovo bene»
Sono passati tre anni dall’intervento: «Non mi sento ancora in salvo - osserva Donata -, ma sono felice delle mie condizioni di salute, mi sento di nuovo bene, ho ripreso tutte le mie attività abituali, e se prima non sapevo di essere felice, ora ne ho acquistato consapevolezza, apprezzo ogni dettaglio molto più di prima, e ogni cosa mi sembra più bella. Mi fa piacere poterlo raccontare per dare coraggio e speranza a qualcuno che si trova in una situazione simile, perché possa andare avanti con fiducia, affidarsi ai medici e ai grandi passi compiuti dalla ricerca e dalle nuove terapie».
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