«Spero che nel 2024 arrivi il trapianto», è il terzo per questo eroe di soli 11 anni

LA STORIA. Mattia, ospite de «Le casette» in via Foscolo, sogna di avere lo scudo di Capitan America e la velocità di Superman.

Mattia sogna di avere lo scudo di Capitan America e la velocità di Superman: l’obiettivo però non è salvare il mondo ma solo – spiega con un sorriso – «correre, nuotare, viaggiare, andare a scuola come gli altri bambini». Sono il coraggio e la pazienza i superpoteri che gli servono per la battaglia che lui e la sua famiglia stanno combattendo con l’aiuto dei medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII contro la malattia genetica rara da cui è affetto, la «colestasi progressiva familiare». È arrivato a Bergamo dal Sud con mamma Elisa e papà Paolo nel febbraio scorso, e da allora l’associazione «Amici della Pediatria» si è fatta in quattro per aiutarli ad ambientarsi e a sentirsi comunque «a casa». Alla fine di maggio, quando Mattia è stato dimesso dall’ospedale, è stato accolto con i genitori in un appartamento del progetto «Le casette» di via Foscolo. Ha solo 11 anni ma è già in attesa del suo terzo trapianto.

I primi segni a 4 mesi

Allegro e curioso, mentre chiacchieriamo non sta mai fermo: sale e scende dal divano, cambia posto ai giocattoli, si sposta attraverso la stanza senza mai perdere il filo del discorso. «Con i volontari – racconta – ho visto Bergamo Alta, sono andato a Leolandia, in montagna a Selvino, ho assaggiato le caldarroste, ho visto la casa di Babbo Natale». La mamma Elisa lo guarda con un po’ di commozione: «Quando siamo arrivati – spiega – non era così. Pesava solo 16 chili, non aveva più energie, non riusciva a muoversi e neppure a parlare». Le cure lo hanno aiutato a rifiorire: «Ora è arrivato a 24 chili e in questi mesi è cresciuto di 7 centimetri. Un altro bambino, come se fosse rinato».

I primi segni della malattia si sono manifestati quando Mattia aveva quattro mesi: «All’inizio l’unico sintomo era l’ittero, che ha spinto il pediatra a prescrivere una serie di esami, visite specialistiche e un’analisi genetica. Quando è arrivata la diagnosi della malattia è iniziato il nostro calvario. Negli anni abbiamo dovuto affrontare tanti ostacoli, tanta sofferenza. Per adesso, infatti, non ci sono terapie specifiche per questa patologia, l’unico modo per affrontarla è il trapianto».

Il fegato donato dal papà

Paolo ha donato una parte del suo fegato al figlio. «Un atto d’amore», commenta Elisa. «Un gesto da papà», aggiunge Mattia con un sorriso. Non si ricorda con sicurezza del primo trapianto, che è avvenuto quando lui aveva quasi due anni, ma glielo hanno raccontato. Lo ha superato bene, la sua famiglia sperava che fosse una soluzione duratura, purtroppo però la malattia si è rivelata più insidiosa: «Ci hanno detto che aveva colpito altri organi, e in particolare l’intestino, provocando problemi di malassorbimento alimentare e un progressivo deterioramento delle condizioni generali». Così Mattia è finito in cima alla lista dei trapianti: «In quegli anni – ricorda Elisa – la sua vita si svolgeva tra casa e ospedale, senza poter giocare oppure stare con i suoi coetanei. Era sempre molto debilitato, cresceva lentamente».

L’altro trapianto a 5 anni

A cinque anni ha subìto il secondo trapianto di fegato: «Questa volta – continua la mamma – il chirurgo l’ha accompagnato con una procedura diversa, intervenendo anche sulle vie biliari, per alleggerire il carico dell’intestino. La situazione si è stabilizzata e abbiamo vissuto un periodo di tregua. Mattia ha messo su peso, ha imparato a camminare. Siamo riusciti a mandarlo alla scuola dell’infanzia, ci sembrava già un piccolo miracolo. Poi purtroppo si sono ripresentati i problemi di malassorbimento e abbiamo dovuto riprendere la nostra battaglia. La situazione è gradualmente peggiorata, finché nel febbraio scorso i medici ci hanno consigliato il trasferimento a Bergamo, centro di eccellenza dove può essere eseguito il trapianto di intestino di cui ora ha bisogno».

Quando Mattia è arrivato a Bergamo le sue condizioni erano serie: «Non riusciva neppure ad alzarsi dal letto, eravamo molto preoccupati. I medici però hanno preso in mano la situazione e grazie a una nutrizione parenterale con il giusto apporto di calorie la situazione si è ribaltata».

Il cibo non si vede, Mattia però compensa con l’immaginazione: «A colazione ci sono biscotti, pancake, cioccolato e latte. A pranzo gnocchi al ragù, patate al forno con alette, ciambella alla banana, caffè, acqua naturale e bibita. Per cena ci sono pasta col pomodoro, patatine fritte con la cotoletta, polpa di granchio, insalata, finocchio, acqua, pasta gratinata al forno, bibita. Ma non è sempre lo stesso, ogni giorno il menu cambia».

La mamma Elisa lo ascolta sorridendo: «È un chiacchierone, a volte è perfino un po’ monello e mi fa innervosire ma è un ottimo segno, perché ha ripreso le forze. Qui a Bergamo ha vissuto una specie di rinascita, e noi con lui».

Forse non avrà tutti i poteri dei «Paw Patrol», i cuccioli eroici che ritrova nei cartoni animati e nei videogiochi preferiti, Mattia però ce la mette tutta per reagire. Frequenta le lezioni scolastiche attraverso la didattica a distanza, cerca di tenersi al passo con i compiti e lo studio, e si appassiona un po’ a tutte le materie: «Mi piace molto italiano, leggere le storie, completare le schede e imparare i verbi, ma sono bravo anche in matematica».

Grazie agli «Amici della Pediatria» le sue giornate sono scandite da tante attività diverse, studiate su misura per lui: «Portiamo anche negli appartamenti delle Casette tutte le attività che i volontari svolgono in ospedale – spiega Milena Lazzaroni, presidente dell’associazione –, per salvaguardare la continuità in tutti gli ambiti: educativo, pedagogico, di psicomotricità. D’estate Mattia ha partecipato ai laboratori nel giardino delle casette o al parco GiCoBe (Gioco Colore Bergamo), area attrezzata esterna realizzata accanto all’ospedale».

Stare all’aperto per lui è fondamentale: «Vuole uscire con qualunque condizione climatica – sorride la mamma –, anche nelle giornate più calde».

In questi contesti ha interagito in modo positivo con i suoi coetanei, una conquista importante: «Si è sentito un bambino insieme ad altri – dice Milena –, spostando il pensiero dalla malattia a situazioni piacevoli di divertimento, concentrandosi sulla bellezza del momento. Dal punto di vista pedagogico le educatrici gli hanno offerto, attraverso il gioco, alcuni strumenti utili per rafforzare i processi di crescita e di autonomia. Grazie alle psicomotriciste ha potuto ottenere stimoli diversi per contribuire allo sviluppo delle sue capacità. È un bambino attento e curioso, si è concentrato volentieri sul lavoro dedicato al corpo, all’accettazione di sé e dei segni della malattia». Si è cimentato anche in un laboratorio di pasticceria e nella lettura di diversi libri: «Da questo – prosegue Milena – sono nate tante belle attività creative e di gruppo». Le gite hanno rappresentato una ciliegina sulla torta: «Sono state importanti per dare un pizzico di normalità a una vita per il resto scandita da visite, terapie e ricoveri». Grazie alle indicazioni dei volontari ha iniziato a tenere un diario: «È un modo per esprimere ed elaborare le sue emozioni. Può scrivere le cose belle e brutte che accadono, e così trovare strumenti per interpretare anche i momenti di crisi. Potrà rimanere nel tempo anche come un ricordo del lungo periodo trascorso a Bergamo».

Il talento della recitazione

Tra i talenti di Mattia c’è anche quello della recitazione: «Una nostra volontaria, attrice professionista – aggiunge Milena – svolge con lui un’attività di teatro. L’idea ci è venuta osservando la sua abilità nelle imitazioni. È fantasioso, solare e spiritoso e tutte queste qualità vengono valorizzate mettendo in scena alcune parti della vita quotidiana. A volte è Mattia a fare da regista e dirigendo la volontaria che in questo caso diventa attrice. Anche la mamma partecipa a queste rappresentazioni, con la meraviglia e il piacere di osservare il figlio mentre si mette alla prova».

Una seconda famiglia

Tutte queste attività proseguono anche nei periodi di ricovero, con l’aggiunta di interventi mirati di psicomotricità. «I volontari mi fanno giocare e divertire – commenta Mattia –. Ogni venerdì arriva il kit della gioia che contiene sempre una sorpresa. Mi piacciono i puzzle dei Pigiamini, i giochi mi fanno tanta compagnia».

Gli «Amici della Pediatria» sono come una seconda famiglia: «Siamo davvero grati all’associazione – osserva Elisa –, che ci dà un grande appoggio emotivo, forse i volontari neanche immaginano quanto sia importante. Nelle situazioni di attesa, sofferenza, in questa vita fuori casa che non è mai facile ci aiutano a stare comunque bene, a non soffrire di nostalgia. Quando si presenta un problema, loro sono sempre presenti per aiutarci a risolverlo».

Sul futuro pesa l’ipoteca dell’incertezza, lo si legge nello sguardo di Elisa: «Viviamo alla giornata, non facciamo mai progetti, perché non sappiamo dove ci porta la nostra vita movimentata. Facciamo tutto il possibile per Mattia. Noi abbiamo un legame speciale che non si può neanche spiegare, forse a causa di tutto quello che abbiamo passato. Non abbiamo avuto un percorso normale e tranquillo. Ci sono genitori che gioiscono perché il figlio vince una partita di basket o di calcio, per noi la gioia più grande è che i risultati degli esami siano a posto. I dottori qui mi hanno già fatto un miracolo».

Nella sua letterina Mattia ha chiesto come dono il trapianto, e se ancora non è arrivato il nuovo anno inizierà nel segno della speranza: «È stato comunque un bel Natale, però speriamo che il trapianto arrivi presto. Vorrei poter fare tutte le cose che fanno gli altri bambini come nuotare, correre, viaggiare, andare dalla nonna, fare un po’ di tutto. Vorrei stare bene ed essere libero dall’ospedale e dagli interventi».

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