Tre conchiglie e un «misterioso» grazie al padre di 4 figli che ha donato il midollo

Gigi Zambelli Il cinquantaduenne di Brembate ha ricevuto un messaggio da chi ha beneficiato del suo gesto.

«Chi salva una vita salva il mondo intero». Gigi Zambelli, 52 anni, di Brembate un giorno si è ritrovato fra le mani un biglietto legato con un nastro azzurro, sul quale c’era scritta questa frase in tre lingue: italiano, spagnolo e russo. Ad accompagnare il messaggio c’erano anche tre conchiglie di un bianco splendente, raccolte in un sacchetto di tulle. Un dono piccolo e fragile, un tesoro inestimabile per lui, che pochi mesi prima aveva donato il midollo osseo proprio con il segreto auspicio di procurare a qualcuno una possibilità di guarigione da una malattia temibile come la leucemia.

Da tempo sognava di sapere se ci fosse riuscito. Per questo ha provato una grande commozione immaginando dietro quel gesto gentile le mani unite di una mamma e di un bambino che camminavano insieme sulla spiaggia, guardando il mare con il sole negli occhi.

Admo al centro commerciale

Gigi lavora in un centro commerciale vicino a casa e ha quattro figli di 22, 18, 13 e 5 anni. Si è avvicinato all’Admo (info www.admo.it) intorno ai vent’anni, quando un caro amico si è ammalato: «Frequentavamo la stessa compagnia, uscivamo spesso insieme. A un certo punto purtroppo ci ha confessato di avere la leucemia. All’epoca l’unico strumento per salvarlo sarebbe stato proprio il trapianto di midollo. Ci avevano chiesto se anche noi volessimo sottoporci all’esame per verificare la compatibilità, purtroppo però ne è mancato il tempo: è morto dopo pochi mesi».

«Chi salva una vita salva il mondo intero». Gigi Zambelli, 52 anni, di Brembate un giorno si è ritrovato fra le mani un biglietto legato con un nastro azzurro, sul quale c’era scritta questa frase in tre lingue: italiano, spagnolo e russo. Ad accompagnare il messaggio c’erano anche tre conchiglie di un bianco splendente, raccolte in un sacchetto di tulle.

Qualche anno dopo, nel ‘96, quando Gigi già lavorava in un ipermercato i volontari dell’Admo hanno chiesto di poter esporre all’interno un banchetto per raccogliere adesioni per la tipizzazione di possibili donatori di midollo. «In quell’occasione avevano chiesto anche ai dipendenti della struttura se volessero partecipare, io ho accettato subito di buon grado, e da allora sono stato inserito nella banca dati dei donatori». L’impegno nel volontariato era già una caratteristica di famiglia: «Mio padre - racconta Gigi - era donatore Avis e aveva spinto anche noi figli a diventarlo. All’epoca però mi costava molta fatica, perché ogni volta che mi sottoponevo a un prelievo perdevo i sensi. Così col passare degli anni avevo lasciato perdere».

La telefonata dall’ospedale

Non ha più avuto notizie dall’Admo per molti anni, finché un giorno, nel settembre del 2019 è arrivata una telefonata dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: «Avevo registrato il numero nella mia rubrica e quando ho visto la scritta sul display mi sono spaventato, temendo che qualcuno dei miei cari avesse avuto un malore o un incidente. In realtà chiamavano proprio me. Mi hanno chiesto se fossi ancora intenzionato a donare il midollo osseo, perché avevano individuato un paziente che avrebbe potuto essere compatibile con me. Il mio cuore ha accelerato i battiti. Da molto tempo, ormai, non ci pensavo più, sapevo che la compatibilità è molto rara, una persona su centomila, e mi ero rassegnato all’idea che quella convocazione non sarebbe mai arrivata. Ed ecco invece quella bella sorpresa, ho risposto subito di sì».

Così Gigi si è sottoposto di buon grado agli accertamenti necessari: «Mi hanno chiesto se fossi disponibile sia per il prelievo di midollo tradizionale, eseguito dalle ossa del bacino attraverso un intervento chirurgico, sia per quello realizzato con il prelievo di sangue periferico di cellule staminali emopoietiche e ho acconsentito a entrambi. La salute del donatore viene verificata accuratamente per evitare complicazioni nel paziente che riceve il trapianto, perciò mi hanno fatto uno screening completo, oltre a un esame del Dna per accertare che la compatibilità fosse davvero adeguata. Tutti gli esiti sono stati positivi, perciò ho dato nuovamente il mio assenso al trapianto». La questione del consenso viene considerata in modo molto scrupoloso nelle prime fasi di preparazione alla procedura, perché non ci siano dubbi sull’esplicita volontà del donatore: «Dopo ogni esame i medici mi hanno ripetuto la domanda, e una volta completate tutte le analisi l’hanno fatto di nuovo, per avere una conferma il più possibile affidabile: per il paziente, già debilitato dalla malattia, le terapie necessarie per ricevere il midollo sono infatti invasive e rischiose, e una rinuncia all’ultimo momento potrebbe compromettere le sue possibilità di sopravvivenza. Nel mio caso, però, non c’era pericolo che cambiassi idea: non ho mai avuto tentennamenti, ero deciso fin dall’inizio e sono andato dritto per la mia strada».

Le ferite profonde dei ricordi

Nel cuore di Gigi, infatti, ci sono ferite profonde, tutte inferte dalla leucemia, casualmente sono tre, proprio come le conchiglie bianche che ha ricevuto in dono: la morte del suo amico, avvenuta in giovane età, ma anche quelle del padre e della nonna. «Mio padre si è ammalato a 64 anni ed è morto nel 2006, un mese dopo la diagnosi. Anche nel suo caso, quindi, si è trattato di una malattia fulminante, che non ci ha dato neanche il tempo di pensare a un trapianto. Lo stesso è capitato a mia nonna. Ognuno di questi eventi mi ha lasciato una traccia indelebile, un drammatico senso di impotenza, un enorme desiderio di poter fare qualcosa per evitare lo stesso dolore ad altre persone. Per questo quando ho raccontato che mi avevano chiamato per donare il midollo tutti ne sono stati molto felici. Mia madre, che ora non c’è più, si è commossa».

«Alla fine mi sentivo solo un po’ stanco e indolenzito come dopo una camminata in montagna. Se ce ne fosse bisogno lo rifarei subito, purtroppo ogni donatore ha una sola possibilità, salvo sia necessario un “richiamo” per lo stesso paziente entro un anno»

L’unica paura di Gigi era di non essere considerato compatibile, magari per un qualunque problema fisico: «All’inizio temevo di aver superato il limite d’età, ho voluto subito chiarirlo con i medici. Mi hanno spiegato che il trapianto è possibile fino a 55 anni. Nonostante le loro rassicurazioni sono rimasto con il fiato sospeso finché non ho avuto in mano l’esito delle ecografie ai reni, al pancreas e al fegato, gli organi che più influenzano la qualità delle cellule staminali. Continuavo a pensare che da qualche parte c’era qualcuno che aveva bisogno del mio aiuto, e mi è sembrato miracoloso poterlo offrire così, in un modo che a me non costava niente. Dopo aver concluso sia per me sia per il paziente tutto il percorso di preparazione l’équipe medica mi ha informato che il trapianto sarebbe stato eseguito attraverso il prelievo di cellule staminali». È il metodo meno invasivo: il donatore, infatti, viene collegato a una macchina che filtra il sangue estraendone la parte da utilizzare. «Per cinque giorni ho assunto al mattino e alla sera un farmaco per stimolare il midollo osseo attraverso delle iniezioni, misurandone l’efficacia con un apposito test a metà percorso. I valori erano tutti in linea, perciò finalmente è arrivato il momento del prelievo, che per me è stato del tutto indolore ed è durato poche ore. Ho avvertito solo qualche brivido di freddo, mi è sembrato normale dato che ero immobile e sdraiato su un letto, ma avevo a disposizione una coperta. Alla fine mi sentivo solo un po’ stanco e indolenzito come dopo una camminata in montagna. Se ce ne fosse bisogno lo rifarei subito, purtroppo ogni donatore ha una sola possibilità, salvo sia necessario un “richiamo” per lo stesso paziente entro un anno».

È stato per Gigi un momento straordinario, che ricorderà per tutta la vita: «Ero molto agitato, perché dalla prima telefonata ricevuta dall’ospedale erano già trascorsi tre mesi e la mia esperienza personale mi aveva insegnato quanto potesse essere importante il tempo per un malato di leucemia. Ogni giornata trascorsa per questo paziente era importantissima e mi chiedevo quali fossero le sue condizioni. Il trapianto ovviamente è anonimo, non mi hanno detto neppure l’età e penso che questa regola sia corretta, anche se ovviamente resta il desiderio di avere notizie, soprattutto per assicurarsi che tutto sia andato bene». Hanno concesso però a Gigi l’opportunità di realizzare una specie di incontro virtuale scrivendo un biglietto, leggero e impalpabile come un messaggio in bottiglia affidato al mare, senza lasciare alcun indizio sulla sua identità: «Nella mia famiglia la fede ha una parte importante - spiega -. Ho voluto esprimere con parole semplici la gioia e la gratitudine che provavo sapendo di poter aiutare qualcuno. Quando mi capita di raccontare questa storia ad amici e conoscenti capita che mi guardino con stupore, che lo considerino un gesto eccezionale, ma io non l’ho vissuto così, mi è sembrata una cosa normale e penso che dovrebbero farla tutti. Ora sto cercando di trasmetterne il valore ai miei figli, di convincere anche loro. Poco prima della donazione, tra una visita e l’altra, mi sono ritrovato nel reparto di ematologia dell’ospedale. Ho incrociato nel corridoio due mamme e due bambini, e vedendoli così fragili ed esposti alla malattia mi si è stretto il cuore. Questa esperienza mi ha cambiato profondamente e ora vorrei continuare a fare qualcosa per gli altri. Non ho più paura degli aghi e ora che sono passati due anni dalla donazione potrò diventare donatore Avis seguendo le tracce di mio padre».

La sorpresa nel marzo 2020

Gigi non immaginava di ricevere una risposta al suo biglietto dal paziente che ha ricevuto il trapianto, invece è successo. Era il mese di marzo del 2020, il periodo più cupo e triste della pandemia a Bergamo, quando lungo le nostre strade le bare dei morti venivano portate via dai carri dell’esercito. «Chi salva una vita salva il mondo intero», diceva, una frase che esprime la possibilità offerta a ognuno di rendere il mondo migliore anche attraverso gesti concreti e semplici come la donazione del midollo osseo. «Mi piace pensare a un bambino sorridente e guarito che raccoglie conchiglie per me. Ora conservo gelosamente quel messaggio tra i miei ricordi più preziosi. Ed è come se avessi un figlio in più».

© RIPRODUZIONE RISERVATA