Ci vuole una scossa. Il diritto di parlare. Il peso delle scelte

LA DOMENICA DEL VILLAGGIO. Ci sono momenti e situazioni in cui una scossa è necessaria.

Per l’Atalanta – tra Cremona e la sfida di domani con il Milan – è uno di questi momenti e una di queste situazioni. Un paio d’anni fa, alla vigilia di un altro match interno con il Milan, le cose stavano anche peggio: la squadra era crollata a Torino (0-3) con i granata allenati, guarda un po’, da Ivan Juric. Seppe far quadrato, affrontò il Milan nel modo dovuto, al resto pensò Lucho Muriel con una magia entrata nella storia. Allora la scossa arrivò dall’interno. Questa volta è arrivata dall’esterno, da quel sasso che Marco Carnesecchi ha gettato nello stagno sabato sera allo stadio Zini. «Dobbiamo darci tutti una svegliata – ha detto il portiere – io per primo. Se qualcuno è stanco alzi la mano e si faccia da parte». «Pensi a parare, a fare il professionista e a parlare di meno» ha risposto piccato Juric.

Ora, si può disquisire sull’opportunità dell’uscita davanti ai microfoni piuttosto che nello spogliatoio, ma Carnesecchi non ha offeso nessuno, non ha rivelato segreti che violino la sacralità del gruppo e si è guadagnato sul campo il diritto di dire la sua. Parando (come pochi altri in Europa) e comportandosi da professionista sin da quando ha vissuto in silenzio dalla panchina il trionfo in Europa League nell’anno del complicato dualismo con Musso.

Con le sue parole, in realtà, ha sollevato un problema che problema non è: ci sono giocatori più in forma di altri, come è normale che sia. E adesso che sono tutti, o quasi, a disposizione, Juric è chiamato a fare le sue scelte. Un problema che tutti vorrebbero avere, nel calcio delle cinque sostituzioni (soprattutto quando le usi tutte). Sabato sera, dopo lo svantaggio, Juric ha mostrato di saperlo fare: ha derogato con coraggio e lucidità ai suoi dogmi tattici cambiando modulo in corsa e ha inserito un giocatore finora poco utilizzato come Brescianini (poco prima aveva fatto lo stesso con Samardzic) venendone ripagato. Non significa che adesso si debba giocare sempre con il 4-2-3-1 (adatto a certe situazioni, non ad altre) o che Brescianini e Samardzic debbano sempre giocare. Significa però che la fine dell’emergenza apre, e quasi impone, scenari nuovi sulla valutazione della rosa e delle rotazioni. Esercitando quel diritto di scegliere che, in certe situazioni, implica anche il peso di un dovere.

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