
La domenica del villaggio / Bergamo Città
Lunedì 13 Ottobre 2025
Tadej e Fausto, quel chilometro che sa di leggenda
IL COMMENTO. Il ciclismo deve molta della propria popolarità alla semplicità. Un solo gesto tecnico (la pedalata, che tutti imparano da bambini), poche e facili regole, un palcoscenico accessibile (la strada) e gratuito, che consente di ammirare i protagonisti più da vicino che in qualsiasi altra disciplina. E una dinamica elementare: si parte in tanti e vince chi va più forte.
Da qualche tempo, poi, questa semplicità ha raggiunto livelli estremi perché chi va più forte, e quindi vince, è (quasi) sempre Tadej Pogacar. Lo sloveno volante anche sabato, nel Giro di Lombardia con arrivo a Bergamo, ha imposto la sua legge, ribadendo però una capacità unica, sconosciuta agli altri campioni dell’era moderna: quella di abbinare la schiacciante superiorità alla capacità di regalare emozioni dal gusto antico.
Una particolarità del ciclismo: il campione che domina non toglie interesse ed entusiasmo attorno alla corsa. Anzi, la nobilita. Il campione è il campione e basta, al di là del tifo e delle bandiere
I paragoni, da Fausto Coppi a Eddy Merckx, si sprecano. Campioni diversi, epoche diverse, mondi diversi. Eppure per un attimo, quando Pogacar sabato ha attraversato piazzale Oberdan per imboccare via Sauro, insieme a lui, da Borgo Santa Caterina, è sbucato un ricordo ingiallito dal tempo ma vivo nella memoria e nei racconti di chi, in quella zona, ha una certa età. Settant’anni fa, al Giro d’Italia del 1955, Fausto Coppi percorse esattamente quello stesso tratto di strada, in compagnia di Fiorenzo Magni, in una tappa leggendaria da Trento a San Pellegrino che rappresentò una delle ultime grandi imprese del Campionissimo. I due imboccarono l’allora Ponte di Santa Caterina sulla Morla (oggi coperta), per dirigersi a razzo verso la Val Brembana: tappa a Coppi, maglia rosa a Magni. Rivivendo quei racconti ieri è parso quasi di vederlo, Coppi (che come Pogacar il Lombardia lo vinse cinque volte, ma non di fila), aspettare lo sloveno in maglia iridata, complimentarsi e pedalare al suo fianco, unico in grado di tenerne il ritmo, per quel chilometro e spicci fino al bivio di Valverde. Dove il campione del mondo ha svoltato per salire verso la Boccola fra due ali di folla impressionanti. Perché in questo sta un’altra particolarità del ciclismo: il campione che domina non toglie interesse ed entusiasmo attorno alla corsa. Anzi, la nobilita. Il campione è il campione e basta, al di là del tifo e delle bandiere. Quando passa lui è comunque una festa. Che dura fino a quando non è passato l’ultimo.
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