
La salute / Bergamo Città
Giovedì 05 Giugno 2025
All’ospedale di Bergamo trapianto multiplo da record: «Ora sono tornato a vivere»
«AL PAPA GIOVANNI» . Lucio Tiberi ha ricevuto cinque organi in un’operazione. Unico caso in Italia nel 2024. Dopo quasi 10 mesi di ricovero il rientro a casa.
Il sogno per il futuro? «Tornare a mangiare qualcosa di sostanzioso». L’accento romanesco consegna l’immaginario di una buona forchetta e delle sfumature di sapori di una cucina rustica, mentre il carattere è di quelli veraci. Quasi dieci mesi di degenza non hanno scalfito lo spirito di Lucio Tiberi, 69enne dei Castelli Romani, arrivato la scorsa estate al «Papa Giovanni» con un filo di speranza e invece «tornato» alla vita. Tiberi, rientrato lo scorso fine settimana a Roma dopo il lungo recupero, ad agosto era stato sottoposto a un trapianto multiviscerale, l’unico di questo tipo eseguito in tutta Italia nel 2024: in un’operazione delicatissima durata oltre 8 ore, ha ricevuto fegato, intestino, stomaco, colon e pancreas. «Senza quell’operazione sarei morto», racconta Tiberi, imprenditore edile oggi in pensione.
La storia di Lucio Tiberi
La sua storia clinica era cominciata con una problematica di tipo vascolare che aveva comportato una sindrome da intestino corto, con la resezione di parte dell’organo e il ricorso a nutrizione artificiale, a cui poi ha fatto seguito un’insufficienza epatica, delineando un quadro clinico fortemente a rischio. Dal Policlinico Gemelli dove era inizialmente in cura, Tiberi è stato così «inviato» all’ospedale di Bergamo, l’unico centro italiano autorizzato per questi di interventi. «Non c’erano alternative al trapianto multiviscerale», spiega Luisa Pasulo, responsabile dell’Unità di Epatogastroenterologica avanzata del «Papa Giovanni», che ha seguito il caso: senza quell’operazione, prosegue Domenico Pinelli, direttore della Chirurgia 3-Trapianti addominali, il paziente «aveva un’aspettativa di vita a 3-6 mesi praticamente nulla».
Ad agosto, dopo un’attesa relativamente breve, arriva il trapianto: «L’intervento – approfondisce Pinelli – è stato caratterizzato da un’asportazione dei visceri addominali. È un intervento molto delicato, soprattutto nella fase di demolizione dei tessuti, per via dell’importante sanguinamento degli organi. La complessità è riassunta dai numeri: in Italia lo scorso anno sono stati eseguiti mille trapianti di fegato, ad esempio, ma solo uno multiviscerale. L’attività di questo tipo al “Papa Giovanni” è stata avviata nel 2006 solo con i pazienti pediatrici, poi dal 2018 l’autorizzazione ministeriale è stata estesa anche agli adulti, seppur i casi siano ancora pochi perché riguardano una popolazione limitata». È stato il primo passo di un lungo cammino. «Il decorso – rileva Pasulo – ha comportato un ricovero prima fino a dicembre, sia perché questi trapianti necessitano di una terapia immuno soppressiva significativa sia perché sono frequenti le complicanze. A parte una breve pausa per le feste natalizie, il ricovero è proseguito fino ai giorni scorsi: ora ha recuperato l’autonomia ed è tornato a casa. A fronte della complessità, è stato un successo».
«Pensare che un tempo le malattie mi spaventavano: se avevo un raffreddore, mi mettevo a letto per qualche giorno. Quando invece ho iniziato ad avere la malattia che mi ha portato al trapianto e m’è toccato girare per ospedali, non ho avuto più paura di niente. Mi sono fatto forza, ho sempre guardato avanti»
«Mai abbattersi»
«Qui ho trovato un’assistenza fantastica, sembrava di essere in famiglia: quando sono andato via dal reparto mi hanno fatto la festa – sorride l’uomo, che in questi mesi ha trovato il sostegno anche dell’associazione Paolo Belli, che ha messo a disposizione un alloggio per consentire alla moglie di stargli vicino durante la degenza -. Pensare che un tempo le malattie mi spaventavano: se avevo un raffreddore, mi mettevo a letto per qualche giorno. Quando invece ho iniziato ad avere la malattia che mi ha portato al trapianto e m’è toccato girare per ospedali, non ho avuto più paura di niente. Mi sono fatto forza, ho sempre guardato avanti». Lo fa anche adesso, di nuovo a casa, per davvero: «Ho un giardino, un pezzo di terra: ecco, mi piacerebbe dedicarmi un po’ a questi lavori, e magari tornare a mangiare qualcosa di sostanzioso», scherza, ma non troppo, Tiberi.
«La donazione porta a una rinascita tanto che alcuni pazienti arrivano a festeggiare due volte l’anno il proprio compleanno, celebrando anche il giorno in cui hanno ricevuto quell’organo che ha consentito loro di continuare a vivere»
Una storia di ripartenza grazie alla donazione
È una storia di ripartenza che ribadisce il valore della donazione degli organi: «Donate, donate – è l’appello dell’uomo -, perché è importante questo gesto di generosità». «In questi anni abbiamo avuto una buona risposta in termini di numeri per il nostro centro – riflette Pinelli -, ma ovviamente questo dipende dall’adesione alla donazione: se non c’è donazione, non c’è trapianto». Ci sono i dettagli a ricordare l’essenza di questi gesti: «La donazione porta a una rinascita – conclude Pasulo -, tanto che alcuni pazienti arrivano a festeggiare due volte l’anno il proprio compleanno, celebrando anche il giorno in cui hanno ricevuto quell’organo che ha consentito loro di continuare a vivere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA