Epatite «Delta», fondamentale la diagnosi
tempestiva

Infezione.Causa un’infiammazione cronica che danneggia il fegato,
in grado di provocare pesanti danni.

L’infezione da HDV (questa la sigla che identifica l’epatite Delta) è la più aggressiva e pericolosa di tutte le epatiti croniche virali. Al pari delle epatiti causate dai più conosciuti virus B e C, l’epatite Delta causa una infiammazione cronica che danneggia il fegato, con un maggior rischio di sviluppo di cirrosi ed epatocarcinoma anche in giovane età. In assenza di terapie veramente efficaci, molti pazienti finora hanno dovuto sottoporsi precocemente a trapianto di fegato.

Il virus Delta è un virus a RNA. Necessita obbligatoriamente della presenza del virus dell’epatite B per replicarsi nelle cellule del fegato. Circa il 5-7% dei pazienti con epatite B sono co-infetti con Delta. Si stimano circa 20 milioni di contagi nel mondo e qualche migliaio in Italia. Ma la Delta rimane sottostimata perché meno ricercata rispetto all’epatite B e C. Il contagio avviene soprattutto durante il parto, attraverso rapporti sessuali e l’utilizzo di siringhe infette. La prevenzione dell’infezione da epatite B grazie alla vaccinazione (obbligatoria dal 1991 in Italia) previene anche il contagio con la Delta, che è rara nei soggetti nati in Italia e con meno di 40 anni. È presente nei soggetti provenienti da aree ad elevata endemia (Asia, Europa dell’Est, alcune zone dell’Africa) e nei soggetti italiani over 40.

Da gennaio 2023 al Papa Giovanni XXIII sarà attivo un nuovo ambulatorio dedicato. È sufficiente richiedere una prima visita epatologica, attraverso il numero verde di Regione Lombardia, con una prescrizione del medico di medicina generale che contenga il quesito diagnostico «epatite Delta»

Negli ultimi anni è stato sviluppato un nuovo farmaco antivirale, destinato a cambiare il trattamento di questa forma aggressiva di epatite. Il bulevirtide è la prima terapia approvata per l’epatite Delta e la commercializzazione è attesa entro il primo semestre del 2023. Il farmaco, che non presenta effetti collaterali, è in grado di bloccare l’ingresso del virus nelle cellule del fegato, riducendo la replicazione e l’infiammazione delle cellule epatiche. Ad un anno dall’introduzione della terapia, negli studi clinici l’83% dei pazienti ha ottenuto miglioramenti del quadro clinico, grazie alla normalizzazione dei valori di transaminasi.

La questione fondamentale rimane quella della diagnosi tempestiva. Questi tipi di virus sono silenti. I pazienti non manifestano sintomi se non quando il fegato è ormai seriamente compromesso. È fondamentale testare per l’epatite Delta tutti i soggetti che hanno avuto un test positivo per l’epatite B. E quando un paziente con epatite B, già in trattamento antivirale, continui a presentare valori elevati delle transaminasi. Il medico di medicina generale può prescrivere l’impegnativa per il test “anti-HDV”, effettuabile in molti centri. Se il test segnala la positività al virus dell’epatite Delta è raccomandato effettuare controlli più approfonditi per capire a che stadio è l’infezione e gli effetti sul fegato.

Da gennaio 2023 al Papa Giovanni XXIII sarà attivo un nuovo ambulatorio dedicato. È sufficiente richiedere una prima visita epatologica, attraverso il numero verde di Regione Lombardia, con una prescrizione del medico di medicina generale che contenga il quesito diagnostico «epatite Delta». Il paziente potrà sottoporsi ad un test specifico per la quantificazione dell’HDV RNA sierico con un sistema di ultima generazione, estremamente sensibile.

«In ambulatorio valutiamo i singoli casi e definiamo la strategia terapeutica più appropriata – ha spiegato Alessandro Loglio, medico responsabile dell’ambulatorio HBV-HDV della Gastroenterologia del Papa Giovanni XXIII -. Per ciascun paziente valutiamo lo stadio di malattia epatica e la quantità dei virus HBV ed HDV, oltre a ricordare l’importanza dello screening per HDV nei familiari e nei soggetti che hanno avuto positività per l’epatite B. Per i pazienti che lo necessitano, proporremo il ricorso al bulevirtide, da quando sarà disponibile. Da sei mesi stiamo seguendo il primo paziente in trattamento con questa cura: il valore delle transaminasi è tornato nella norma e la carica virale si è negativizzata dopo 4 mesi».

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