«Susine pelate», il linguaggio social
usato come energia positiva per guarire

Claudia Artiga, dallo shock sul volto per il tumore allo spirito di gruppo tra malate con l’ausilio di Instagram. «Non siamo superdonne, abbiamo cercato un punto di vista diverso per poter reagire».

Cinque giovani donne in una stanza d’ospedale e un selfie scattato per gioco: inizia così, in modo semplice e luminoso, la storia delle «Susine Pelate», un account Instagram nato pochi mesi fa, nell’ottobre scorso. Ora lo seguono oltre 25 mila follower e offre una testimonianza di coraggio, tenacia e resistenza contro il cancro. Giulietta, Ilaria, Claudia, Giulia e Federica hanno perso i capelli a causa della chemioterapia, ma i loro sguardi brillano, i loro sorrisi dimostrano che, come scriveva Georges Clemenceau, «una vita è un’opera d’arte. Non c’è poesia più bella che vivere pienamente». Le foto che postano sui social sono «senza filtri», non offrono un’immagine edulcorata della malattia, ma al di là dei corpi segnati dalla chemio sanno mostrare soprattutto la forza dell’amicizia e della gioia di vivere. Come scrive Menandro «per il corpo ammalato occorre il medico, per l’anima l’amico: la parola affettuosa cura il dolore».

La più «grande» di Pontirolo

Claudia Artiga, 39 anni, vive a Pontirolo ed è la più «grande» del gruppo, nato in modo spontaneo durante le terapie all’Istituto dei tumori di Milano. «Ha due occhi grandi, blu e profondi come il mare - scrive l’amica Ilaria su Instagram -. Essendo la più anziana del gruppo è un po’ come il saggio del villaggio: come parafarmacista regala alle sue amiche preziosi consigli ed è anche un po’ svampita». Se la sua pelle è arrossata dai faticosi trattamenti di radioterapia che deve affrontare per guarire, il suo spirito è forte e il suo sorriso non si spegne mai: «Ho un bambino di sei anni - racconta - che si chiama Noah. Il primo settembre ha iniziato la prima elementare. Non è stato semplice, in tempo di covid. Proprio in quei giorni stavo iniziando il secondo ciclo di chemioterapia, ho chiesto ai medici di poter uscire dall’ospedale un giorno prima del previsto per potergli stare vicino e mi hanno accontentato».

Ha scoperto la malattia quasi per caso nel giugno scorso: «Ho notato un rigonfiamento sopra l’occhio - racconta -. Mi dava un po’ fastidio, sembrava che la pelle fosse infiammata. All’inizio davo la colpa al freddo e prendevo degli antinfiammatori. Poi si è un po’ ingrandito ma sembrava che fosse soltanto una ciste, così mi sono rivolta a un amico chirurgo estetico perché l’asportasse. Lui, però, si è accorto che si trattava di ben altro, così mi ha messo in contatto con l’Istituto dei tumori di Milano, dove sono stata sottoposta ad analisi più approfondite. Così è arrivata quella diagnosi spaventosa di cancro, collocato fra l’orbita, il seno paranasale e il cervello, in una posizione così delicata che non era possibile intervenire chirurgicamente». Claudia ha accusato il colpo. «Non potevo crederci e all’inizio sono crollata. Mi sono data tempo una settimana in cui mi sono lasciata un po’ andare alla disperazione e ho consumato tutte le lacrime che avevo, poi mi sono fatta forza e ho reagito: ho capito che dovevo impegnarmi al massimo per affrontare la situazione. Quando i medici mi hanno spiegato il piano terapeutico mi sono tranquillizzata. Mi hanno detto che siamo arrivati in tempo, e che sono stata fortunata, perché spesso questo tipo di tumore non si vede e non dà sintomi particolari, finché non è troppo tardi. Nel mio caso, invece, è stato possibile aggredirlo con la chemioterapia, che lo ha molto ridotto: quando l’ho iniziata l’occhio era quasi completamente chiuso, come se fosse oppresso da un peso, ora è tornato quasi uguale all’altro. Poi ho iniziato una radioterapia mirata, a base di protoni, che salvaguardia la parte sana del viso. Secondo le indicazioni degli oncologi è un trattamento curativo e in buona parte dei casi risolutivo».

Sono trentacinque sedute in tutto per le quali Claudia è stata costretta a una forma impegnativa di pendolarismo, spostandosi ogni giorno avanti e indietro da Pavia: «Non volevo stare lontana per così tanto tempo da mio figlio Noah, ho cercato di non fargli pesare troppo la malattia e i ricoveri, tornare a casa ogni sera è stato meglio anche per me». A sostenerla sono le ottime possibilità di guarigione: «Ci sono effetti collaterali importanti, ma anche la possibilità del 98% di eliminare il tumore».

Il sostegno dei familiari

Ha potuto sempre contare sul sostegno di suo marito Luca e della sua famiglia: «Anche per loro è stato uno choc. Ho una sorella gemella, Paola, e per lei è stato particolarmente difficile. Poi però hanno ripreso slancio e mi hanno affiancato con molta energia. I medici hanno scelto di partire con una chemioterapia aggressiva e quando ci siamo accorti della sua efficacia abbiamo recuperato fiducia. Luca è stato fantastico, mi ha accompagnato dappertutto e abbiamo girato tutta la Lombardia alla ricerca del trattamento più efficace». Gli effetti collaterali sono stati pesanti: «Con il primo ciclo di cura ho perso cinque chili e sono stata malissimo. Con il secondo è andata un po’ meglio, ma lo scoglio più grande è stato sicuramente la radioterapia. La mia vita è sospesa, il mio unico impegno sono le cure».

Il rapporto con il figlioletto

Ha inventato giochi e scherzi per non impressionare troppo Noah: «Chiamiamo il tumore “il corno” e cerchiamo di parlare con un linguaggio adatto di ciò che sta accadendo, in modo sincero ma senza impressionarlo, sdrammatizzando un po’. Gli ho spiegato via via dove dovevo andare, quali erano le terapie, l’ho avvisato che mi sarebbero caduti i capelli, perché non si impressionasse troppo». Così in casa sono comparse parrucche di stili e tinte diverse e turbanti coloratissimi, Claudia ha fatto di tutto per non perdere l’allegria. La pandemia ha complicato la situazione: «La terapia è stata solitaria, i miei familiari potevano solo accompagnarmi e venirmi a riprendere. Trascorrevo tre giorni in ospedale e due a casa poi dovevo tornare per farmela staccare. Mi è capitato solo una volta di dover prolungare un po’ il soggiorno in reparto».

La compagna di stanza estroversa

È stato così che si è trovata in camera con Federica, 35 anni, «allegra ed estroversa, una forza della natura. Io sono l’opposto, di solito in ospedale non parlo con nessuno, ma con lei è stato impossibile, perché le piace chiacchierare, mi ha portato a passeggiare per i corridoi del reparto, mi ha presentato le altre ragazze. Ci siamo ritrovate spesso a fare la chemioterapia insieme e così è nata la nostra amicizia. Era un sollievo ogni volta incontrarle, per me sono diventate una seconda famiglia. Abbiamo iniziato a organizzare i nostri piccoli party serali nelle stanze d’ospedale, mangiavamo pane e nutella e ci tenevamo compagnia nei momenti difficili. Passavano gli infermieri e talvolta si sentivano coinvolti dall’atmosfera allegra di vicinanza che nasceva tra noi e si mettevano a chiacchierare anche loro. Siamo molto diverse l’una dall’altra, loro hanno dei sarcomi, io un carcinoma, le nostre terapie sono diverse ma ci siamo sentite subito a nostro agio insieme. Una sera per gioco ci siamo dette inventiamoci un format, diamo un nome al nostro gruppo: stavamo mangiando delle susine, e poi avevamo perso tutte i capelli, perciò il nome ci è venuto spontaneo, Susine Pelate. Ci siamo scattate una foto e l’abbiamo postata su Instagram. Sono la meno tecnologica del gruppo e non ho un account, perciò mi sono un po’ aggregata a loro. A scrivere i testi dei messaggi è soprattutto Ilaria, che ha 24 anni, è di Milano e si è appena laureata in psicologia. All’inizio pensavamo solo a un gioco tra noi, che avrebbe potuto coinvolgere al massimo le nostre famiglie e i nostri amici, ed era comunque un modo per mostrargli che tenevamo il colpo, che reagivamo con coraggio e con un pizzico di auto-ironia».

I like dopo la chemioterapia

Quella sera tutte e cinque avevano appena terminato la chemioterapia: «In quel momento eravamo in uno stato euforico ma, come accade sempre, la mattina dopo eravamo a terra, stavamo davvero male. Ed è stato allora che i nostri telefoni si sono messi a suonare per le notifiche dei like e dei nuovi follower. A ogni squillo ci mandavamo un messaggio. Ci ha sorpreso moltissimo scoprire quanto interesse aveva suscitato il nostro post, ne siamo state davvero felici, continuavamo a ridere e questo ci ha risollevato». Sono arrivati centinaia di commenti e messaggi: «Molti ci chiedevano consigli su come comportarsi con parenti e amici con il cancro e questo ci ha fatto sentire utili. La malattia fa paura, invece chi si trova in questa condizione ha bisogno di normalità, serenità, di non sentirsi discriminato. Ci servono tutte le energie positive possibili per guarire. Abbattersi, lasciarsi andare è già una sconfitta, e un malato di cancro non se lo può permettere. Ci aiutiamo a vicenda, ci sentiamo anche per mille volte al giorno, sappiamo che tra noi possiamo confidarci qualunque cosa, perché ci capiamo, affrontiamo gli stessi ostacoli, possiamo confrontarci sui sintomi, sfogarci e rincuorarci. Ci sono i momenti di puro terrore, in cui ci chiediamo che cosa potrebbe succedere se le terapie smettessero di funzionare: per scacciare questi pensieri cupi è fondamentale avere le amiche accanto».

La forza da donare agli altri

L’account è diventato anche un modo per sostenere la ricerca contro il cancro e l’attività dell’Istituto dei Tumori di Milano. Le Susine si fanno forza tra di loro e incoraggiano chi le segue: «Non siamo superdonne, abbiamo cercato un punto di vista diverso che ci permettesse di reagire». I capelli di Claudia stanno già ricominciando a crescere, e lei pensa al futuro: «Sappiamo che le cure sono invasive e ci portano sempre via qualcosa. Non sono certa di conservare la vista dall’occhio sul quale il tumore era appoggiato».

È stato un altro duro colpo per Claudia, che comunque non ha rinunciato a sorridere. Come dice un antico proverbio maori «Cammina con il viso rivolto al sole e le ombre cadranno dietro di te»: «La posta in gioco è la vita ed è vietato arrendersi, parola di Susine Pelate».

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