Sui massi di Esmate le tracce affilate dei boscaioli preistorici

SOLTO COLLINA. Nuove scoperte del naturalista Avogadri del Museo di Scienze naturali: catalogati i segni sui macigni erratici. Venivano utilizzati per affilare strumenti da lavoro.

Non finiscono mai di stupire i massi erratici di Solto Collina, censiti e studiati dal naturalista Aldo Avogadri, direttore del Museo civico di Scienze naturali di Lovere. Gli ultimi studi effettuati dallo studioso forniscono importanti testimonianze sugli uomini della Preistoria. A chi infatti osserva con occhio da esperto sui massi erratici, non sfugge che i segni incisi volutamente dall’uomo documentano la storia dei boscaioli preistorici insediati in quei luoghi, tra Esmate, il Monte Clemo e il Monte Boario. Al momento della deglaciazione, quando i ghiacciai della Valcamonica si ritirarono dal Sebino - stiamo parlando di circa 10-12 mila anni fa - si stima che fossero molti di più. Tanti, forse la maggior parte, sono precipitati nei fondali del Sebino rotolando dalle ripide pendici di San Defendente.

Solchi che parlano del passato

Su 600 massi, alcuni mastodontici, censiti da Avogadri, quattro recano segni di incisioni intenzionali opera dell’uomo. Su questi sassi di diversa natura litologica, in prevalenza di porfido con abbondante presenza di Verrucano Lombardo e più raramente di Pietra Simona, i preistorici incidevano coppelle, piccole cavità per offerte sacrificali o pratiche divinatorie, altri invece servivano per affilare gli strumenti di lavoro. In particolare è il masso catalogato M4, adagiato sul pendio nord orientale del Monte Clemo, in località Lobiec, ad aver suscitato molto interesse da parte di Avogadri: «L’elevato numero delle incisioni di affilatura e l’andamento dei solchi - spiega - indicano che il movimento impresso allo strumento da affilare doveva essere oscillatorio con discesa e risalita della lama alle estremità del solco. Per la rarità sul territorio di massi erratici di pietra Simona, apprezzata per la sua capacità abrasiva, questo masso doveva essere un punto di riferimento per gli uomini della comunità dediti al disboscamento. Ma sullo stesso ci sono anche incisioni cosiddette alla francese “polissoir” con lo strisciamento piatto della lama per rendere più tagliente e sottile il filo».

Strumenti di lavoro

In sostanza, affilavano l’ascia sui fianchi finendo il lavoro con lo sfregamento piatto. Ci sono inoltre tre incavi circolari generati per rotazione di uno strumento metallico. L’ipotesi di Avogadri è che «si possa trattare di uno strumento analogo alla punta del trapano adatto a forare il legno». Ma c’è dell’altro sul masso. Una profonda vaschetta naturale, lunga circa mezzo metro e larga 15 centimetri, la quale, trattenendo l’acqua piovana o appositamente riempita d’acqua, serviva per bagnare la pietra che favoriva l’affilatura delle lame. Un patrimonio preistorico importante, meritevole di essere tutelato e divulgato e che potrebbe costituire materiale didattico inusuale per conoscere geologia e preistoria del territorio

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