La forza di Pierina nel luglio del 1944: parole d’amore più forti dei proiettili

LIBERAZIONE. La «sposina» di Brembilla affrontò una squadra di repubblichini durante un rastrellamento. Tre giovani erano stati uccisi. Lei salvò il marito e altre 26 persone.

Tra le tante testimonianze che la storia della Resistenza ha lasciato nella Bergamasca spicca quella della «Sposina di Cavaglia». Pierina Belli nel 1944 aveva 31 anni ed era originaria della Valle Imagna ma si era stabilita con il marito Giovanni Busi, poco più grande di lei, nella proprietà di quest’ultimo proprio a Cavaglia, piccolo borgo di Brembilla dopo il loro matrimonio celebrato quando Pierina aveva 16 anni (da qui l’appellativo di «sposina»). Una vita tranquilla insomma, insieme al marito e ai figli Maria, Santino e Matteo. Ma la guerra non risparmia nessuno e bussò alle porte di Pierina e della sua famiglia.

Lo squadrone armato

«Era il 28 luglio 1944 quando mia madre, che era nei pascoli, vide mio fratello di arrivare a corse - ha raccontato Dario Busi, quarto figlio di Pierina e Giovanni nato ormai a guerra finita - Ebbene riferì a mia madre che a Brembilla erano arrivate le camionette dei repubblichini e avevano rastrellato dalla strada 27 uomini. Lo squadrone era guidato dal famigerato comandante Aldo Resmini, un nome che tutt’oggi fa gelare il sangue a chi conosce gli atti di cui si era reso responsabile». Il comandante era noto a Brembilla e in tutta Bergamo per la sua crudeltà. Tra gli uomini caricati sul camion c’era proprio Giovanni Busi. «Mio papà lavorava in Francia, faceva il pendolare. Quel giorno, dopo essere arrivato in treno fino a Zogno, stava tornando a casa con la sua bicicletta quando uno dei fascisti l’ha fermato e caricato sul camion. Un amico di famiglia vide tutta la scena e avvisò Santino che disse a mia madre ciò che stava succedendo. Lei prese la pistola che tenevano a casa e corse a Brembilla».

Il cippo dei martiri

La scena che Pierina si trovò di fronte era raggelante: strade deserte, serrande delle case sbarrate e al centro della via principale del paese una serie di camion con le mitragliatrici puntate. La donna chiese a uno dei fascisti di parlare con il comandante, così fu portata da lui nei pressi del municipio. «Mia mamma ha sempre avuto il dono della parola. Era convincente una brava oratrice. Allora convinse Resmini a farle vedere il marito e, per la strada che portava verso i camion vide tre cadaveri a terra». I fascisti poche ore prima avevano aperto il fuoco uccidendo tre giovani brembillesi: Vincenzo Offredi, Pesenti Lorenzo e Bortolo Vanotti. A loro è dedicato infatti il cippo dei martiri della libertà situato presso il bivio dove in quel giorno del ’44 sostavano i camion. «Una volta appurato dai vestiti che non si trattava di Giovanni, mia madre posta di fronte al camion convinse il comandante a far scendere mio papà. Ma volle aiutare anche gli altri: disse che lei li conosceva tutti e 26 e le loro rispettive famiglie. Non era vero, probabilmente ne conosceva solo tre o quattro di loro ma le sue parole convinsero Resmini a liberare tutti gli uomini sul camion» ha concluso Dario. E fu così che Pierina, senza sparare un colpo, ma con tanto coraggio, spinta dall’amore e dal senso di libertà, salvò la vita a Giovanni e di altri 26 uomini.

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