Medaglia d’oro alle Paralimpiadi
vince gli «ostacoli» di tutti i giorni

Matteo Tassetti, atleta ipovedente, racconta i successi nello sport e nella vita: «Non invecchio sul divano».

«Corri quando puoi, cammina quando devi, striscia se serve; ma non mollare mai» è la lezione dell’ultramaratoneta Dean Karnazes, atleta famoso - fra l’altro - per aver completato nel 2006 50 maratone in 50 giorni in 50 Stati diversi degli Usa. Matteo Tassetti di Sorisole, 49 anni, ipovedente, atleta dell’associazione Omero, ha messo in pratica lo stesso principio, con tenacia e coraggio, trovando nello sport la sua strada di riscatto.

Nel 2000 alle Paralimpiadi di Sidney ha vinto la medaglia d’oro nella staffetta 4x100, la stessa nella quale ha appena trionfato a Tokyo il team di Marcell Jacobs, Lorenzo Patta, Eseosa Desalu e Filippo Tortu. Matteo ha festeggiato il loro successo: «Sarebbe bello conoscerli». Ed è con la memoria di quella stessa vittoria - l’emozione immensa della premiazione, l’inno, gli applausi - che augura nuovi successi agli atleti in partenza per le Paralimpiadi, che iniziano in Giappone il 24 agosto, compresi i «colleghi» bergamaschi Martina Caironi e Oney Tapya.

I primi problemi alla lavagna

Matteo non partecipa più alle gare ma non ha appeso le scarpe al chiodo: «Mi alleno con i giovani dell’associazione per mantenermi in forma e perché l’atletica sarà sempre una parte importante della mia vita».

Ha partecipato a tre edizioni delle Paralimpiadi: «La prima volta ad Atlanta, nel 1996, ho anche pronunziato il giuramento degli atleti nella cerimonia di apertura. Non c’era il testo in Braille e ricordo che avevo accanto un “suggeritore” e ripetevo dopo di lui. È stato un momento che non scorderò mai». Secondo di quattro fratelli, ha iniziato a perdere la vista quando aveva otto anni: «Me ne sono accorto a scuola, perché non vedevo bene la lavagna. I miei genitori mi hanno portato dall’oculista e così ho scoperto che avevo una retinite pigmentosa, una malattia degenerativa». Matteo, nonostante questo, dopo le scuole medie aveva scelto di proseguire gli studi iscrivendosi al liceo scientifico, «nel frattempo, però, i problemi di vista erano peggiorati. Mi sono scontrato con la mancanza di strumenti di sostegno adeguati a uno studente ipovedente».

Non c’erano ancora iPhone, computer e audiolibri, «non avevo altri supporti se non un lettore incaricato dall’Unione ciechi, che nel pomeriggio mi affiancava nei compiti. Oggi la situazione è diversa, ci sono ancora tante difficoltà, ma la tecnologia aiuta molto. Allora però, ho dovuto rinunciare: alla fine del primo anno sono stato rimandato in quattro materie e poi bocciato. Perfino il professore di ginnastica mi aveva esonerato dalle attività per il timore di incidenti. Poi però ho trovato comunque la mia strada». Non è stato facile, perché dopo quel fallimento Matteo era demoralizzato e si era chiuso in se stesso: «Ero deluso e per un anno non ho più voluto fare niente. Poi i miei genitori mi hanno convinto a iscrivermi al corso di formazione professionale per centralinisti rivolto ai non vedenti, in un istituto di Brescia. Mi sono diplomato a 18 anni e dopo qualche mese ho trovato un impiego, prima in un’azienda privata e poi in un istituto di credito, dove lavoro tuttora».

Il Gruppo sportivo Omero

Nell’anno trascorso a casa senza studiare né lavorare ha conosciuto il «Gruppo sportivo e ricreativo non vedenti bergamaschi», che ora si chiama Omero. «Ho iniziato con il torball, gioco a squadre simile alla pallamano per non vedenti, che si gioca tre contro tre. Avevo un fisico snello, ero mingherlino e questo non mi favoriva. Una volta ho ricevuto una potente pallonata in pieno viso e poi non ne ho più voluto sapere». Matteo ha quindi deciso di cimentarsi nel calcio: «Sono entrato in una squadra a sette per non vedenti. È stato un bel periodo, che ricordo con piacere, grazie a una collaborazione con l’Atalanta abbiamo anche frequentato i campi di Zingonia. Nel 1992 abbiamo vinto lo scudetto italiano. Ci incontravamo per gli allenamenti una volta alla settimana e per migliorare il tono muscolare ed essere più scattante ho iniziato a frequentare un campo di atletica. Così ho incontrato Angelo Zanotti, atleta non vedente, che aveva già ottenuto risultati eccezionali nelle gare internazionali e aveva partecipato alle olimpiadi di Seul e Barcellona. Con lui e il suo allenatore Mario Poletti abbiamo creato il gruppo di atletica dei non vedenti «G.S. Orobico».

Dal calcio all’atletica

All’inizio per me quegli allenamenti erano uno strumento di preparazione in più, finalizzato a migliorare le prestazioni calcistiche. Col tempo, però, mi sono appassionato e ho deciso di partecipare anche alle competizioni di atletica, prima in ambito nazionale e poi, nel 1995, agli Europei di Valencia. Avevo 23 anni e dopo aver ottenuto piazzamenti incoraggianti, nel ’96 sono partito per le mie prime Paralimpiadi ad Atlanta. Correndo nei 100 e 200 metri mi sono classificato al settimo e al decimo posto».

Matteo ha proseguito con tenacia e impegno i suoi allenamenti nella corsa, migliorando costantemente le sue prestazioni, fino a ottenere traguardi inaspettati: «Nel ’97 ho partecipato agli Europei di Riccione e con la squadra azzurra della staffetta 4x100 non solo abbiamo vinto ma abbiamo anche stabilito il record del mondo. Nel ’98 a Madrid abbiamo vinto il titolo mondiale e migliorato ulteriormente il nostro record. A Sidney, alle Paralimpiadi del 2000 è arrivato il successo più importante: la medaglia d’oro e un nuovo record mondiale. Credo sia il sogno di ogni atleta».

In quel «dream team» con il bergamasco Tassetti correvano Aldo Manganaro di Caltanissetta, Mauro Porpora di Milano e Lorenzo Ricci di La Spezia. C’era anche un altro bergamasco, nella squadra come «riserva», Guglielmo Boni. «Al ritorno - racconta Matteo - siamo stati ricevuti con tutti gli onori da Formigoni al Pirellone, dal presidente della Repubblica, che allora era Ciampi, e in occasione del Giubileo abbiamo partecipato anche all’udienza con Papa Giovanni Paolo II, riservata agli atleti». Un’esperienza straordinaria, indimenticabile: «Per arrivare a Sidney ci sono volute 23 ore di volo con scalo a Singapore e a Melbourne, non avevo mai fatto un viaggio così lungo. Il nostro soggiorno è durato quasi un mese. All’arrivo sono rimasto molto colpito dall’affetto e rispetto che la gente riservava agli atleti con disabilità. In Italia a quei tempi non godevamo di così tanta considerazione e neppure di molta visibilità. Il Villaggio olimpico era un ambiente molto accogliente, che riuniva gli atleti e gli addetti ai lavori di tutto il mondo. Una città multietnica in miniatura, in cui gli atleti vivevano in un clima di amicizia e collaborazione, nonostante le rivalità, rispettando le differenze culturali».

Nello stesso anno Matteo ha iniziato a ristrutturare la vecchia casa dei suoi genitori. Nel 2003 si è sposato e nel 2004 è nata la sua primogenita, Linda. Poco dopo ha partecipato alle sue ultime Paralimpiadi ad Atene. Nel 2007 è arrivato suo figlio Davide. «Sono ragazzi splendidi - osserva Matteo - e fortunatamente nessuno dei due ha ereditato la mia patologia. L’unico mio cruccio è che nessuno dei due, fino ad ora, ha manifestato una particolare passione per lo sport, che per me è un ingrediente fondamentale per affrontare la vita». Incoraggiato dai risultati sportivi, Matteo ha guadagnato forza ed entusiasmo anche per la sua vita personale: «Non ho rinunciato a viaggiare. Ho scoperto che esistono tour organizzati con guide specializzate nell’illustrare i luoghi di maggiore interesse anche ai non vedenti. Mi piace molto cimentarmi in esperienze nuove, non sono il tipo che rimane sul divano ad aspettare di invecchiare». L’atletica resta una grande passione: «Mi diverto a offrire consigli ai ragazzi di Omero durante gli allenamenti. Stare con loro mi ricorda i bei tempi e mi aiuta a mantenermi in forma. Partecipo anche alle gite in montagna promosse dall’associazione, sempre su sentieri accessibili. Uso le racchette come appoggi supplementari e come bastoni per individuare meglio gli ostacoli». (Info su queste attività https://omerobg.it). Tra i suoi hobby ci sono anche gli scacchi: per giocare con i suoi figli usa una scacchiera speciale, adatta a vedenti e non vedenti, con i riquadri in rilievo e i pezzi segnati da piccole sporgenze, in modo da porterli riconoscere al tatto.

La donazione di sangue e plasma

Matteo sa bene come sia difficile affrontare da soli la fragilità e la malattia, e per questo si impegna da sempre per aiutare le persone più fragili: «Sono donatore Avis da 31 anni - racconta - ho iniziato quando ne avevo 18. Sono nel consiglio dell’associazione del mio comune, Sorisole, e ho raggiunto da poco le 200 donazioni. Mi reco ogni due mesi al centro di prelievo per donare sangue e plasma. Ne sono orgoglioso e penso che questo gesto vada anche a mio vantaggio. L’Avis, infatti, si preoccupa prima di tutto della salute dei donatori, perciò mi sottopone con regolarità a controlli accurati. Spero che molti seguano il mio esempio: ce n’è tanto bisogno, soprattutto nel periodo estivo, quando molti si assentano per le vacanze e a volte “saltano” i prelievi. Ho iniziato seguendo il suggerimento di un amico, e ora spero di trasmettere questa buona pratica anche ai miei figli».

Autonomo sui mezzi pubblici

Matteo tiene molto alla sua autonomia: «Mi sposto con i mezzi pubblici da solo, senza una guida. Certo non è sempre facile fare i conti con le numerose barriere architettoniche ancora presenti su strade e marciapiedi, con l’indifferenza della gente, con i comportamenti scorretti. Eppure basterebbero poche attenzioni in più. Sugli autobus, per esempio, mancano gli annunci audio con le informazioni sulla linea e sulle fermate. In altre città, sui treni e sulle linee metropolitane esistono da tempo. Potrebbero essere d’aiuto a tutti: turisti, anziani, persone distratte». A volte per risolvere una situazione difficile ci vuole poco, basta rispondere a una richiesta d’aiuto: come scrive Amelia Earhart «un solo atto di gentilezza mette radici in tutte le direzioni, e le radici germogliano e creano nuovi alberi».

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