Uniti nell’amicizia anche nel lager. Ora l’onorificenza

Endenna. Giuseppe Chiesa si salverà, Giovanni Zanchi morì a 20 anni. Il figlio: «Rifiutarono le offerte dei nazisti» Venerdì la consegna della Medaglia d’onore alla memoria.

Uniti nell’amicizia, uniti nella Resistenza. «Dentro un’altra Resistenza», dice oggi Umberto Chiesa. Papà Giuseppe Chiesa e l’amico d’infanzia Giovanni Zanchi, entrambi di Endenna di Zogno, vissero la terribile esperienza del lager in Germania, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Giuseppe riuscirà a salvarsi tornando nella sua terra, Giovanni perderà invece la vita a 20 anni, sotto i bombardamenti. La loro storia, raccontata tante volte da Giuseppe al figlio, è ormai nel cuore di Umberto. Una storia di dolore ma anche di amicizia e Resistenza che sarà riconosciuta venerdì 27 gennaio, alle 15,30, nell’Aula Magna dell’Università (ex monastero di Sant’Agostino) con la consegna della Medaglia d’onore alla memoria dei due deportati.

Insieme a Bolzano

Giuseppe e Giovanni si ritrovarono insieme per il servizio militare negli alpini, a Bolzano (quinto battaglione Tirano). «Ricordo un episodio che mi raccontò mio padre - dice Umberto -. Giovanni, dopo un infortunio al piede, ebbe un periodo di convalescenza a casa. Al ritorno in caserma, a notte fonda, svegliò i suoi amici e, dallo zaino, con stupore di tutti, tolse una grande forma di pane bianco e una bottiglia di vino. Era il pane fatto con il frumento della sua terra e il vino con l’uva delle sue vigne. Giovanni era generoso, lo divise in parti uguali con gli amici».

Poi arrivò l’8 settembre. «I tedeschi chiesero anche a mio padre e Giovanni se volevano stare dalla loro parte e quindi avere casa e famiglia oppure essere deportati. Entrambi non accettarono, vennero così portati nel campo di concentramento di Amburgo, in Germania, diventando Internati militari italiani (Imi). E ogni giorno i tedeschi, con l’appello, facevano loro sempre la stessa proposta. Ma loro, come la maggioranza degli altri detenuti, si opposero sempre. Per questo, a pieno titolo, possiamo parlare di un’altra Resistenza. Gli Internati militari italiani erano quelli che dissero no, e il loro no aveva un valore morale, perché era un no all’ideologia che voleva imporre l’egemonia razziale».

«Si cercava cibo tra i rifiuti»

«Per loro seguirono anni di fatiche, privazioni, fame, umiliazioni. E furono tanti quelli che non tornarono. Il lavoro era molto duro, soprattutto per chi finì nelle fabbriche di armi, nelle miniere, negli altiforni. Il problema principale era il cibo: un po’ di tè al mattino, a mezzogiorno un brodo di rapa e una fetta di pane e, quando la fame era troppa, ci si riempiva di ghiande. Si rovistava nell’immondizia e quando si trovavano delle bucce di patate era festa, mi ricordava».

Dopo due anni di prigionia, nella primavera del 1945, gli inglesi liberarono il campo di concentramento di Amburgo. Giuseppe potè finalmente tornare a casa «dopo un viaggio attraverso il Brennero, Verona, quindi a Bergamo dove si riceveva un po’ di brodo e un paio di calzini. Ricordo il racconto di mio padre quando vide i genitori in cima alla “Ria”, la mulattiera che da Romacolo porta a Endenna: “Come ta set dientat magher, Bepo te cugnusie piò”, gli disse mia nonna». Giuseppe riuscirà a ricostruirsi una vita, a sposarsi con Giuseppina Ruggeri, oggi 96 anni, da cui ebbe sette figli. Morirà nel 1986, a 63 anni.

«Dove stare nella Storia»

Giovanni Zanchi, invece, che dopo Amburgo era stato portato in un altro campo di concentramento, venne ritrovato senza vita in un sottoscala del lager, ucciso dai bombardamenti degli alleati.

«Ma Giovanni, quando fu trovato, non era solo - dice Umberto - perché tra le mani stringeva un pezzo di pane bianco ammuffito, forse per sentire fino all’ultimo il calore della sua terra e percepire la carezza di quelle mani che avevano saputo trasformare una spiga di frumento in un pezzo di pane». Il ricordo di Giovanni è inciso oggi sul monumento ai Caduti di Endenna e su una delle campane della parrocchiale. Con Giuseppe e Giovanni, venerdì, il Prefetto premierà anche un terzo componente della loro famiglia: Pietro Ruggeri di Poscante, zio di Umberto Chiesa. Anche lui, come Giuseppe, dopo gli anni della prigionia, riuscì a tornare a casa. «La medaglia d’onore è sicuramente un riconoscimento importante - conclude Umberto - che rappresenta ora anche il mio grazie a papà, lui che con Giovanni ha saputo dimostrare il valore dell’amicizia e della Patria anche in una realtà di prevaricazione. E, con le sue scelte di vita, mi ha insegnato da che parte stare dentro la Storia».

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