Addio conflitti in aula: il Romero costruisce la pace su ali di Rondine

ALBINO. Al liceo di Scienze umane l’unica sezione bergamasca che applica il metodo nato nel borgo toscano dove convivono giovani di Paesi tra loro nemici. «Al centro la relazione e il dialogo».

In un tempo sempre più segnato dalla fatica e alla conflittualità, anche a scuola, parlare e vivere di pace in classe pare un paradosso. Al liceo «Romero» di Albino sono invece due anni che si lavora sulla conoscenza di sé, aiutati da docenti e tutor a sviluppare le abilità utili per crescere e diventare cittadini attivi di una società sempre più veloce, complessa e conflittuale. È proprio la parola conflitto al centro del metodo Rondine, un’offerta educativa e formativa per la trasformazione creativa dei conflitti sbarcata nell’istituto seriano lo scorso anno, e che oggi, grazie alla «Sezione Rondine», la N del liceo Scienze umane, coinvolge gli studenti di terza e quarta in un percorso pensato per promuovere uno sviluppo umano integrale. Un lavoro quotidiano che si ispira all’esperienza dello Studentato Internazionale – World House di Rondine, il borgo in provincia di Arezzo che accoglie giovani provenienti da Paesi in guerra o che ne sono da poco usciti. Israeliani, palestinesi, russi e ucraini, serbi e croati, tutsi e hutu, nemici sulla carta o per genìa, che imparano a impegnarsi insieme per la pace nel mondo.

Che è lo stesso fine dei ragazzi della quarta N dove entriamo in una mattina di sole, nell’ex scuola elementare di Desenzano di Albino che è diventata la succursale del liceo, due tornanti sopra il santuario della Madonna della Gamba. Il professor Cristian Zucchelli, la dirigente scolastica Maria Peracchi e la tutor Maria Coter si siedono in disparte a lasciare che siano loro, le ragazze e il ragazzo della classe, a spiegare cosa significhi essere «Sezione Rondine», la prima della Bergamasca, in quello che – il Romero – è il secondo istituto lombardo, dopo un liceo di Cremona, ad averla sperimentata.

Conflitto, allora. Non che al Romero ci si scontri e si litighi, anzi «no, la parola conflitto è neutra – spiega Elisa –: non significa solo scontro, ma anche confronto, incontro fra diversità e questo metodo ci ha sicuramente aiutati a legare di più, a non fuggire i conflitti, ma affrontarli parlando, proponendo soluzioni». Proprio come i ragazzi della Cittadella di Rondine, tutsi e hutu, russi e ucraini che siano.

Il lato personale ed emotivo

«A scuola seguiamo un approccio che guarda più al lato personale ed emotivo – aggiunge Giulia –: non siamo solo studenti e professori, ma persone anzitutto». Il clima dentro l’aula non può che migliorare, raccontano le ragazze della quarta N, compreso Alessandro che è l’unico maschio del gruppo classe: «Prima lo scopo di tutto era per me il voto – è la testimonianza di Martina –, ora ho imparato a darci meno peso e vivo molto meglio anche la lezione».

Così come Giorgia che interviene nel confronto, mentre tutti si sono messi in cerchio al centro dell’aula: «Posso dire di sentirmi molto più libera, ora – afferma –: l’anno scorso avevo paura anche solo di alzare la mano, temevo i giudizi degli altri, mentre ora riesco ad esprimermi più liberamente, sto cercando di lavorare con la tutor per capire che il voto non deve abbattermi, ma rappresenta lo spunto per ricominciare la mia strada, in salita» e quasi stupisce la totale naturalezza con cui ognuno si svela di fronte al docente di Scienze umane, la tutor e la preside, aggiungendo un tassello della propria esperienza, di sé. Un «mettersi a nudo» che non è semplice cameratismo: «Abbiamo lavorato anche per migliorare a capacità comunicativa, partendo da un’assunzione di responsabilità personale – sottolinea la tutor Marzia Coter, laurea in filosofia con indirizzo psicologico, alle spalle progetti di volontariato internazionale e in comunità con donne tossicodipendenti –. Il metodo Rondine vuol far sì che gli adulti educanti siano sulla soglia, perché i ragazzi possano essere sempre più protagonisti, con una relativa tranquillità», come conferma Giorgia: «Ho percepito l’importanza di agire con calma: appena iniziata la sperimentazione, l’anno scorso, eravamo sempre pronti all’attacco», la classe «chiedeva le assemblee – aggiunge Martina –, ma erano sempre di sole lamentele, ci siamo accorti che non porta da nessuna parte» e ora «nel momento in cui dobbiamo capire come risolvere una questione, ci confrontiamo tra di noi, ed è questo il conflitto, l’incontro tra diverse posizioni, arrivando alla fine a trovare una soluzione da proporre».

Il proprio posto nella società

In questo lavoro per trovare il proprio posto nella società si inseriscono «gli incontri con tante persone che i professori ci hanno portato in classe – aggiungono Rebecca ed Emma –: stiamo facendo un percorso sul carcere, abbiamo incontrato un detenuto in articolo 21, conosciuto una ricercatrice, un ornitologo, un regista, la cooperativa Calimero, abbiamo girato un cortometraggio e lavorato sui nostri talenti» ed è così che Alessandro ha mostrato a tutti, anche durante un’interrogazione, la sua bravura nel comporre canzoni. Mentre mercoledì scorso metà classe si è vista anche la sera, alla Scasada di Ardesio dell’ultimo giorno di gennaio. Un lavoro «sulla coesione anche tra insegnanti – aggiunge Coter –, convinti che partire dalla cura dei ragazzi sia centrale: dopo la pandemia c’è un forte malessere sociale e serve lavorare con e per i ragazzi».

I quali, tiene a precisare la preside Peracchi, «intessono sì relazioni, ma soprattutto studiano: la programmazione non si tocca, questo metodo non fa sconti alla parte didattica, ma qui nella sezione Rondine c’è una motivazione diversa che ha coinvolto con entusiasmo anche gli insegnanti. Quando è stata lanciata l’idea di creare questa sezione, subito i nove docenti dell’intero consiglio di classe si sono detti disponibili a formarsi. E attualmente abbiamo 30 docenti su 30 con il patentino Rondine. È stata una sfida per tutti: scuola, ragazzi e famiglie». C’è un gran bisogno di pace.

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