Donizetti, il giallo del cranio trafugato
Usato come portamonete in drogheria

di Emanuele Roncalli

Strano destino quello dei compositori illustri. Haydn, Mozart, Donizetti accomunati non solo dal fatto di aver firmato pagine memorabili sul pentagramma, ma di aver «perso» tutti e tre la testa. Avete vicende enigmatiche o luoghi dimenticati da segnalare? Scrivete a: [email protected]

Strano destino quello dei compositori illustri. Haydn, Mozart, Donizetti accomunati non solo dal fatto di aver firmato pagine memorabili sul pentagramma, ma di aver «perso» tutti e tre la testa. E non in senso figurato. Alla loro morte, infatti, vi fu chi pensò bene di trafugare il teschio dei musicisti.

Quella relativa al cranio di Donizetti è una vicenda romanzesca durata quasi trent’anni. Il cadavere del maestro, alla vigilia dei funerali, prima di essere tumulato nella Cappella della nobile famiglia Pezzoli nel cimitero di Valtesse a Bergamo, fu infatti sottoposta ad autopsia.

In quella circostanza la calotta cranica venne segata per esaminare il peso e il volume del cervello, ma anche per conoscere le radici del male che aveva tormentato per anni il musicista bergamasco.

Tra i medici presenti all’esame autoptico, durato circa tre ore, anche un medico «originale ed eccentrico», il dottor Gerolamo Carchen in servizio al manicomio di Astino, che fra l’altro non firmò il verbale della necroscopia e in un momento di distrazione dei suoi colleghi - una decina -riuscì a sottrarre la calotta.

Nel 1875 i resti del musicista furono esumati per essere collocati assieme a quelli del suo maestro Simone Mayr nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Città Alta. E proprio in quella occasione si presentò il giallo della misteriosa scomparsa della scatola cranica.

Le indagini portarono al fortunoso ritrovamento della calotta a Nembro presso un nipote erede del dottor Carchen. «Un bottegaio - ha scritto Sereno Locatelli Milesi - se ne serviva come ciottola per i soldoni». Quel nipote si chiamava Giulio Bolognini e gestiva un negozio di pizzicagnolo. In bottega la calotta finiva per essere usata come vaso per contenere le monete di rame. Si seppe che il nipote aveva ritirate le cose dello zio medico, fra cui anche una libreria e dentro una scansia c’era la calotta.

«E così per anni - ha scritto Angelo Mandelli - la cavità anatomica che aveva raccolto le sublimi creazioni del genio donizettiano rintronò del roco rimestare dei palanconi». Il 4 aprile 1875 due amici di Donizetti, suoi primi biografi, Federico Alborghetti e Michelangelo Galli si presentarono nel negozio del Bolognini reclamando e ottenendo la calotta. Confrontata con la base cranica si constatò l’autenticità della reliquia trafugata appunto nel 1848.

La calotta inizialmente fu collocata nella Biblioteca Civica, poi in una urna custodita nel Museo Donizettiano, successivamente fu eseguito un calco della stessa e definitivamente deposta il 26 luglio 1951 assieme agli altri resti in Santa Maria Maggiore.

Per gli studiosi dell’epoca, tanto la capacità del cranio, quanto il peso del cervello di Donizetti danno numeri superiori alla media dei crani o cervelli europei che per gli uomini è di cc. 1644 per la prima e gr. 1544 per il secondo. Da qui l’altissimo ingegno del maestro. Dall’esame del cervello i medici rilevarono «sviluppatissime circonvoluzioni in corrispondenza degli organi della musica della idealità della meravigliosità». Stessa sorte toccò ad Franz Haydn, sepolto a Vienna nel cimitero Hundsturmer. Poco dopo il funerale, il suo cranio fu sottratto da seguaci della dottrina craniologica, che dalla forma del cranio credono di poter trarre conclusioni sulle facoltà mentali. Si dice che sia stata una guardia carceraria, appassionata di frenologia, ad assoldare dei profanatori di tombe perché asportassero la testa. Una volta esaminato, il teschio passò a un conoscente. Ad accorgersi del furto del teschio erano stati i familiari nel 1820, quando fecero esumare il corpo scoprendo che il teschio apparteneva ad altro cadavere. Quello vero passò di mano fra privati e associazioni, poi fu collocato in una teca di vetro all’associazione «Amici della musica di Vienna». Nel 1932 i discendenti del compositore tentarono nuovamente di riavere indietro la testa. Ma solo nel 1954 il cranio arrivò alla Bergkirche di Eisenstadt, dove erano già state trasferite le spoglie del musicista nel 1820.

Anche il cranio di W. Amadeus Mozart è avvolto in un giallo intrigante e misterioso. Per anni si è detto che il teschio del compositore fosse la reliquia custodita dal 1902 nella fondazione Mozarteum di Salisburgo. Secondo una leggenda, dieci anni dopo la sua morte, Joseph Rothmayer, un becchino, si impadronì del teschio del musicista aprendo la tomba. Nel 1842 la reliquia sarebbe finita nelle mani dell’incisore Jakob Hyrtl, il cui fratello Joseph, un anatomista, l’avrebbe lasciato in eredità alla città di Salisburgo. Andato in un primo momento perduto, il teschio è giunto nella città natale di Mozart solo nel 1902. Il reperto fu esposto dalla fondazione Mozarteum fino al 1940, quando fu deposto in una cassaforte a disposizione solo degli studiosi. Il cranio in passato è stato esaminato per scoprire i segreti dell’apparato uditivo del compositore.

Di recente un antropologo austriaco, Gottfried Tichy, ha studiato la reliquia. È emerso che il teschio appartiene a un caucasico della stessa età e dello stesso sesso di Mozart. Ma il mistero non è insomma ancora stato risolto.

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