«Io conosco bene la povertà
e ora aiuto gli orfani del mio Ghana»

La storia di Eric, emigrato in Italia a 25 anni: raccoglie abiti, scarpe e giochi grazie al contributo dell’azienda e dei colleghi di lavoro.

«Io l’ho provata sulla mia pelle la povertà. Da bambino ho passato l’infanzia in un villaggio a 10 chilometri dalla cittadina-dormitorio di Inchaban in Ghana. La povertà è fame. La povertà è essere ammalati e non avere un medico che possa curarti. La povertà è veder morire la gente per malattie causate dalle acque del fiume inquinate. È fare 20 km al giorno per andare a scuola. La povertà è una condizione dalla quale la gente vuole fuggire. Sono cattolico e quindi pregavo Dio ogni giorno, per me, per tutta la nazione e per tutto il continente. Non eravamo gli unici a vivere così, c’erano molte altre famiglie che come noi, soffrivano la fame e la malattia. Ho continuato a lottare: ho fatto il meccanico, il falegname, ma per avere una vita migliore nel 1989, a 25 anni sono dovuto emigrare».

Eric Amoah, ghanese di 53 anni, operaio alla Interseals di Palazzolo sull’Oglio ma residente nel Basso Sebino, racconta così il senso dell’ennesima iniziativa promossa dall’associazione EricPat Fondation che porta il suo nome e quello della moglie Patricia Lamptey. Lunedì partirà la quinta spedizione: due container nei quali verranno stipati abiti, scarpe, giocattoli e altri beni non deperibili, a favore dell’orfanotrofio Osu Children’s Home in Ghana, che ospita oltre 200 bambini. Decisivo l’appoggio della stessa Interseals che da tempo offre sostegno economico e logistico al progetto, coinvolgendo anche la propria clientela, per la maggior parte composta da aziende tedesche: molte di loro, grazie al tam tam, hanno a loro volta dato un aiuto al progetto di Eric.

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